Rock and roll, rap e country nel nome di Gesù: il boom della christian music
Da Lauren Daigle al rapper NF passando per gli heavy rocker Skillet: il sound della musica cristiana sbanca le classifiche
Erano un fenomeno di nicchia gli artisti cristiani, un granello di sabbia nell’ingranaggio del music business, ma dall’inizio del 2019, la nicchia, un tempo relegata esclusivamente alle classifiche e alle playlist di settore (le cosiddette Christian Charts), è diventata mainstream, molto mainstream.
Che il vento stesse definitivamente per cambiare lo si è capito all’inizio dell’estate quando il rapper bianco Nathan Feuerstein, in arte NF, 28 anni dal Michigan, ha scavalcato tutti, compresa Billie Eilish, il fenomeno pop dell’anno, nella classifica più importante del mondo, ovvero la Billboard Top 200. Un fantasma per le radio e per i media (“Ha un disco al numero uno in America, ma il suo suono è miserabile”, ha scritto il New York Times), ma un idolo per milioni di teenager stregati dalle sue rime crude nei confronti della madre morta di overdose (“Perchè non ha voluto vedere i tuoi figli crescere? Mi chiedo se quelle pasticche fossero così importanti…”) e dal suo approccio alla fede (“Signore perdonami, sono un peccatore, grazie per avermi dato la musica come medicina") in un contesto musicale, quello dell’hip hop, che da sempre celebra lo stereotipo sesso, droga e vita da narcos.
C’è un altro sistema di valori dietro il boom degli artisti che non hanno più timori e pudori nel definirsi apertamente cristiani. Lo sostiene senza giri di parole uno che spopola tra gli under 18. Il suo nome è Chance The Rapper e il suo album più popolare, The Big Day, è un’ode, un monumento al matrimonio: “Io e mia moglie abbiamo una vita meravigliosa che ha come pilastro la fede in Dio” racconta l’artista di Chicago, la città dove è nato e a cui ha appena donato centomila dollari per un programma pubblico di reinserimento scolastico. Non conosce confini di genere l’onda lunga degli artisti cristiani in libera uscita dal ghetto della Christian Music.
Ne è una conferma John Cooper, leader degli Skillet una hard rock band del Tennessee che al centro delle sue canzoni mette “il messaggio di Gesù” racconta. “Il rock non è solo droga, sesso e depravazione. Lo dico con forza anche se ogni volta che mi presento in una radio per un’intervista c’è qualcuno che cerca di mettermi in imbarazzo, di fare facili ironie, di screditare quello che diciamo nelle canzoni sostenendo che essere credenti è incompatibile con l’iconografia e lo stile di vita rock and roll. Sono solo vecchi pregiudizi…”.
Dal profondo della Louisiana arriva invece Lauren Daigle, il volto della Christian Music che vince: il suo ultimo disco, Look up child, è al primo posto nelle Christian Charts da 47 settimane. Un trionfo che l’ha resa prima una caso nazionale e poi internazionale (nel 2020 ci sarà il suo primo world tour). Lauren ha come punti di riferimento le canzoni di Adele, il suono pop country di Nashville e una narrazione, quella della sua vita, snobbata con sufficienza dai media, ma adorata dalla gente che si riconosce nelle strofe delle sue canzoni. “A 15 anni una sindrome da immunodeficienza mi ha tenuto segregata in casa per due anni. Un singolo granello di polvere o anche uno starnuto avrebbero potuto essere fatali. Mi ha salvato la fede, sono guarita e ho iniziato a costruire quello che sono oggi” racconta la vocalist dell’hit mondiale You say (“Signore, mi fai sentire amata quando non c’è nessuno intorno a me, mi fai sentire forte quando mi sento esausta”).
Non ha molti amici nei giornali e nelle tv che contano la Daigle: il rapporto con il suo pubblico è diretto e fatto di azioni concrete. Come le sua visita in un carcere femminile dell’Ohio dove ha suonato e pregato con le detenute invitandole a rinascere attraverso la fede o il finanziamento del programma Restore, un sistema di case-famiglia per ragazze coinvolte in giri di prostituzione e pornografia. Piacciono e sono il simbolo di un nuovo approccio culturale nello star system le celebrità redente o che ammettono di credere e praticare senza se e senza ma. Come Justin Bieber, un passato da teen idol tra droga, alcolici, spese folli e depressione, e che adesso, dopo i sold out nelle arene e nei palasport di tutto il mondo, si esibisce in chiesa intonando “Signore, non ce l’avrei mai fatta senza di te”.
Aveva iniziato così anche Katy Perry, quando ancora si faceva chiamare Katy Hudson e incideva canzoni gospel. Fu un flop e allora decise di passare sulla sponda del sexy pop sbancando le classifiche all’urlo di “I kissed a girl and I liked it”. Un trionfo che fece sprofondare nell’imbarazzo il padre Keith un severo predicatore evangelista che di fronte alle perplessità dei fedeli si limitò a dire: “Pregate per lei”.