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Rio 2016, hacker russi e doping Usa: rischio squalifica per gli atleti?

Guerra fredda nello sport: violato il sito della Wada, provata l'assunzione di farmaci (con certificato medico) e valori anomali per vari campioni

L'ombra del doping si allunga sui Giochi di Rio de Janeiro e lo fa nel modo più rumoroso e clamoroso possibile. Non ancora abbastanza per ipotizzare la riscrittura di alcuni podi, ma sufficiente per scrivere un nuovo capitolo della guerra intorno al sistema mondiale dei controlli gestito dalla Wada (Agenzia mondiale antidoping), già al centro della furiosa contesa costata la squalifica a decine di atleti russi compresa tutta la delegazione dell'atletica leggea.

A portare alla luce nuovi elementi sono stati alcuni hacker (presumibilmente russi) che hanno 'bucato' i sistemi di difesa informatica della stessa Wada e hanno ritrovato e pubblicato documenti confidenziali e riservati secondo i quali alcuni atleti molto noti della squadra Usa alle ultime Olimpiadi avrebbero gareggiato sotto l'effetto di sostanze dopanti. I valori sballati sarebbero emersi nel corso dei controlli, ma non sarebbero stati mai comunicati perché spiegati con l'utilizzo a scopo terapeutico - autorizzato - di medicinali e sostanze proibite.

Chi sono gli atleti coinvolti

I nomi tirati in ballo dai documenti pubblicati dagli hacker sono di primo piano. Quello destinato a far discutere maggiormente è Simone Biles, campionessa di ginnastica che a Rio ha incantato il mondo conquistando 4 medaglie d'oro. Secondo i file resi noti avrebbe assunto metilfenidato, una sostanza psicostimolante, insieme ad anfetamine. Il tutto sotto prescrizione medica autorizzata così da rendere inutili per quelle sostanze i controlli antidoping effettuati nel corso della competizione brasiliana. Le positività rilevate non sono state mai comunicate e l'atleta si è trovata in posizione regolamentarmente corretta e, dunque, non passibile di squalifica.

Una situazione identica - secondo l'accusa del gruppo di hacker - a quella di altri atleti di punta statunitensi tra cui le sorelle Serena e Venus Williams (che non sarebbero mai state trovate positive, ma comunque in possesso dell'esenzione medica) e la giocatrice di basket Elena Delle Donne. Tutti muniti di appositi Tue (Therapy Use Exemption) necessari per giustificare l'utilizzo di medicinali e sostanze proibite a scopo terapeutico.

Cosa rischiano gli atleti nominati nei documenti?

Ricordando la bufera che ha accompagnato la vigilia dei Giochi di Rio, l'esclusione della squadra russa di atletica leggera e di decine di atleti russi di altre discipline, è evidente che ce n'è abbastanza per creare un caso. A norma di regolamento non esiste alcun comportamento illecito e dalla prima lettura dei files quella che emerge è una pratica controversa, ma non considerabile doping in senso stretto.

Certo, è singolare che persone giovani, in buona salute e al top della condizione fisica e atletica abbiano bisogno di ricorrere a terapie a volte anche di lungo periodo solitamente utilizzate per pazienti affetti da disturbi seri. Però, se le federazioni internazionali accettano questi certificati medici non esiste spazio per richiedere la dichiarazione di positività a un test antidoping. E i Tue erano presenti regolarmente nel database della Wada


Il precedente della Sharapova e la guerra Russia-Usa

Il precedente più recente di certificazione medica prolungata, prima accettata e poi inserita nell'elenco dei farmaci comunque proibiti, è quella del Meldonium costata una lunga squalifica alla tennista russa Maria Sharapova e guai con l'antidoping per una serie di atleti russi. Sostanza che, secondo i controllori del doping, sarebbe servita non a scopo terapeutico ma per nascondere l'uso di sostanze proibite perché dopanti e renderle invisibili ai controlli.

Il team di hacker che ha portato alla luce i documenti relativi a Rio 2016 è lo stesso che nei mesi scorsi ha violato il sistema informativo di Hillary Clinton pubblicandone le mail private e legate all'attività politico-istituzionale del candidato dei Democratici alla Casa Bianca. E' facile immaginare dietro il blitz nei database della Wada una nuova puntata della guerra tra Putin e il resto del mondo dello sport. Che sia l'ultima è tutto da dimostrare.

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Giovanni Capuano