Marchisio: “Questa Nazionale fa paura”
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Marchisio: “Questa Nazionale fa paura”

Il centrocampista azzurro parla della Juve e dei prossimi Mondiali. Con una certezza: l'Italia di Brasile 2014 sarà una squadra da temere

“Nonostante i risultati degli ultimi anni sento dire che la Nazionale italiana non dà certezze. Ci preoccupiamo di tutti, Inghilterra compresa, ma sono gli altri che dovrebbero avere paura di noi”. Dopo una finale europea e gli scudetti in serie con la Juve, Claudio Marchisio non vede l’ora di affrontare il suo secondo Mondiale ed è convinto che l’Italia di Prandelli sia ormai pronta a compiere il definitivo salto di qualità: “Siamo cresciuti. Quella che prima era una Nazionale di outsider, che muovevano i primi passi sul palcoscenico internazionale, oggi è un gruppo di giocatori affermati che, anche grazie all’esperienza dei veterani, non devono temere nessuno”.

Abbiamo incontrato Marchisio a Milano, in occasione di un aperitivo organizzato da Lgs Sportlab per la presentazione dello spot del gel Fructis Style di Garnier (di cui Claudio è il nuovo testimonial), e gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua stagione e cosa dobbiamo aspettarci dagli azzurri agli ormai imminenti Mondiali brasiliani.

Per quello che stai vedendo e vivendo, come sta la Nazionale?

“L’avventura è iniziata da poco, ma la sensazioni sono buone. C’è tanto entusiasmo, molta voglia e quel pizzico di tensione che accompagna inevitabilmente la preparazione di un Mondiale”.

Le tue condizioni di forma dopo la stagione in bianconero?

“Di certo l’infortunio al ginocchio dello scorso agosto (nella finale di Supercoppa contro la Lazio, ndr) non mi ha aiutato. Però devo dire che tutto il lavoro fatto per recuperare sta pagando adesso, tanto che mi sento molto più in forma di quanto avrei pensato. Forse sono più riposato…”.

Quanto hai sofferto l’esplosione di Pogba e l’abbondanza nel centrocampo della Juve?

“In una grande squadra il turnover è qualcosa che va accettato. Oggigiorno le squadre di prima fascia non vanno giudicate guardando chi gioca da titolare in un determinato momento ma considerando, nell’arco di un'intera stagione, chi è in grado di dare il suo contributo. Oltre un certo livello la resa di un giocatore è data dal suo stato di forma, e per arrivare a giocare le partite importanti con 11 giocatori al top bisogna avere una rosa molto più ampia rispetto al passato”.

Dopo la rocambolesca eliminazione in Champions a opera del Galatasaray, in spogliatoio sentite davvero una sorta di “maledizione europea”?

“Il Real Madrid ha impiegato dieci anni, e centinaia di milioni di euro, per tornare a vincere una Champions League. Il Psg e il Manchester City, che sul mercato spendono sicuramente più di noi, non si sono ma nemmeno avvicinati alle seminifinali...”.

Vuoi dire che già ora la Juve sarebbe pronta per tornare a vincere in Europa?

“Voglio dire che in Italia si guarda davvero troppo, e solamente, al risultato finale. Non c’è scritto da nessuna parte che siccome non alzi la Coppa allora non sei in grado di competere in Europa. La scorsa stagione siamo usciti contro i campioni d’Europa del Bayern Monaco, dopo aver superato un girone con Chelsea e Shaktar. Quest’anno non è andata bene, ma ce la siamo giocata contro il Real Madrid che ha poi vinto a Lisbona”…

Dicci la verità: ti capita di pensare ancora alla partita contro i danesi del Nordsjælland?

“Direi una bugia se dicessi il contrario, ma sono delusioni che fanno parte della carriera di un giocatore e della storia di un gruppo. Alla fine penso che la Juventus abbia dimostrato, a livello di gioco e personalità, di essere cresciuta anche in ambito europeo”.

Torniamo alla Nazionale. Cosa secondo te non deve ripetersi rispetto a quanto accaduto in Sudafrica?

“Sicuramente non dobbiamo ripetere il risultato (ride, nda), e in generale il modo in cui siamo usciti. La verità è che in questi anni è cambiato tutto: c’è stato un ricambio generazionale a tutti i livelli, dai giocatori allo staff".

Quante possibilità abbiamo di arrivare in fondo con un girone e un tabellone così difficili?

“Dopo quattro anni che lavoriamo con Prandelli, ancora sentiamo dire che questa Nazionale non dà certezze e che dovremmo preoccuparci di tutto e tutti. Questa è una squadra che è arrivata seconda all’Europeo e terza alla Confederation Cup. Massimo rispetto per gli avversari ma anche loro ci devono rispettare. E temere”.

Come hai visto Balotelli?

“L’ho visto esattamente come i suoi compagni del Milan: concentrato e voglioso di riscattarsi dopo una stagione al di sotto delle aspettative".

Nessun nervosismo per episodi come quelli di Coverciano, dove Mario ha ricevuto alcuni insulti razzisti?

“Credo che ormai non si tratti nemmeno di razzismo nei confronti di una persona di colore. Sono frasi talmente comuni che la gente usa negli stadi come se fosse una cosa normale. Addirittura vengono inserite all’interno dei cori, senza che nessuno dica niente..”.

Questo però è molto grave.

“Vero, ma ci sono sempre stati. Li sentivo anche quando andavo allo stadio negli anni Novanta. Probabilmente se ne parlava meno perché non c’erano così tante telecamere a riprenderli e di sicuro non c’erano i social network dove poterne parlare. Questo per dire che di ignoranti ce n’erano prima e ce ne sono ora. Speriamo che ce ne siano meno in futuro”.

Considerate le raccomandazioni di Prandelli sull’uso dei social network, durante in Mondiali userai il tuo profilo Twitter?

“Il mister ha fatto bene a fare le sue raccomandazioni, anche perché voi giornalisti siete qui ad aspettare che scriviamo qualcosa di sbagliato...”.

Tu però hai un profilo Twitter di successo...

“E dire che all'inizio ero contrario all'utilizzo dei social network: pensavo fossero una cosa alienante, ma poi col tempo mi sono reso conto che sono una grande opportunità per entrare in contatto con le persone. Proprio quest’anno io e la mia famiglia abbiamo invitato allo stadio una ragazza che è stata tra le prime a seguirmi su Instagram".

Quindi leggeremo anche qualche tuo tweet dal Brasile?

"Penso proprio di sì, anche per stare vicino ai miei tifosi e sentirmi un po' meno lontano da casa".

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Teobaldo Semoli