Il nervo della seta
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Il nervo della seta

Gli uomini sono esseri semplici, prevedibili, monodimensionali.


Gli uomini sono esseri semplici, prevedibili, monodimensionali. Non così le donne, come sostiene ne Il tocco crudele, ed. Mimemis, Gaetan G de Clérambault, maestro di Lacan, e appassionato di stoffe. Qui raccoglie casi clinici registrati nei primi dieci anni del ‘900 di donne internate in ospedali psichiatrici e unite da un tratto comune: tutte avevano rubato della seta. Oltre che di isteria, di nervi, e di cleptomania, esse “soffrivano” (la psichiatria non aveva ancora aperto alla lezione simbolista di Poe e Baudelaire) di sinestesia. Le donne, interrogate, confessavano di ricercare ossessivamente il contatto della seta, perchè solo questo era capace di provocare in loro forti orgasmi clitoridei in – fate attenzione – assenza di altre immagini mentali di carattere sessuale.

«mi toglie il respiro»

Questo vuol dire che la seta era cercata, e rubata, e provocava spasmi e deliqui, non perché fosse in grado di richiamare l’immagine o il ricordo o il desiderio di un uomo (erano tutte, tranne una, eterosessuali anche se, come tutte le isteriche trattate, frigide nei rapporti coniugali), e nemmeno perché era stata indossata o toccata da altri, ma per le sue intrinseche qualità: consistenza, delicatezza, fulgore, odore, rigidità, temperatura (fredda) e persino rumore (crepitio).


«mi snerva troppo»

Quando Freud “scoprì” il feticismo, lo applicò solo a soggetti maschi nei quali un oggetto – la solita scarpa, la calza, la pelliccia – aveva il potere inconscio di sostituire (o completare) l’immagine della donna. Anzi, arrivò fino al punto di teorizzare che in realtà l’oggetto fornisse la donna dell’unica cosa che le manca, cioè il fallo. Da questa concezione metonimica e spostata, per più di un secolo gli studiosi hanno escluso la possibilità che esistesse un feticismo femminile (aprendo al contempo la strada a un sacco di battute nel caso esistesse il feticismo femminile che qui non faremo).

È questo un segnale affascinante della complicatezza femminile: l’uomo ha bisogno di immaginare la donna nella pelliccia (o di simulare la donna attraverso il travestitismo, come pare facesse Richard Wagner). Insomma al massimo un uomo arriva a questo

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René Magritte, La Philosophie dans le Boudoir

La donna non vuole altro che la seta. In lei è assente il sadismo: se la seta si strappa è solo per eccesso di voluttà. Non gode nemmeno della passività: la seta è al suo servizio, benché sia «viva», cruda, sensibile.

Queste donne arrivavano a rubarla, anzi: la seta comprata o donata non possedeva per loro alcun fascino. Questo vuol dire solo una cosa: la pratica di amoreggiare con la seta si impone con la diffusione dei grandi magazzini. Provatevi voi ad entrare in una merceria del 1864 (ammesso che le vostre condizioni economiche ve ne permettano l’accesso), chiedere di vedere delle stoffe, poi andare nel camerino, lottare con decine di strati di stoffa dei propri vestiti, e infine, tenendo l’abito di seta per un lembo, trarne uno snervante piacere candestino sfregando la seta sulla vostra pelle più sensibile e poi uscire senza essere arrestate.

Siamo negli anni in cui, secondo la felice intuizione di Clérambault, si istaura una specie di «lotta cortese» tra la cleptomane, che si appresta a commettere e a ripetere il furto, e tutto l’insieme del grande magazzino. Perversione, cleptomania, feticismo (femminile) e fantasmagoria delle merci nascono e si esasperano insieme.

Avete letto Al Paradiso delle Signore

L’impulso all’acquisto partecipa della stessa sfera erotica di cui fa parte il piacere tattile del cleptomane: non è semplicemente predatorio, ma vuole sfiorare (il furto del) l’oggetto, secondo una coazione ripetitiva e sfiancante simile a un fruscìo reiterato, come l’occhio sfiora la merce contenuta (esposta) nella vetrina. L’esposizione della merce e la pubblicità della prostituzione nelle strade, non a caso, si affermano nello stesso momento storico.

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Zola doveva avere ben presente questo legame, se decise di chiamare Satin un personaggio dell’altro suo capolavoro, Nanà (“la fanciulla di tutti”). La sessualità neutra della cosa che sente è un’espressione perfetta per il caloroso tocco della seta cruda, fredda: la donna che la sfiora, che se la infila fra le cosce, resta sola col suo gesto, in assenza di uomini. Per gli uomini, quando si parla di fascino della merce, di sex appeal del prodotto, c’entra quasi sempre il sesso genitale.

Forse è così anche oggi. Anche lo schermo dell’iPad è sexy. Una superficie dura che reagisce allo sfioramento delle nostre dita, e fa quasi tutto quello che ci passa per la testa, che però resta muto e refrattario. In questo senso, è un feticcio perfetto.

Feticismo della merce è un’espressione di Marx, e riguarda l’alienazione del lavoro umano dentro il prodotto, che si erge a mito. Nell’era digitale, questo concetto è chiamato net-feticismo, e qualcuno auspica di defeticizzare la rete, cioè spogliarla del lavoro materiale occultato dalla fantamasgoria dei pixel.

Sono abbastanza d’accordo, nel merito.

Mi rammarico che non ci sia, però, accanto a questa riflessione, nessun racconto del piacere umano che lo sfioramento della seta tecnologica procura a chi ne fa esperienza, come se non ci si potesse che schierare (ancora!) tra i tecnoscettici o i tecnoidioti.

Qualche anno prima che quelle donne rubassero sete, Flaubert scriveva di Madame Bovary

«un fruscio di seta sul pavimento, l’ala d’un cappello, una mantiglia nera… Era lei! Léon balzò in piedi, le corse incontro»

Non basta ancora? Flaubert sta parlando della devozione di Charles per Emma, ecco come decide di farlo:

«L’universo, per lui, non sorpassava l’orlo di seta della sua sottana»

Certo, si dirà, ma Flaubert è un uomo, Emma l’ha creata lui. Eh, ma Emma, una volta creata, ha una sua autonomia, al cospetto della quale Flaubert non può esercitare più la sua. Quando lei siede nervosa, «difficile e capricciosa» davanti ai pasti, sognando il verde che cresce tra le rovine o i vestiti lussuosi di Parigi, Flaubert non può che farla guardare dal marito Charles, che si dibatte nella sua incomprensione di lei e si chiede se l’odore che sente è quello della sua camicietta o se non è la sua stessa pelle a profumarne la stoffa.

Povero Charles...

Lo sconcerto che prova di fronte alla materia inconoscibile di Emma è lo stesso di Flaubert, che pure dirà, per amore e disperazione verso il proprio personaggio, «Emma c’est moi».

Leggendo nel libro di Clérambault i colloqui clinici con le donne clemptomani (di fatto degli interrogatori – condotti da medici maschi – sulla loro sfera più intima del piacere) e i referti che parlano della loro devianza in quanto donne non procreative, non allineate, socialmente inutili, mi è venuto da pensare che il potere può assumere varie forme, quella dell’occultamento dello sfruttamento, certo, ma anche quella della ingiunzione eterodiretta su cosa è giusto e cosa non lo è, su cosa deve piacerci e cosa no, su cosa è sano o no sfregare addosso al nostro universo.



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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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