Meo Sacchetti: 'Dido Guerrieri, il mio professore'
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Meo Sacchetti: 'Dido Guerrieri, il mio professore'

L'allenatore della sorprendente Dinamo Sassari parla del "professore", di cui fu prima giocatore e poi assistente in quel di Torino - il testamento di Guerrieri -

Giuseppe "Dido" Guerrieri, il professore della pallacanestro italiana (nel 1990 è stato insignito del titolo di Allenatore Benemerito d'Eccellenza), è morto ieri notte a 81 anni nella sua casa di Sesto San Giovanni, quella in cui passava ore in cucina impegnato in speculativi monologhi con il suo amato gatto Silvestro: riflessioni illuminanti sulla pallacanestro e sulla vita che venivano poi rese pubbliche sul settimanale Superbasket in un seguitissimo "Taccuino" a sua firma.

Riflessioni che sono ancora oggi di incredibile attualità e di cui potete leggere qualche stralcio cliccando qui : idee dentro e fuori dagli schemi, che in palestra - dove il "prof" insegnava il mestiere dello stare in campo ma anche dello stare al mondo - hanno forgiato in tanti casi l'uomo prima ancora che il campione. Come accaduto per Romeo Sacchetti, oggi allenatore di una Dinamo Sassari sempre più protagonista nel nostro Campionato di serie A, che del professore è stato allievo prediletto in quel di Torino prima nei panni di giocatore e poi in quelli di assistente, sedendo al suo fianco anche nell'ultima partita ufficiale di un Auxilium ormai in B1.

Meo, qual è il suo primo ricordo del professore?

«Davvero di tipo scolastico: a 17 anni mi presentai a Forlì per un ritiro della Nazionale juniores e mi trovai questo burbero signore sulla porta dell'hotel, che mi apostrofò con un secco "E tu chi sei?". Risposi intimidito con nome e cognome, aggiungendo che giocavo nella giovanili del Novara: del resto, mi aveva convocato lui... La replica fu: "E ti comporti così? Non lo sai che bisogna inviare un telegramma in risposta alla convocazione?". Alla richiesta del rispetto delle regole Guerrieri associava però poi un'umanità eccezionale, che gli ha fatto avere un profondo rapporto con tanti dei suoi giocatori, ai quali si affezionava in maniera autentica».

Dal punto di visto tecnico, che tipo di coach era?

«Uno che amava la bella pallacanestro e per questo era sempre più attento a costruire il gioco che a distruggerlo. Mentre la sua filosofia di fondo è in una frase che mi ha ripetuto quasi all'infinito quando ero il suo assistente: "Ricordati sempre che se hai buoni giocatori, puoi vincere; ma se hai dei giocatori scarsi, puoi solo cercare di fare qualcosa di buono". Ma sarebbe ingiusto e riduttivo parlarne solo come coach: era un uomo di profonda cultura, che a volte con le sue considerazioni prima ti lasciava spiazzato e poi ti spingeva a riflettere, migliorandoti a 360°».

Era anche un pungolo per il movimento del basket in generale?

«Sì, soprattutto con la sua attività giornalistica parallela, anche quella senza compromessi. Ma devo dire che era soprattutto sul campo che amava far valere le sue opinioni: voleva dimostrare il valore delle sue idee vincendo nella pallacanestro giocata. E a proposito delle sue idee, va sottolineato che non era mai, ma proprio mai banale».

Cosa le ha soprattutto lasciato come allenatore? Qual è insomma l'aspetto in cui pensa di seguirlo maggiormente anche oggi?

«La serenità di fondo: quella che devi avere come coach e quella che devi trasmettere ai giocatori. Partendo dal presupposto che un giocatore sereno ha meno paura di sbagliare e quindi sarà più funzionale alla squadra».

Il messaggio invece di Dido Guerrieri per il basket italiano di oggi, impegnato a uscire da una crisi non solo economica?

«Sta a mio avviso in quello che fece di Carlo Della Valle, preso dalla B e lanciato nel basket di vertice: è vero che era l'epoca dei due americani e che quindi c'era più spazio per gli italiani, ma per farlo bisognava avere coraggio e fiducia nei giovani. Un esempio che società e coach della nostra pallacanestro dovrebbero seguire più spesso per cercare di rilanciare questo sport, di ricreare l'attenzione di pubblico e mass-media».

Un aneddoto in più, oltre a quello del primo incontro?

«In una delle prime partite da suo assistente, continuavo a parlargli ma vedevo che non mi ascoltava... Quando orami pensavo che lo facesse perché non gli importava il mio parere, si girò verso di me e mi disse: "Guarda che da quest'orecchio non ci sento. Se devi dirmi qualcosa in partita, parlami stando dall'altra parte". Chiarito l'equivoco, il rapporto fu fantastico».

E di certo non mancò mai la considerazione di coach Guerrieri nei confronti di Meo Sacchetti. Ecco come il professore lo dipingeva in un "Taccuino" quand'era il suo allenatore: "Meo Sacchetti, capitano generoso, sarà già all'opera con Vecchiato... Romeo è l'unico uomo al mondo che nessuno può odiare. È troppo buono".

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Paolo Corio