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(Ansa)
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30 anni fa l'attentato in via Palestro a Milano. La notte della Repubblica

Come Eravamo

In occasione del trentennale della strage di Via Palestro a Milano e piazza San Giovanni a Roma, riportiamo tre articoli pubblicati su Panorama e datati 8 agosto 1993 parte di un dossier dei nostri cronisti sulla tragica notte del 27 luglio 1993


Sono da poco passate le undici. Il professor Umberto Veronesi, oncologo di fama internazionale, è appena rientrato nella sua casa milanese. Ma fa appena in tempo a togliersi la giacca: sente un'esplosione violentissima. I vetri di casa tremano, sembra che debbano andare in mille pezzi da un momento all'altro. Sono le 23,12 di martedì 27 luglio e a due passi dalla villa comunale è appena esplosa l'autobomba: una Uno grigia parcheggiata contromano nella centralissima via Palestro. Il professore si precipita in strada. Due passi e arriva sul posto. Lo scenario che gli si presenta lo atterrisce. Vetri, fiamme, urla, gente per terra che si lamenta. Una donna in divisa, un vigile urbano della compagnia di Porta Vittoria, piange tenendosi la testa fra le mani. Un pezzo di automobile sul tetto del padiglione della galleria d'arte moderna, il motore della stessa Uno grigia cento metri più in là. Sono saltate anche le condutture del gas: la fuga di metano provoca un incendio. "Sembra che abbia preso fuoco l' aria" urla qualcuno. Veronesi si china sul corpo di un ferito, cerca di prestargli le prime cure. Tutto inutile, il vigile del fuoco Stefano Picerno, 32 anni, morirà poco dopo. Insieme con lui sono rimasti per terra due suoi colleghi, Sergio Pasotto e Carlo Laterna, un vigile urbano, Alessandro Ferrari, e un extracomunitario che dormiva su una panchina, Driss Moussafir.

E' iniziato il conto alla rovescia della notte delle bombe.

Passano 58 minuti e a 600 chilometri di distanza, nel cuore di Roma, in piazza San Giovanni, un altro boato fa tremare la casa del capo della polizia Vincenzo Parisi. Questa volta l'autobomba è una Uno bianca, "come quella della banda di Bologna" osserva un cronista. Ma il ritrovamento della targa, Roma, esclude ogni collegamento. Anche lui scende subito. Arriva poco dopo monsignor Liberio Andreatta che stava dormendo nella sua stanza, al Vicariato, proprio il palazzo sotto il quale i terroristi hanno piazzato la macchina imbottita con lo stesso esplosivo usato in via Fauro, ai Parioli. "Vetri rotti, porte sfasciate, al posto dello scantinato un grande buco" ha raccontato monsignor Andreatta. Quando il capo della polizia è arrivato ha trovato un bilancio da guerriglia: 15 feriti, di cui uno però non si è mai presentato in ospedale, e vetri da tutte le parti. Sono quelli dei camper che tutti i martedì si radunano dopo le 22 in piazza San Giovanni per una compravendita fra appassionati di mezzi per il turismo plein air. Il supertestimone, quello che ha visto la dinamica usata dagli attentatori, è uno di questi camperisti.

Ma non è finita.

Passano dieci minuti. Il presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, che si trova da poche ore a Santa Severa, sul litorale laziale, sta parlando con un suo collaboratore che gli sta riferendo delle due bombe di Milano e Roma. Ma la telefonata viene interrotta bruscamente dal terzo scoppio. Arriva dal Campidoglio, a due passi dalla casa romana di Ciampi. Ancora un'autobomba. I danni sono incalcolabili: la facciata della chiesa del Velabro è praticamente distrutta. Altro che mare: Ciampi chiama il ministro dell' Interno Nicola Mancino, quello della Difesa Fabio Fabbri: "Alle due e un quarto di stanotte, a Palazzo Chigi per la riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza". Ciampi ha rotto due consuetudini: quella di informare i segretari dei partiti e quella di riunirsi al Quirinale. Arrivano, alle 2,15 in punto, tutti: Mancino, che presiede, Ciampi, Fabbri, il capo della polizia Parisi, quello dei carabinieri Federici, il comandante della Guardia di finanza Berlenghi, gli uomini dei servizi, il coordinatore Tavormina, i direttori Finocchiaro e Pucci, il numero uno della Dia, Di Gennaro, e quello della Criminalpol Rossi. Si delinea l'idea di un attacco al rinnovamento del Paese. Il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, costantemente in contatto con Ciampi, approva. E' una notte lunga per gli uomini del Palazzo romano. Ciampi per la prima volta ha dormito a Palazzo Chigi, cosa inusuale per un capo di governo.

Notte dura per quei pochi che vanno in piazza. Monetine, urla, insulti dalle migliaia di persone che si accalcano a San Giovanni e in Campidoglio. Ce l'hanno con Parisi che aveva iniziato la nottata, a mezzanotte e un quarto circa, accolto da fischi in piazza San Giovanni. Ce l'hanno con i servizi. Si fanno più veementi quando si sparge la voce di altre bombe nella capitale: una in via Gregorio VII, una all'Eur e una terza, alle porte di Roma, in via Grottaferrata. La polizia smentisce solo quella dell' Eur. E ammette di avere disinnescato un ordigno in via Grottaferrata. All'una di notte c'è chi arriva a invocare la pena di morte. Cercano il sindaco, anzi il commissario prefettizio. Ma nessuno l' ha visto, in piazza. Non si sono visti nemmeno l'ex sindaco Franco Carraro e l'aspirante Francesco Rutelli. Inizia per la strada, invece, la lunga notte di Marco Formentini, sindaco di Milano dal 20 giugno. Arriva in via Palestro poco prima dell'una. Lo hanno chiamato a casa, in via Cosimo Del Fante. E' pallido, sudato, incredulo, vestito di chiaro, con la camicia slacciata e senza cravatta. Prima di piombare in via Palestro si è consultato con l' assessore Philippe Daverio, che lo ha avvertito. "Vengo con lei, signor sindaco" gli dice Daverio. "No, è meglio che lei stia a casa e si tenga in contatto telefonico con me". Formentini si fa largo tra la folla, è bloccato dalle telecamere di Canale 5, la prima troupe televisiva arrivata sul posto. Dice che bisogna difendere "la democrazia degli italiani". Incontra, tra gli altri, il capo della procura della Repubblica di Milano Saverio Borrelli e Gherardo Colombo, uno dei sostituti del pool che indaga su Tangentopoli. Guardano increduli, avvolti, sotto le luci delle fotoelettriche, da un silenzio allucinato che contrasta con il chiasso vociante dell' altro capo della strada, i resti della Uno grigia, le mura gravemente danneggiate del Padiglione di arte moderna, il fuoco provocato dal gas che non smette di bruciare. A loro giungono lontane le urla di poliziotti e carabinieri che chiedono ai curiosi di non portarsi a casa i resti della macchina saltata per aria o le minacce di linciaggio al giovane marocchino che, approfittando della calca, aveva pensato di sfilare qualche portafoglio dalle tasche altrui. Un bel daffare per le forze dell' ordine. Anche per quel giovane agente, vestito in perfetto stile grunge che, per tenere lontana la folla, usa una paletta che gli ha prestato un vigile. "La mia si è rotta". E poi giù a raccogliere testimonianze. Da quella attendibile di Maurizio Ambrosoni, impiegato, 34 anni. Ricostruisce, per i giornalisti, cento volte la dinamica dei fatti. A quella, raccolta lì per lì, di un commerciante di 40 anni. "Mi chiamo Alberto, ma non voglio darvi il mio cognome. Ero sul balcone di casa, in corso Vercelli, quando ho visto un missile passare nel cielo. Poi la radio ha detto della bomba". Intanto si sono fatte le tre. Borrelli e Colombo se ne vanno via sulla stessa macchina. Torna in ufficio anche il questore di Milano Achille Serra. Il sindaco, Marco Formentini, va a casa. Giusto in tempo per ricevere la telefonata di Scalfaro: "Sono d' accordo con quello che ha detto".

La notte delle bombe è finita. Fra poco è giorno. E puntuale, alle 8,20 di mattina, Ciampi ha varcato la soglia del Quirinale.


«È una vendetta contro il nuovo»

"Più che una intimidazione sembra una vendetta ma noi a Milano rispondiamo subito. Rimetteremo tutto a posto. Non faremo agli sciacalli il regalo di farci fermare". Marco Formentini, sindaco leghista di Milano giudica così l' attentato che nella notte del 27 luglio ha ucciso cinque persone in via Palestro. E parla con commozione della telefonata che il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, bersaglio degli attacchi della Lega, gli ha fatto la mattina di mercoledì 28 luglio. Domanda. Cosa le ha detto il presidente Scalfaro? Risposta. E' stata una telefonata molto commossa. Ha porto le condoglianze alla città per mio tramite, e ha detto di approvare le affermazioni che ho fatto a caldo quando ho detto che c' è bisogno di una unità nella risposta. Allora perché la Lega organizza una sua manifestazione e non aderisce a quella degli altri partiti? Io parlo come sindaco. Quelli sono problemi dei partiti. Ho convocato in seduta straordinaria il consiglio comunale dove parleranno tutte le forze politiche elette dai milanesi. Perché la strage sarebbe stata una vendetta? Sì. Perché gli attentati non intimidiscono la gente, ma ottengono l' effetto opposto. E quegli sciacalli lo sanno. Per questo penso che sia una vendetta contro coloro che vogliono il nuovo. E perché è stata scelta Milano? Proprio perché qui il nuovo si è espresso più che altrove. Vogliono impedirci di andare oltre. Allora lei pensa che sia un attentato contro la Lega. Più che contro la Lega in sé, contro la svolta radicale che è stata voluta dai milanesi. E' una strage contro il rinnovamento. A Milano è già successo con la strage di piazza Fontana nel 1969. La volontà di chi ha fatto gli attentati è la stessa. Anche allora c' erano fermenti che qualcuno voleva contrastare. La differenza è che adesso non sono solo fermenti, il nuovo si esprime con i fatti ed è inarrestabile. Ma chi sono gli attentatori? E' uno dei misteri d' Italia. Quando queste stragi avvengono negli altri Paesi, si arriva sempre a scoprire gli autori. Qui da noi mai. Questo dimostra chiaramente che gli stragisti da noi godono di alte protezioni. Lei parla di golpismo strisciante. Questi attentati non sono opera di dilettanti o di singoli pazzi. Sono la prova che esiste una organizzazione forte, dotata di mezzi e con una conoscenza e un controllo del territorio. Si tratta di schegge di apparati dello Stato, con potere e in rapporto con pezzi del mondo politico. Già Craxi, Mancino e Violante avevano denunciato il pericolo di attentati... Una bella preveggenza. Certo che siano stati il ministro dell' Interno e il presidente della commissione Antimafia a fare queste previsioni è inquietante. Perché naturalmente io penso che si sia fatto poi tutto per prevenire gli attentati, ma è altrettanto certo che le autobombe sono esplose. Quando finiranno gli attentati? Quando finalmente si colmerà il fossato che divide gli italiani non dal Parlamento, ma dai suoi attuali inquilini. Occorre andare entro l' anno a nuove elezioni per consolidare la democrazia. Questo farà piazza pulita degli attentatori e degli attentati. E Milano come reagisce? Bisogna rispondere con un superattivismo. Noi rifaremo la Villa Reale in tempi rapidi, senza farci frenare dalla burocrazia. Sono d' accordo con le manifestazioni e le assemblee dei lavoratori, ma adesso devono recuperare il tempo. La risposta è fare. E per i morti? Daremo una benemerenza ai quattro ragazzi caduti facendo il loro dovere. E un risarcimento a tutte le famiglie dei morti. Anche a quella del marocchino Driss Moussafir? Sì, anche alla famiglia di questo immigrato che in altra epoca forse avrebbe potuto essere accolto regolarmente a Milano e che invece qui è morto.


Giorgio Oldrini

Colpacci di coda. Erano attentati prevedibili. Dicono che mafia e poteri criminali sono sconfitti. Ma non domi

"Solo con l' attentato successivo spesso si riesce a capire il valore e il significato di quello precedente". Triste profezia, quella del presidente della commissione parlamentare Antimafia, Luciano Violante, pronunciata a poche ore dall' esplosione di un' autobomba in via Ruggero Fauro, a Roma. Era il 14 maggio, un anno dalla strage di Capaci e dall' assassinio del giudice Giovanni Falcone. La profezia si avvera: il 27 maggio a Firenze, in via dei Georgofili, è di nuovo autobomba. Questa volta con cinque vittime, mentre due settimane prima l' aveva scampata per un pelo il giornalista Maurizio Costanzo. Sono passati solo due mesi, e l' agguato in via D' Amelio a Palermo contro Paolo Borsellino, il magistrato erede di Falcone, è stato commemorato da nemmeno dieci giorni. A Milano e a Roma è ancora strage e tentata strage, con uno scenario notturno da colpo di Stato. Autobomba a Milano, in via Palestro (cinque morti). A mezz' ora di distanza, a Roma, ancora autobombe: in un angolo della piazza di San Giovanni in Laterano, luogo storico delle manifestazioni sindacali; e in via del Velabro, a un passo dalla Bocca della Verità. Solo feriti, stavolta. E, considerati i luoghi scelti per piazzare l' esplosivo, nessuna intenzione di uccidere, se non per puro accidente. La profezia si avvera ancora una volta, e scattano le somiglianze che possono ricondurre ai manovali degli attentati e anche agli ispiratori, quel mix di poteri mafiosi e poteri politico-eversivi che hanno segnato 25 anni di sangue. Con un' ultima, e rilevantissima, novità da Palermo: la spaccatura di Cosa nostra e del gruppo corleonese tra una frangia stragista e una, come dire?, vagamente moderata. Il segnale più facilmente leggibile è la resa di Salvatore Cancemi, classe 1942, capo della famiglia di Porta Nuova, in sostituzione di Pippo Calò, in carcere ormai da una decina d' anni. Cancemi si consegna ai carabinieri, annuncia di voler parlare delle malefatte corleonesi. Nemmeno venti giorni prima, Calò aveva a sua volta chiesto di essere sentito dalla commissione Stragi per riferire quanto a sua conoscenza sugli ultimi attentati. E non è tutto qui: a confermare la spaccatura di Cosa nostra tra falchi e colombe sono anche altre fonti informative e verifiche in Sicilia. Non siamo ancora alla classica guerra di mafia, ma la componente stragista è decisa a giocare il tutto per tutto. Con i suoi alleati tradizionali (uomini politici e funzionari traditori) che sono stati ugualmente messi alle strette e di fatto perdenti a causa delle inchieste giudiziarie che vanno avanti con buoni riscontri tra Roma e Palermo. L' esplosivo, dunque. E' il risultato più importante delle indagini condotte finora dalle procure di Roma e Firenze sugli attentati di via Fauro e via dei Georgofili. Tritolo, pentrite, T4: la stessa miscela per quattro stragi. Da quella del rapido 904 (24 dicembre del 1984), a via D' Amelio, a via Fauro, a via dei Georgofili. Non solo: a Firenze altri due attentati compiuti in coincidenza con passaggi processuali delicati per Calò (processato per il 904) sono stati realizzati sempre con lo stesso esplosivo. Abitudinari, i boss e i loro potenti alleati, perché l' analogia continua. Pentrite e T4 anche nelle autobombe del 27 luglio a Milano e Roma. Ci vorrà tempo per la perizia chimica, ma la rassomiglianza sul piano della quantità del materiale usato e degli effetti provocati dalle esplosioni è apparsa subito evidentissima. Nessun dubbio, per gli investigatori, sulla medesima mano di chi ha architettato il piano eversivo della notte del 27 luglio. Rispetto ai due attentati precedenti una sola anomalia: non è stato un comando a distanza a fare saltare in aria le Fiat Uno, ma quasi certamente una miccia a lenta combustione. E siamo a un' altra costante, quella dell' auto utilizzata per il botto. C' è una Fiat Uno in via Fauro e ce ne sono ben quattro il 27 luglio, tutte rubate a ridosso della notte da colpo di Stato: la Fiat Uno di Milano è stata prelevata il 24 luglio; le tre di Roma due giorni dopo. Quale fondamento aveva la notizia raccolta dai servizi segreti che nel mondo della malavita si stessero cercando auto da utilizzare per attentati? E perché l' insistenza proprio nell' uso di quell' auto? Sisde e Sismi, i servizi d' intelligence civile e militare, non hanno brillato nel segnalare il rischio eversivo. Tant' è che il presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, nella tetra riunione tenuta a Palazzo Chigi a sole tre ore dalle bombe, ha avuto parole di rimprovero. Nemmeno 12 ore dopo ha sostituito il capo del Sisde, Angelo Finocchiaro, già indagato a Roma per non avere detto tutta la verità in una squallida vicenda di peculato che ha travolto il servizio. Tant' è: resta l' analogia della Fiat Uno che qualcosa dice agli investigatori. La sequenza degli attentati e gli ultimi luoghi scelti per attuarli. Ecco un altro punto chiave su cui stanno lavorando i magistrati di Roma, Firenze e Milano. E' un tassello strategico perché consente di collegare gli attentati tra loro e, nello stesso tempo, permette anche di capire come le modalità eversive stiano cambiando adeguandosi ai risultati da ottenere. Tranne che per via Fauro, dove l' obiettivo era Costanzo (i magistrati non hanno dubbi in proposito), negli altri casi sono stati scelti posti notissimi sotto l' aspetto artistico-architettonico (l' Accademia dei Georgofili con la Torre del Pulci a Firenze; il Vicariato di piazza San Giovanni e la chiesa di San Giorgio al Velabro a Roma; la villa di via Palestro con la Galleria d' arte moderna a Milano), ma dove difficilmente si poteva provocare una strage. In questo senso gli ultimi attentati quasi "giustificano" quello di Firenze che, proprio per la sua localizzazione, era suonato anche per il procuratore Pierluigi Vigna come un' anomalia. Così non è, si sono convinti gli esperti nei vertici succedutisi al Viminale e alla superprocura. Mafia e poteri eversivi vogliono ottenere la massima rilevanza a livello mondiale, vogliono colpire, ma non vogliono uccidere. Investigatori e magistrati si sono chiesti anche il perché di una scelta anomala che non ha riscontri nella storia dell' eversione italiana. C' è una possibile risposta, che parte proprio da Firenze: anche la strategia militare si adegua e mutua comportamenti. Ha detto il pentito Masino Buscetta: "Ora che Totò Riina si è strusciato con i colombiani...". E dalla Colombia arriva l' uso esasperato delle bombe per contrastare una strategia vincente dello Stato contro i narcotrafficanti. Dalla dinamica degli attentati alle motivazioni: è un aspetto su cui i magistrati cercano di essere il più vaghi possibile per evitare teorie, anche se un' idea chiara se la sono fatta. Una considerazione ricorrente è questa: in Italia, a metà del 1993, esiste una sola struttura militare in grado di organizzare attentati come quelli di Milano, Roma e Firenze. E' l' esercito della mafia che ormai conta solidi e ampi punti di riferimento in ogni parte del Paese. A Firenze il procuratore Vigna non ha dubbi che a colpire sia stata la criminalità organizzata toscana. E a Roma, per via Fauro, la valutazione è identica. Dagli esecutori ai mandanti. Il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, parla di attentato "politico" e di "intrecci mafiosi, dando a questa parola un significato molto più ampio". E dunque: esiste un' ala stragista di Cosa nostra (i corleonesi doc, un paio di famiglie palermitane e quelle dei grossi centri della provincia come Bagheria e San Giuseppe Jato) che non ha più nulla da perdere. Al suo interno la parte del leone la fanno i detenuti che ormai possono guadagnare solo da uno scontro, seguito da una trattativa, con lo Stato. Esiste un altro potere eversivo in Italia, quello che è ricorso alla strategia delle bombe tutte le volte che era necessario bloccare il sistema politico e impedire cambiamenti. Esponenti di rilievo del vecchio quadro politico sono ormai irrimediabilmente compromessi nelle inchieste, siano esse su argomenti di mafia oppure di tangenti. In passato le due centrali eversive hanno comunicato tra loro, hanno avuto interessi e obiettivi comuni, e sono state le inchieste a dimostrarlo. Oggi esiste una sinergia operativa che consente di ottenere gli stessi risultati. I magistrati della procura di Palermo ipotizzano due obiettivi. Da un lato, evitare il più possibile le elezioni per consentire alchimie istituzionali che mantengano gli attuali assetti. In tal caso, ci potrebbero essere altri attentati, ma senza decine di morti. Dall' altro, invece, riprendere completamente il controllo della situazione. E allora sarà strage con molti morti. Con un colpo di Stato in programma. "Questi attentati parlano a qualcuno che sa e che deve capire" dicono i magistrati che indagano. E aggiungono: "Peccato che ci siano dei morti, perché sono morti inutili. Il vecchio sistema, quello politico e quello della mafia, è già stato sconfitto. E questi sono solo dei colpi di coda". Resta da vedere quanto saranno forti.


Liliana Milella

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