Mission, è polemica sul programma 'umanitario' di Rai Uno
(Ansa)
Televisione

Mission, è polemica sul programma 'umanitario' di Rai Uno

La commissione di Vigilanza Rai pronta a chiedere la visione preventiva del programma e scoppia la polemica

Questa Mission non sa da fare. E’ scoppiato il caso attorno al docu-reality umanitario di Rai Uno, la cui messa in onda è prevista per il 4 e l’11 dicembre prossimo. Di che si tratta? L’idea è questa: spedire un paio di volti noti in alcuni campi profughi e farli vivere come “normali” volontari, ripresi dalle telecamere, per mostrare le drammatiche situazioni in cui vivono i rifugiati. Il tutto con l’approvazione dell’Unhcr - l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - e dell’Ong Intersos. A oltre un mese dalla presentazione dei palinsesti Rai, quando cioè fu svelato per la prima volta il progetto, ora insorgono alcune organizzazioni non governative, che bollano il programma come “inaccettabile”, e si scomodano persino la commissione di Vigilanza Rai.

PETIZIONI E NIET CATEGORICI. “Il web insorge”, tanto per usare un’espressione iper abusata. Ma tant’è. Due piattaforme hanno infatti lanciato nelle scorse ore una raccolta firme per chiedere lo stop preventivo del programma. L’indice è puntato contro la Rai ma anche contro l’Unhcr e Intersos. “Riteniamo INACCETTABILE che la televisione pubblica realizzi questo progetto – si legge su Activism.org - Lo sfruttamento della sofferenza cui sono sottoposti i profughi a fini di spettacolo non può essere tollerato ed è per noi motivo di INDIGNAZIONE. Se personaggi come Al Bano Carrisi hanno bisogno di rispolverare la loro immagine di star ormai sbiadite, non è certamente questa la soluzione”. Ma contro il programma si sono schierate anche molte ong, come il Gus (Gruppo Umana Solidarietà): “L’aiuto ai popoli in fuga, ai profughi nei campi di accoglienza non passa da uno spettacolo che cerca di impietosire il pubblico di casa al quale chiedere poi un sms solidale a favore di organizzazioni che, con una mera operazione commerciale, hanno reso possibile questo programma” si legge sul sito dell’organizzazione non governativa.

LA DIFESA DELL’AUTORE. Sul banco degli imputanti, in questo ‘processo’ preventivo, vengono fatti salire i vip che dovrebbero partecipare al programma: oltre che di Al Bano, si parla di Paola Barale, Emanuele Filiberto oltre a Michele Cucuzza e Barbara De Rossi, che lo scorso anno girarono in Congo una puntata zero di Mission (con tanto di problemi dovuti ad epidemia di ebola). Alle critiche replica Tullio Camiglieri, autore di Mission insieme ad Antonio Azzalini: “Non possiamo continuare a fare gli elitari. Al Bano rappresenta un pezzo di storia di questo paese, culturale e sociale, attraverso di lui, che la gente riconosce, si può raggiungere il grande pubblico. Chi dovremmo mandarci? Bernard-Henri Lévy, che si è sempre occupato di questo? Non credo che ci garantirebbe lo stesso coinvolgimento di pubblico di Al Bano”. I vip di Mission lavoreranno nei campi del Sud Sudan e del Congo e non saranno pagati: “Faranno le pulizie, da mangiare e tutte le mansioni che svolgono gli operatori delle due organizzazioni. L’obiettivo è raccontare attraverso i loro occhi queste parti di mondo dimenticate” dice l’autore in un’intervista a Redattore Sociale. 

I POLITICI DICONO NO. Camiglieri racconta la genesi del progetto e il coinvolgimento non solo del direttore di Rai Uno Giancarlo Leone, ma anche dell’allora portavoce dell’Unhcr, oggi presidente della Camera, Laura Boldrini. “Il progetto nasce discutendo anche con lei che su questi temi ha sempre avuto una forte sensibilità e che era ai vertici dell’organizzazione. Siamo partiti con l’idea di far un programma che raccontasse una realtà non facile e per niente seducente”. Tra i primi a scendere in campo contro il programma c’è, curiosamente, il deputato Gennaro Migliore di Sel (partito nelle cui fila è stata eletta la Boldrini) che bolla Mission come “lesivo della dignità delle persone”. Due deputati del Pd, Michele Anzaldi (segretario della commissione di Vigilanza Rai) e Luigi Bobba (componente della commissione bicamerale per l'Infanzia e l'adolescenza) hanno invece chiesto l’intervento del presidente dalla commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico, del Movimento 5 Stelle: “Chieda di poter visionare la registrazione della puntata numero zero della trasmissione Rai Mission, per poter appurare che il programma non sia offensivo per chi soffre e non sia lesivo dei doveri e delle prerogative del servizio pubblico radiotelevisivo”. Fico ha fatto sapere di essere pronto ad un’interrogazione ai vertici Rai: “Sarebbe opportuno valutare e verificare se il linguaggio di trasmissioni televisive come i reality sia quello adeguato a raccontare il dramma di chi è costretto a fuggire dal proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni”. 

LA REPLICA DI LEONE. A stretto giro è poi arrivato il commento del direttore di Rai Uno Leone, che scrive su Twitter: “Tv. Due deputati sollecitano presidente Vigilanza di visionare un programma @RaiUno prima della messa in onda. #progresso o ‪#regresso ?”. Che pochi minuti dopo aggiunge ironico: “Tv. Per alcuni la vera #mission è commentare un programma che deve essere ancora registrato e montato. ‪#missionimpossible”. Ed è proprio sui social network che si discute del programma – della serie ‘paese reale’ vs ‘paese virtuale’ – ed è soprattutto l’‘interventismo’ della commissione di Vigilanza a suscitare le reazioni più accese. Come Nino Rizzo Nervo, ex consigliere di Amministrazione Rai in quota Pd. “Non so nulla di #Mission ma la visione preventiva della Vigilanza di un programma è un precedente pericoloso #vistosistampi”. In una nota, la Rai precisa poi che Mission non è un reality “è un racconto per immagini dell'esperienza vissuta da otto celebrities nei campi profughi visitati in giro per il mondo. Attraverso i loro occhi si farà luce sulle realtà di assistenza nelle missioni umanitarie arrivando ad un pubblico vasto e contribuendo ad una straordinaria campagna di sensibilizzazione su temi internazionali troppo spesso relegati in spazi di informazione solo in occasione di calamità”. 

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Francesco Canino