Lance Armstrong, quel marziano stanco di proclamarsi innocente
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Lance Armstrong, quel marziano stanco di proclamarsi innocente

Ritratto dell'uomo che ha vinto sette volte il Tour De France e una volta (la più importante) la sua battaglia per la vita

Secondo una leggenda fin troppo vecchia, i piedi scalzi e la camminata inversa di Paul McCartney sulle strisce pedonali di Abbey Road stavano ad indicare che il vero Paul era stato rapito dai marziani e il suo posto era stato preso da un alieno. Noi un extraterrestre lo abbiamo visto correre in bicicletta, dopo che Lance Armstrong, giovane e promettente corridore americano con diverse ferite nell’anima lasciate da una infanzia difficile, vinse quasi per caso il titolo mondiale professionisti a Oslo nel 1993. Aveva 22 anni, andava forte a cronometro, meno in salita. Sembrava un buon gregario con margini di crescita.

La sua storia con il Tour iniziò con un’altra ferita, con l’amico e compagno di squadra Fabio Casertelli che si ammazzava sulla discesa del Portet-d'Aspet. Lance Armstrong, il corridore veniva portato via da una astronave di sofferenza nel ’96. Tumore ai testicoli. Prime diagnosi disastrose. Calvario e dolore. Vittoria. Vita nel ’98. E di nuovo incredibilmente, bicicletta.

Già Armstrong non era più un corridore ma un simbolo, per tanti, per tutti. Tutti quelli che hanno portato almeno un giorno quel braccialetto di plastica giallo con impresso “Livestrong”. Poi, strade e strade facendo, ci siamo accorti che era anche un marziano, imbattibile, un po’ sprezzante e spiazzate dietro quegli occhi di diamante, così duri. Sette volte il Tour de France, tenendo in mano la corsa e ogni avversario, fino a trasformarlo in un videogame.

Solo il Tour de France, perché anche i marziani sanno fare i loro conti e la Grand Bloucle è l’unica corsa che conta negli Stati Uniti. Tutto il testo sono brevi sui giornali e nei Tg. Sospetti sì, sempre. Soffiati via dalla spalla come polvere fastidiosa: “Sono qui, mi controllate ogni giorno. Cosa avete trovato?”. Nulla. Aria da duello, continuo. Guardando tutti in faccia e con la mano vicina alla fondina.

Un ex malato terminale può vincere sette volte in fila la corsa a tappe più difficile  del mondo. E non importa se la cartella clinica presentata, prima del via da ogni corridore era per Lance una specie di enciclopedia, con scritte pratiche e cure che uno che ha avuto il cancro deve fare. Abbandoneremmo questo discorso vagamente schifoso come Armstrong ha abbandonato il ciclismo nel 2005, ovviamente dopo aver vinto il Tour che gli faceva comodo, quanto alla Grand Boucle conveniva avere un marziano nel suo plotone. Un affare per due, alla faccia dei sospetti.

Armstrong è poi anche tornato, dal 2009 al 2011, dichiaratamente per portare in giro il suo verbo e il suo messaggio sul braccialetto giallo. Forse sarebbe stato meglio evitare, come ogni ritorno di chi è stato un mito. Intanto l’Usada, agenzia antidoping americana, ha inasprito la lotta contro quel marziano, una battaglia senza quartiere alla quale Armstrong ha risposto rifugiandosi sulla montagna della sua dichiarata innocenza. Oggi scende e depone le armi ai piedi dei suoi nemici che non hanno probabilmente mai corso un giorno in bicicletta. Non si difenderà più pur continuando a rivendicare la sua innocenza. Hanno già detto che vogliono spogliarlo, sequestrargli quelle sette maglie gialle. Vogliono cancellare il suo passato, vederlo nudo. E poi chissà, magari anche rinchiuderlo nella base 51, nel deserto del Nevada, dove si dice ci siano quegli omini con gli occhi grandi e la pelle verde. E Magari anche il vero Paul McCartney.

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Carlo Genta