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Sos, hanno spento il Var (senza dircelo): usato così non serve

Troppi episodi senza valutazione al video, basta che siano stati visti dall'arbitro. Protocollo troppo rigido nella sua applicazione

Premessa doverosa: senza Var il calcio torna al Medioevo come dimostra il surreale rigore costato alla Roma la vittoria contro il Borussia Moenchengladbach in Europa League. Serve più Var e in fretta, perché la rivoluzione della video assistenza sia irreversibile e traghetti il calcio nel futuro, garantendo maggiore equità e la diminuzione degli errori.

Fatta la premessa, però, ecco l'amara constatazione: in Italia il Var è stato depotenziato, quasi spento. Non è un problema di statistiche - quelle magari dimostreranno che il numero di review e silentcheck non è poi così distante dalla scorsa stagione - ma di buon senso. Tralasciando una certa confusione sui tocchi di mano e di braccio, la sensazione è che basti la semplice considerazione che l'arbitro di campo ha visto e valutato per inibire l'intervento dal video.

Per carità, è quello che sulla carta prevede il protocollo. Ma così operando, con la massima rigidità, si finisce per cancellare anche quel margine di correzione di errori e omissioni che a prima vista appaiono sufficientemente chiari pur senza soddisfare tutti i precetti richiesti dalla norma.

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Ha torto De Laurentiis quando parla di casta ed evoca un diritto di chi investe a poter governare la fase di giudizio. Ha ragione quando si chiede perché il corpo a corpo tra Llorente e Kjaer, che fa da prologo alla rete di Ilicic, non finisca dritto al Var per una più attenta valutazione. E ha ragione Montella quando si lamenta per la stessa ragione in una partita in cui pure Inzaghi, suo avversario, discute un rigore abbastanza clamoroso 'svisto' (nel senso di visto, ma visto male) in campo e non corretto al video.

L'elenco potrebbe continuare ancora. I rigorini presi da Ronaldo e Immobile, quello non dato ad Emre Can, la rabbia dell'Inter per il sandwich su Lautaro Martinez o, per tornare più indietro, il tuffo di Mertens a Firenze e Calhanoglu maltrattato a Torino nella sfida contro i granata. Tutti episodi giudicati un errore alla moviola, ma passati in campo senza alcun emendamento.

Nessuno chiede che le partite divengano una lunga teoria di passeggiate verso lo schermo a bordocampo. Però così si rischia di perdere il senso ultimo della rivoluzione tecnologica e, cioé, che il risultato finale si avvicini il più possibile alla verità del campo. Può essere che nei prossimi mesi venga introdotta la chiamata da parte delle squadre, sul modello del challenge del tennis. Sarà un aiuto in più, ma il primo aiuto devono darselo da soli arbitro e sistema recuperando lo spirito originario della video assistenza: limitare gli errori. Non cancellarli, ma nemmeno certificarli in nome di un'indipendenza di valutazione da campo che riporta indietro le lancette del tempo.

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Giovanni Capuano