La scelta di Laureen
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La scelta di Laureen

Attrice porno per "ragioni di studio". La storia della giovane donna americana apre tutta una serie di riflessioni sulla libertà

Lauren è il nome della studentessa americana che ha scatenato uno scandalo ammettendo di girare film porno per pagare la retta della Duke University, prestigiosa università la cui retta è di 60.000 euro l’anno.

Era una faccenda privata, che teneva nascosta al mondo accademico. Poi i social, sempre loro, l’hanno fatta trapelare. Di fronte al diluvio di richieste e messaggi su Facebook, Lauren ha deciso di fare una dichiarazione pubblica sul giornale dell’università: "Lo faccio perché mi piace. Alla fine di ogni scena mi sento più forte, perché ho la sensazione di essere una donna che ha deciso di essere padrona della sua sessualità, contro tutti i pregiudizi".

La faccenda è interessante per due ordini di questioni:

1) il sensazionalismo dei media. Basta googlare le parole “prostituzione” e “studentesse” per farsi un’idea di come il “fenomeno” non sia una novità di questi giorni e non riguardi solo Lauren.

Da anni vengono fuori dati e sondaggi su quante studentesse (più qualche studente) vendano il proprio corpo direttamente, o in forma di foto hard o biancheria usata, per fare quattrini.

In Giappone, tanto per fare un esempio, la biancheria intima delle studentesse viene venduta in comodi distributori automatici. Le ragazzine, anche molto giovani, che in cambio di semplici ricariche del cellulare si spogliano in webcam o si concedono nei bagni dei centri commerciali suscitano stupore solo per il grado di ipocrisia con cui ne parlano giornali e televisioni.

Quasi ogni anno, puntualmente, viene fuori qualche articolo che riporta aste per la verginità di qualche ragazza, vinte da qualche facoltoso mecenate su ebay. Ci provano anche alcuni uomini, ma con meno fortuna.

Viviamo un mondo in cui tutto è in vendita. Corpo e dignità compresi. Se il mercimonio sul proprio corpo è “il mestiere più antico del mondo” non lo è per caso, se ne facciano una ragione quelli che si limitano a puntare il dito sui costumi contemporanei, senza guardare al passato con obiettività.

È vero però che in questi anni di crisi si sono dovute moltiplicare le inchieste su come “arrotondano” le casalinghe. Figuriamoci le studentesse, che dalla loro hanno, mediamente, un mercato maggiore dato dalla giovinezza.

Prostituzione, pornografia e quant’altro sono il dato sensibile di una società, come la nostra, in cui il denaro è uno strumento indispensabile non solo per sopravvivere, ma anche per vivere secondo le possibilità che si vorrebbero avere. Se vacanze, vestiti, macchine, bella vita, sono il miraggio che ci viene posto davanti, perché non dovremmo provare ad afferrarlo?

L’indignazione, su questi temi, ricorda quelli che dicono frasi tipo “siamo troppi su questo pianeta” oppure “se i cinesi avessero tutti il frigorifero sarebbe una catastrofe ambientale”. Comodo fare gli ambientalisti sulla pelle degli altri. La cosa più comica, da questo punto di vista, sono le conduttrici televisive, milionarie, tirate a lucido, sempre svestite, legate a uomini e realtà a dir poco torbide, che tuonano nelle loro trasmissioni contro la mancanza di valori delle giovani generazioni, abbandonandosi a riflessioni sul valore della bellezza interiore e di una vita di sacrifici e impegno che non hanno mai conosciuto, e che non vorrebbero neanche per dieci minuti.

Tanto rumore per nulla.

2) la pretesa di libertà. Specie nelle donne, specie nelle ultime generazioni, va passando il messaggio che la libertà dai pregiudizi passi per la libertà di oggettizzare il proprio corpo (ce ne sono a pacchi, di presunte libertà, comprese quelle di trasformare ogni questione in una battaglia di genere, fino all’assurdo di negare generi e fisicità, ma andremmo fuori tema). La libertà, in una parola, è consapevolezza. Anzi. L’azione che deriva dalla consapevolezza. Una persona non è libera se ha voglia di fare un salto dalla finestra. Lo è se conosce la legge di gravità ed evita di buttarsi.

Conoscere le leggi che ci determinano, non solo quelle fisiche, chimiche, biologiche, anche quelle sociali, essere consapevoli, e agire di conseguenza, è l’unica libertà possibile.

Nella presunzione che la libertà sia “fare quel che si vuole”, tutto diventa uno sballo, una scelta, un diritto. Ed ecco l’esercito di inconsapevoli che, convinte di scegliere, si fanno scegliere. Dal porno, ad esempio.

Esistono attrici porno che hanno sfruttato la loro carriera, ne sono parzialmente uscite, e hanno fatto la loro strada (non di rado schiantandosi nel fanatismo religioso).

A quelle di loro che erano consapevoli del corso che stavano dando alla loro vita, tanto di cappello. Ma la maggior parte sono disperate senz’arte né parte, ignorantelle dei sobborghi, oppure, come in questo caso, studentesse con poche risorse e grandi ambizioni. Tutto lecito, per carità.

Sarebbe carino che non la propagandassero come una scelta “femminista” (posto che, già la parola, di per sé, non vuol dire niente).

Si può filosofeggiare quanto si vuole, su queste questioni, la cartina di tornasole è nel senso comune: vorrei avere una mamma che gira film porno? Vorrei che mio figlio avesse una mamma che gira film porno? Vorrebbe un uomo normale, sensato, adulto, responsabile, costruire una famiglia con una donna (il discorso può, con qualche variazione, essere ribaltato) che gira film porno?

Ai “no” che grida la vostra coscienza, a prescindere da quel che sareste disposti ad ammettere in pubblico, l’ultima parola su questa faccenda.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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