Lele Mora e le sue verità
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Lele Mora e le sue verità

"Una finestra sul carcere". Ecco quello che vuole essere il libro sui 407 giorni passati ad opera dal manager dei vip. O almeno questo è quello che era. Perché ora è molto di più giura chi gli è stato vicino durante tutta la disavventura

Emozione. Commozione. Tenerezza. E stanchezza. Ecco cosa traspare dal volto provato ma sereno di Dario Gabriele Mora alla presentazione del suo libro Lele Mora, La mia verità. Un piccolo volume dedicato ai figli Mirko e Diana senza i quali “la mia durissima detenzione sarebbe stata impossibile da sopportare”, come scrive lui stesso. Un libro che incomincia con una lettera della figlia che, a cuore aperto, non nascondendo tutta la sua fragilità, ringrazia il Signore per l’opportunità che le ha regalato: riscoprire un padre spesso assente e raccogliere tutto l’amore che non era stato in grado di dargli prima perché troppo impegnato ad apparire nel suo mondo fatto di “lustrini e luccichii”.

“Uno” riga dritto tutta la vita ma non se lo ricorda nessuno, se però si commette un errore, piccolo o grande che sia, ecco allora che tutti gli danno addosso, sentenziano e spariscono dalla circolazione. E’ il caso di Lele Mora, personaggio, certamente discutibile per certi versi, che è stato al centro dello scandalo Vallettopoli quando scoppiò nel 2007. Questo è quello che si ricorda la gente. Ciò che però è passato in sordina è che da quello stesso scandalo Lele Mora ne è uscito pulito: prosciolto nel 2008.

Emblematiche le parole dell’amico Mauro Coruzzi che, smessi i panni della soubrette, ha voluto sostenere fino in fondo il suo agente. “Tutti devono poter contare su qualcuno”, spiega il giornalista e conduttore, “e nel nostro ambiente non è certo facile: l’amore istantaneo, quello che dura da qualche giorno a qualche mese, esiste eccome, ma è raro trovare quello vero, duraturo. Quando Lele si è trovato in difficoltà tutti i suoi assistiti gli hanno voltato le spalle e sono scappati a gambe levate”. Così, con amarezza e commozione Mauro Coruzzi racconta delle difficoltà e della solitudine con cui l’amico ha affrontato il carcere.

“Questo libro vuole essere una finestra sul carcere”, rivela Lele Mora, “il racconto di 407 giorni di cui la maggior parte passati in isolamento”. Il manager vuole rivelare la sua versione dei fatti, quella che molti hanno tenuto nascosta o voluto deliberatamente coprire: “Vengo dalla provincia di Rovigo, da una famiglia di contadini che con fatica mi ha fatto studiare e diplomare alla scuola alberghiera. Ho avuto la fortuna di diventare l’agente di alcuni personaggi di cui ero fan. Ma purtroppo ho volato troppo alto e, come succede spesso in queste situazioni, le mie ali erano solo incollate e si sono staccate facendomi cadere tanto in basso da uscirne distrutto. Avevo perso i miei obiettivi, la mia strada, tutti i valori in cui avevo sempre creduto”.

Con Vallettopoli la società di Mora che gestiva oltre 100 artisti è caduta in disgrazia perché quelli che lui definiva amici, lo hanno abbandonato. Ha fatto le scelte sbagliate ma soprattutto si è fidato delle persone sbagliate. E così, con le difficoltà finanziarie, è arrivato anche l’arresto (il 20 giugno 2011) per bancarotta fraudolenta.

Cos’ha provato in quel momento? “Ero nel mio ufficio in Viale Monza, a Milano, dove era in corso un’importante trattativa. Il televisore era acceso. Ad un certo punto il mio sguardo cade proprio sullo schermo e mi sento rabbrividire leggendo "Arrestato Lele Mora per bancarotta fraudolenta". Inizialmente ho pensato a un pessimo scherzo. Ma, non sono passati che pochi minuti quando alla porta bussa la Guardia di Finanza. A quel punto mi è crollato il mondo addosso. Fuori c’era già uno stuolo di fotografi e giornalisti pronti a immortalare e vendere la mia foto in manette”.

Dopo le formalità Mora è stato trasferito nel carcere di Opera dove ha trascorso più di un anno di carcere nella sua cella numero 25 e dove ha avuto modo di riflettere su tutto ciò che era diventato, sul lusso sfrenato nel quale viveva e su tutti gli sbagli commessi.

“In carcere ho conosciuto persone formidabili”, continua Lele Mora, “alcuni agenti della polizia penitenziaria mi hanno assistito, mi sono stati vicini, mi hanno dato conforto: sono stati a lungo i miei angeli custodi. E nella sofferenza ho riscoperto la mia famiglia e l’amore dei miei figli. Ho incontrato il cappellano del carcere, Don Antonio, che non è solo un prete, ma un vero uomo. Mi portava tutte le domeniche la Comunione e mi ha accompagnato a trovare i miei genitori ai quali avevo detto che ero all’estero: non volevo dare una sofferenza troppo grande a mio padre perché credo che il dolore di avere un figlio in carcere lo avrebbe ucciso”.

Anche Don Mazzi ha voluto dire la sua: “Poche volte ho visto tanta sofferenza come negli occhi di Lele. E’ proprio vero che più in alto voli, più in basso cadi. Ma a chi dice che se l’è meritato rispondo che costui è uno stronzo perché la sofferenza è sempre ingiusta e nessuno la merita. Proprio per questo bisogna avere vicino qualcuno, perché se si hanno accanto persone che ci vogliono bene, la sofferenza è meno sofferenza”.

Cosa ha imparato Lele Mora da tutta questa vicenda?

La vita è una sola e va vissuta sì intensamente, ma non per questo alla leggera

Cosa voterà alle prossime elezioni?

Per cinque anni non posso votare, in ogni caso il voto è segreto…e comunque non ho mai votato!

Vogliamo parlare di Fabrizio Corona. Cosa si sente di dire su questa vicenda?

…ma sull’argomento arriva solo un “No comment”…

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Alessia Sironi