Cogito, ergo... Cogito
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Cogito, ergo... Cogito

I nostri pensieri contano meno di quello che crediamo. Non dello stesso avviso è stato il giocatore di scacchi italiano che ha pensato di mangiare il cuore al suo coinquilino. Dopodiché lo ha fatto. Sbagliando mira...

Saverio Bellante, 34 anni, siciliano trapiantato a Dublino, nella notte tra sabato e domenica scorsi, dopo aver ucciso con un coltello e un bilanciere da palestra il suo coinquilino, Tom O’Gorman, 39 anni, per una lite su una partita a scacchi, si è consegnato alla polizia sostenendo di avergli mangiato il cuore.
Si è poi scoperto che a mancare era un polmone.

Questi i fatti, nudi e crudi.

Dalle ricostruzioni sembra che O’ Gorman gli avesse intimato di liberare la stanza e che questo abbia scatenato Bellante spingendolo ad aprire il petto del suo padrone di casa per mangiargli il cuore (ingurgitando erroneamente un polmone).

Sembra una versione aggiornata del racconto di Edgar Allan Poe, Il cuore rivelatore, fuso con il racconto autobiografico di uno scrittore contemporaneo giapponese, Issei Sagawa, che anni fa sparò a una sua compagna di studi alla Sorbona allo scopo di mangiarsela (arrestato dopo averne divorato il più possibile, essendo figlio di un miliardario nipponico ora è a piede libero, e della vicenda ha prodotto un albo a fumetti).

Ma sto divagando.

Parliamoci chiaro: se non per gli scacchi, per il Risiko, per il poker o per una partitella di pallone, avrò pronunciato almeno un milione di volte la frase “ti mangio il cuore”. Credo l’avessi sentita, bambino, da Mike Tyson, dopo un incontro con Holyfield, seduto sul divano con mio nonno. E, da allora, mi sembra che il pensiero guerriero di divorare il cuore dell’avversario, colpevole di averci mancato di rispetto, sia un pensiero più che legittimo.

Pensiero, non azione.

L’aforisma di Cartesio, “Penso, quindi sono”, nella sua concezione comune,  è fortemente sopravvalutato.

La realtà è “faccio, quindi sono”.

Siamo definiti dalle nostre azioni, se dio vuole, non dai nostri pensieri. È quel che facciamo che dice a noi stessi, e agli altri, chi siamo.

Quando ci viene presentato qualcuno, di solito, non ci viene detto “Questo è Ciccio, pensa intensamente ai bambini che muoiono di fame”, ma “Questo è Ciccio, pasticcere” o “Questo è Ciccio, avvocato”, etc, etc.

È con quel che facciamo che diventiamo noi stessi. I nostri pensieri, puri o non puri, contano meno di quel che crediamo.

Non a caso, se i pensieri venissero intercettati e avessero valore legale (come in un racconto di Philip Dick sono sicuro che certi fanatici giustizialisti stanno studiando il problema, per pubblicare sui loro giornali anche i nostri più biechi monologhi interiori) saremmo tutti in galera.

Non solo con la censura dei pensieri, ma anche con  le parole, dette, postate o twittate, pur dovendosi trattare diversamente dai pensieri, dovremmo andarci altrettanto cauti.

Un conto è dire “Uh, come non pagherei le tasse”, un conto è evaderle. Un conto è dire “Uh, se solo una tempesta solare mettesse fuori uso telecamere a circuito chiuso e test del DNA, al vigile matricola 1531 che mi da continuamente la multa sotto casa gliela farei vedere io”, un conto è andarlo a cercare sotto casa con una chiave inglese (anche se il viscido verme se lo meriterebbe).
Per una commistione di pigrizia giornalistica e voyeurismo degli utenti, si ha ormai l’abitudine, specie dopo che qualcuno ha fatto qualcosa di brutto o scioccante, di andare a vedere cosa diceva su Facebook. E poi constatare, compiaciuti: “Ah, vedi, ascoltava gruppi satanici” o “Hai visto, gli piaceva il sesso estremo”.
Ecco, l’esimio Bellante, di cui francamente nulla m’importa (m’importa meno di O’ Gordon, noiosissimo estremista luterano), tra i mille fatti di cronaca nera di ogni giorno di cui, non essendo una persona che coltiva bei pensieri e belle opinioni, nulla m’importa, può essere utile per smontare il giocattolo che vorrebbe vera l’equazione “buoni sentimenti (o begli status su Facebook) uguale buone azioni”.
La sua bacheca era un fiorire di canzoni di John Lennon, citazioni di Pif, vignette di Altan, post sulla trattativa Stato-Mafia, inviti a seguire l’amore e riflessioni tipo questa: “Vivendo all'estero (mi auguro non per sempre) si riscopre quanto sia bello essere italiani e forse ancor di più siciliani; a chi mi chiede mi piace infatti definire la Sicilia come un amplificatore dell'italia sia in tutti gli aspetti positivi che negativi. Ma ancor più di prima si ha anche la possibilità di capire la "notte culturale" in cui è il nostro paese da decenni e di cui la politica è la peggiore espressione".

Invito per questo tutti i miei amici a:

- continuare a votare anche se con gli attuali leader politici e legge elettorale significa stra-tapparsi il naso;
- non piegarsi al compromesso con il marcio nemmeno se apparentemente può portare qlcsa di buono (magari a un nostro caro);
- continuare a investire su noi stessi come persone, negli studi e quando possibile professionalmente;
- non avere dubbi che l'italia sarà quello che vogliamo e costruiamo ogni giorno in tutti i contesti in cui viviamo.

PS: sosteniamoci a vicenda nelle scelte giuste che richiedono coraggio e sono per questo controcorrente, perchè è così che ci si sveglierà e la notte potrà finire in Italia”.
Roba che, quando la vedo sulle bacheche altrui, io che posto solo crudeltà assortite, non posso non pensare dell’autore: “come vorrei mangiarti il cuore”.
Solo che poi io non lo faccio.
Bellante sì.
Anzi no.
In effetti era un polmone.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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