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Paolo Sebastiani
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Vorkuta, dove un tempo c'era un gulag

In Russia a raccontare la vita di Vorkuta, luogo di reclusione del regime di Stalin, tra freddo polare e storia

Oggi è una buona giornata a Vorkuta: ci sono «appena» 29 gradi sotto zero e un vento gelido soffia incessante, spazzando la tundra attorno. Già, in questa città della Repubblica dei Komi, profondo nord della Russia artica, il termometro in inverno scende anche a -40. Gli enormi condominî che costituiscono il centro urbano sono stati fatti costruire da Josif Stalin nel 1932. Obiettivo, gestire i gulag, i campi di lavoro forzato a cui erano destinati i «nemici del popolo». Nel 1950, il sistema di controllo e repressione del dissenso in Unione sovietica contava oltre due milioni e mezzo di reclusi, quell’immenso Arcipelago gulag descritto nel suo capolavoro dal Premio Nobel russo per la letteratura Aleksandr Solženicyn, del quale si è chiuso a fine 2018 il centenario delle celebrazioni dalla nascita. Qui finirono perfino le mogli di altissimi esponenti del regime, come Vjaceslav Molotov.

Vorkuta oggi vive prevalentemente di giacimenti di gas e di petrolio; ma l’economia locale sviluppa anche l’allevamento delle renne, tradizionale prerogativa dei Nenci, la popolazione autoctona d’origine samoieda che storicamente occupa queste zone. La città, che ha raggiunto i 115 mila abitanti nel 1989, dopo il collasso dell’Unione sovietica ha iniziato un declino demografico – secondo un destino condiviso da tutti gli insediamenti dell’artico russo. Così, nel 2018, all’anagrafe sono risultate iscritte poco più di 50 mila persone.

Facendo un passo indietro, in città i funzionari della polizia politica sovietica vivevano con le famiglie nelle «stalinki», enormi costruzioni, ampie e lussuose, destinati alla nomenklatura. Gli internati nei lager venivano invece utilizzati come operai-schiavi per estrarre il carbone dalle miniere della zona, nel 1934 duemila di loro vennero impiegati in condizioni di lavoro durissime per costruire la ferrovia destinata al trasporto verso ovest del minerale. Per la prima volta nella storia una ferrovia veniva costruita sul «permafrost», la superficie ghiacciata del terreno, oltre il Circolo polare artico.

Il tasso di mortalità nei gulag amministrati - con pugno di ferro - dai burocrati di Vorkuta oscillava tra il 7 e il 17 per cento. Nel 1937 i prigionieri iniziarono uno sciopero della fame, nel tentativo di sensibilizzare sulla loro condizione. Stalin per tutta risposta dette l’ordine di fucilarli,tremila persone furono vittime di una gigantesca esecuzione di massa. In questa stagione il paesaggio oltre il confine dell’abitato ha la bellezza drammatica di certi film che raccontano un’apocalisse climatica. Neve altissima, veicoli sommersi dal bianco, suoni ovattati. Le bufere rendono infatti gli spostamenti molto difficili e Vorkuta, nonostante abbia un aeroporto, resta spesso isolata. I voli sono rari perché i piloti civili hanno bisogno di speciali abilitazioni per poter sorvolare la zona. Quindi il mezzo migliore per raggiungere la Repubblica dei Komi è proprio il treno, con quella stessa linea realizzata durante l’epoca staliniana. Così, per percorrere i duemila chilometri tra Mosca e questo estremo nord, ci siamo adattati a trascorrere 48 ore in vecchi e scomodi vagoni, agganciati a una locomotiva sfiatata che non riesce a superare i 50 chilometri all’ora.

Nella sistemazione migliore offerta dalle ferrovie russe per la lunga tratta, bisogna condividere una cabina da sei persone con cuccette mal imbottite. Va ancora bene, perché le alternative sono un vagone-cuccetta da 24 o da 64 posti, entrambe con un solo bagno. Per pochi rubli, si può fare anche l’intero viaggio in uno scompartimento con sedili di legno. Sistemazione davvero poco raccomandabile per la schiena. Il servizio ristorante in ogni caso non è previsto, e chi non parte organizzato resta a digiuno. D’altra parte questo è il pegno pionieristico da pagare per entrare nella dimensione parallela dell’Artico.

«Vivere qui non è facile per nessuno, ma la mia preparazione professionale mi ha aiutato». A parlare con Panorama è Julia Sinelnikova, 30 anni, un sorriso sul volto luminoso, e occhi azzurri grandi e profondi che rivelano un carattere forte. Julia infatti è stata militare per cinque anni nei servizi segreti della Federazione proprio qui a Vorkuta. La posizione così avanzata della città è un luogo perfetto per insediarvi importanti uffici dell’Fsb, l’intelligence nata dalle ceneri del Kgb sovietico. Aggiunge Julia: «È molto difficile superare la selezione ed essere ammessi al servizio e per me era un sogno fin da bambina. Nei cinque anni che ho lavorato in questa zona artica facevo parte della Squadra aerea, che ha il compito di vigilare sui confini la Russia settentrionale e appunto l’oceano artico». La giovane donna ci riceve in una casa piccola e caldissima, piena di oggetti disposti in rigoroso ordine; le pareti con una carta da parati verde e decori d’oro danno all’ambiente un sapore rétro. Molti i libri di argomento artistico: Julia infatti è laureata in storia dell’arte a una prestigiosa università, quella di San Pietroburgo, dove si manteneva agli studi insegnando danza classica ai bambini. Ci mostra un album di fotografie delle sue missioni: «I piloti si alzano in volo da Vorkuta e monitorano l’immensa area della tundra. Cercano persone che entrino senza autorizzazione nel territorio della Federazione e i bracconieri. Qui al 67° parallelo, le condizioni sono estreme a meno 45 gradi. È necessario mantenere quindi un’eccellente forma fisica. La mattina si lavora in ufficio o si esce in pattugliamento; il pomeriggio invece è dedicato alla palestra, al nuoto e al poligono di tiro».

A Vorkuta, come si è capito, l’inverno è pressoché perenne e si raggiunge un certo tepore solo a luglio, col termometro che sale fino ai 10 gradi. Il ritornello di una canzone popolare, con la tipica ironia un po’ surreale dei russi, dice: «Qua ci sono solo dodici mesi d’inverno e il resto è estate!». Il record negativo della temperatura è stato comunque raggiunto con meno 52 gradi. In tali condizioni sono difficili anche gli approvvigionamenti di cibo fresco: da novembre a marzo nei negozi e nei supermercati non c’è traccia di frutta e verdure. Un altro problema per la salute degli abitanti, costretti a integrare la carenza di vitamine con compresse specifiche. Con appena due ore di luce al giorno in pieno dell’inverno artico, in particolare è scarsissima l’attivazione di vitamina D nell’organismo. Come conseguenza ci possono essere alterazioni dei processi di mineralizzazione delle ossa, con forme di rachitismo nei bambini o debolezza muscolare e dolori negli adulti.

Parliamo di questi problemi con la dottoressa Irina Arzamastseva, una simpatica signora di 58 anni con i capelli scompigliati, responsabile del laboratorio d’analisi dell’ospedale di Vorkuta. Ci riceve nel suo ufficio dove tutto è essenziale e un po’ fané, eppure pulitissimo e ordinato: «Un clima così rigido porta le persone a scaldare le case con temperature eccessive. Uscendo, però, lo sbalzo termico provoca uno choc all’organismo, costretto ad adattarsi rapidamente dai 20-30 sotto zero esterni ai 27-28 gradi in ambienti chiusi». Ecco perché a Vorkuta si soffre spesso di forme influenzali che durano mesi. «L’effetto più preoccupante sulla salute» spiega ancora Irina Arzamastseva «sono le difficoltà respiratorie. La scarsità d’ossigeno, dovuta alla vicinanza al Circolo polare artico, impedisce una respirazione profonda, con conseguenze negative su tutto l’organismo, specialmente tiroide e polmoni». La dottoressa ha i modi pacati e informali di chi vive a Vorkuta: nonostante tutte le difficoltà, qui non si rinuncia a godersi la vita, trascorrendo il tempo libero nei centri ricreativi, nei caffè e nei ristoranti. Nelle belle giornate, anche col freddo più tagliente, per esempio, ci si spinge in piena tundra sui Wanderers, enormi automezzi che somigliano a piccoli carri armati più che a fuoristrada, e si va a fare picnic in mezzo alla neve.

Tutto in questa città è più caro rispetto al resto della Russia; ma anche gli stipendi, come succede nei territori del nord, sono più alti e l’età della pensione è più bassa, 55 anni. Parlando di politica la dottoressa Arzamastseva si rivela un’entusiasta sostenitrice di Vladimir Putin: «Grazie al lavoro che ha svolto in questi anni la qualità della vita ha avuto un notevole miglioramento, anche in questa zona remota. A Vorkuta siamo fortemente legati al Presidente. Qui, alle ultime elezioni, Putin ha raccolto oltre il 78 per cento dei consensi».

Fuori dall’ospedale, la prossima tappa di questo viaggio nel cuore dell’inverno russo è la casa dei Nenci. I primi, legittimi abitatori di questi territori, ancora vivono nella tundra intorno alla città; con l’isolamento dal resto del mondo hanno perso però anche parte della propria identità. Oggi sono circa 43 mila, dei quali 27 mila stanziati alle porte di Vorkuta. La progressiva industrializzazione della zona e il ridursi dei pascoli delle renne hanno costretto molti di loro a emigrare o a dedicarsi ad altre attività, soprattutto nelle industrie chimiche o petrolifere (le stime recenti dicono il 41 per cento della popolazione). A causa di un simile sradicamento l’aspettativa di vita - complice non secondario un alto tasso di suicidi - si attesta oggi intorno ai 45 anni.

Molti aspetti nella quotidianità dei Nenci sono rimasti comunque immutati: anche se sono influenzati dal cristianesimo ortodosso, per esempio, forti sono i legami con lo sciamanesimo. A capo di una nutritissima schiera di dèi e di spiriti venerati, c’è Num, il dio supremo che dimora in tutti gli elementi naturali e concentra in sé ogni fenomeno atmosferico. A lui, due volte l’anno, nel corso delle feste di primavera e autunno, i Nenci immolano ancora coppie di renne bianche. Piccoli di statura, i visi rotondi e arrossati dal gelo, il taglio degli occhi molto stretto - adatto a difendersi dal riflesso bianco che domina per quasi tutto l’anno - i Nenci conservano la spontaneità di chi è abituato a vivere all’essenza. Intorno alle tende coperte di spesse pelli di orso in cui abitano tutt’ora, i bambini giocano e saltano. Poco più in là, le mandrie di renne, la più grande risorsa per questa popolazione che le alleva da sempre per ricavarne carne, latte, cuoio, e perché costituiscono l’unico mezzo di trasporto. E proprio con le renne, nel periodo di Natale, i Nenci organizzano gare di corsa per le strade di Vorkuta.

Tra i condomini grigi che testimoniano un’altra epoca, sbucano piccole slitte trainate da questi animali. I guidatori li incitano gridando e sfrecciano felici sulla neve ghiacciata. Per un attimo, un Artico ancestrale sembra tornare ad avere la meglio sulla città che fu dei gulag.

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