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Difesa e Aerospazio

Caccia ai missili di Putin

Mosca non perde occasione di mostrare i muscoli della su Difesa, e tra ordigni nuovi spinti da energia nucleare e altri già conosciuti e rinnovati, spaventa il mondo e scatena le ricerche. Ecco che cosa sappiamo.

Ufficialmente c'è ancora molta nebbia ad avvolgere le nuove armi russe, specialmente i missili a lunga gittata. Ciò che l'intelligence britannica e statunitense hanno lasciato trapelare – non tutto ciò che sanno, ovviamente – è che durante la visita del capo della Corea del Nord Kim Jong-un in Russia gli sia stato mostrato un bombardiere Tupolev 160 (codice nato Blackjack) che nella baia armamento ventrale aveva un sistema rotante per poter lanciare il più recente tra i missili da crociera di Mosca, denominato Kh-Bd, dotato a sua volta di testate multiple e in grado di colpire bersagli a oltre 6.500 km dalla posizione di rilascio in volo.

Si tratterebbe di una evoluzione dei missili Kh-101 e Kh-102, con impiego di componenti più piccoli, modifiche aerodinamiche per ridurne la segnatura radar (rendendolo meno visibile), incrementare le doti di velocità e navigazione, nonché la possibilità di usare carburante additivato. Tradotto: attivato nel cielo russo, riuscirebbe a raggiungere tutte le capitali europee. E lo stesso velivolo lanciatore sarebbe stato appositamente realizzato in una variante nuova, la “M2”, utilizzando anche componenti presenti sul bombardiere Pak-Da di nuova generazione che la Russia sta costruendo.

Nasce quindi spontanea la domanda se Vladimir Putin lo userà o meno nello scenario bellico ucraino, una scelta possibile ma rischiosa, poiché se frammenti del missile fossero recuperati dagli occidentali, in breve tempo si potrebbe sviluppare un antidoto, quindi modificare un sistema antimissile per renderlo più efficace. Anche perché Mosca può comunque continuare a usare gli Iskander (come purtroppo ieri è accaduto) o altro arsenale.

La storia del missile nucleare, come la trama di un film

La storia del missile a propulsione nucleare 9M730 Burevestnik (Uccello del tuono). Luglio 2019, il prototipo di un nuovo missile russo viene lanciato per un test, ma la prova fallisce e l'ordigno cade nel Mar Bianco, al largo di Ostrov Zhizhgin. Immediatamente viene attivata una squadra di recupero, poiché il prototipo è prezioso e contiene tecnologia innovativa che non deve finire in mani altrui. Lo trovano, ma nel tentativo di agganciarlo esplode e uccide sette persone causando anche un aumento di radioattività 16 volte superiore a quella del fondo naturale della regione, ma in un'area molto ristretta.

Per gli analisti militari occidentali, che mediante satelliti hanno rilevato quel fenomeno, non ci sono dubbi: la Russia sta studiando un nuovo missile a propulsione nucleare. Non è la trama di un film, purtroppo, bensì il nuovo missile da crociera alimentato dalla versione modernizzata di uno statoreattore, in inglese “ramjet” che, per essere acceso, al posto del carburante utilizza un mini reattore nucleare. A teorizzare questa soluzione arrivarono diversi scienziati prima della fine della Seconda guerra mondiale, mentre negli anni Sessanta furono gli americani a studiarla creando il progetto Plutone, cancellato perché ritenuto non più necessario dal momento che da quegli anni in poi furono introdotti molti missili intercontinentali.

Il principio di funzionamento è questo: il lancio avviene grazie a un motore ausiliario a propellente solido che porta il missile in aria e quindi ad accelerare. Una volta arrivato in regime supersonico, l'aria a velocità superiore a quella del suono che entra nell'ingresso del motore principale viene altamente compressa prima di essere incendiata attraverso il reattore nucleare “aperto” che introduce nel sistema un'incredibile quantità di calore. Quel calore comporta un'espansione dei gas e questi a loro volta vengono utilizzati per generare una spinta praticamente illimitata finché il tutto non collassa per deterioramento e fusione degli elementi.

L'uso dello statoreattore semplifica la propulsione perché per comprimere l'aria non serve il compressore e quindi neppure la turbina che lo fa girare, ma ovviamente il sistema non può funzionare a zero velocità (ecco perché il motore a razzo iniziale) e lo fa male a basse velocità a causa della limitata differenza di pressione tra l'ingresso e uscita dell'aria. Un'altra possibilità ipotizzata dagli analisti è che il reattore produca energia elettrica e questa sia usata per creare la spinta, ma ciò renderebbe il missile più lento. L'idea russa è disporre di un vettore-proiettile manovrabile che possa rimanere in volo quasi illimitatamente in “attesa” dell'ordine di colpire un bersaglio, a velocità elevatissime rendendo difficile la sua intercettazione.

I dettagli sono secretati, ma stanti le tecnologie oggi disponibili viene da pensare che il reattore nucleare usato sia di tipo a ciclo aperto raffreddato dall'aria esterna (in alta quota tra -50 e -70 °C con zero umidità), oppure a ciclo chiuso con raffreddamento a metallo liquefatto dal calore che assorbe. Gli americani durante lo sviluppo del Plutone capirono che quello a ciclo aperto emetterebbe molta radioattività e particelle pericolose lungo tutta la sua rotta, mentre quello a ciclo chiuso avrebbe comportato dimensioni e un pesi eccessivi per realizzare un missile da crociera.

Anche qui una domanda è logica: il recente incidente che sarebbe accaduto all'estremo nord russo durante i collaudi del missile che conseguenze ha avuto? Probabilmente satelliti militari hanno registrato variazioni di radioattività, ma è improbabile che gli Usa o gli alleati della Nato le rilascino oggi. Si sa però che il Burevestnik sarebbe in grado di trasportare piccole testate nucleari o convenzionali entro il 2025, che è stato concepito per essere trasportato da veicoli terrestri, come lo speciale Mzkt-7930 con configurazione a otto x otto ruote, e da qui la caccia satellitare per tracciarne i movimenti, ma nulla vieta ai russi di realizzare sistemi per lanciare il Burevestnik anche dalle navi da guerra.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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