Dilma Rousseff chiama i suoi alla resistenza
Dopo il sì all'impeachment da parte del Senato brasiliano, Dilma fa appello alla mobilitazione contro il "golpe fraudolento"
Lasciando il Planalto, il palazzo presidenziale brasiliano, dove il vicepresidente Michel Tremer giurava e diffondeva la lista dei 21 ministri del nuovo governo, Dilma Rousseff - sospesa ieri dalla carica presidenziale da un voto a larga maggioranza del Senato - ha lanciato un appello ai suoi sostenitori e ai militanti del Pt, affinché si mobilitino contro quello che ha definito un «impeachment fraudolento», un «golpe» contro la«volontà sovrana dei 54 milioni di elettori che mi hanno votata».
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Non è ancora stata ancora destituita, Dilma. Ha ancora 180 giorni di tempo, sei mesi esatti, il presidente brasiliano, per cercare di convincere almeno parte dei senatori a non confermare il voto espresso ieri, per provare a evitare che i due terzi dell'assemblea la destituiscano ufficialmente - come vuole la barocca Costituzione brasiliana - dalla carica presidenziale. Ma conta sulla «resistenza» della sua gente, sulla capacità di mobilitazione del Pt - al potere dal 2002 - presso le masse popolari luliste.
Finché la sospensione non si tradurrà in destituzione, Dilma continuerà ad avere diritto ad almeno 40 collaboratori, conserverà lo stipendio di 9 mila dollari mensili, potrà utilizzare gli aerei delle Forze armate, avrà sempre a disposizione i due autisti riservati al numero uno della politica brasiliana. Ma il primo round - quello probabilmente decisivo, che si è concluso con la sospensione - è stato un colpo mortale alla credibilità del presidente, alla sua capacità di resistere di cui in passato, come quando qualche anno fa le diagnosticarono al tumore ma ebbe la forza di rialzarsi, fino a essere eletta a furor di popolo quale successore di Ignacio Lula, anche lui assai meno potente che qualche anno fa.
Qualche segnale politico di quello che potrebbe diventare la politica brasiliana, qualora il Pt fosse costretto a rinunciare alle redini del comando, c'è già stata, con la nomina da parte del vicepresidente, di José Serra, ex candidato moderato all presidenza, agli Esteri, una brusca svolta rispetto alla tradizionale politica estera bolivariana del Pt. Un altro segnale è stata la promozione di Henrique Meirelles, ex numero uno della banca centrale e convinto assertore delle politiche monetarie ortodosse, al ministero delle Finanze. Un segnale molto chiaro agli investitori e ai creditori internazionali. Il dopo-Pt, in qualche modo, è già cominciato, anche se la prevedibile e lunga mobilitazione del partito presidenziale fa immaginare una transizione tutt'altro che semplice.