Caro Valls, con Rohani a Parigi c'è poco da sorridere
L'Italia ha peccato di sudditanza culturale con il presidente iraniano. Ma a Parigi hanno poco di cui andar fieri con una politica estera piena di disastri
Ma che cosa combinate voi francesi con la Libia? Le statue censurate alle quali il nostro cerimoniale di Stato ha fatto indossare le braghe di compensato per non urtare la sensibilità coranica dell’iraniano Rohani fanno sorridere il premier francese Manuel Valls: “Ma che cosa avete combinato voi italiani con le statue?”.
Ora, va bene che noi italiani siamo quelli che siamo. Pronti sempre ad accomodarci a tutti, ospitali fino all’estremo, fino alla negazione dei nostri stessi valori, fino al ripudio dei nostri capolavori d’arte e della bellezza delle nostre sculture che qualcuno ha già ribattezzato “statue della libertà”.
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Va bene che nello scontro di civiltà noi siamo gli italiani brava gente che appena un maestro di cerimonie musulmano storce il naso per un’etichetta di Barolo o un seno nudo seppur di marmo si affrettano a inchinarsi, inginocchiarsi e genuflettersi e, come lo stesso Rohani ha riconosciuto in conferenza stampa, a “mettere sempre l’ospite a proprio agio”.
Ma non sono certo i francesi che possono darci lezioni di civiltà. E sono stanco dei sorrisini, li faccia la Merkel oppure Valls. La Germania non ha riconosciuto il problema dei profughi e ha voluto ignorare quello di una economia flessibile per risalire la corrente della crisi, eppure la Merkel sorrideva di Berlusconi e oggi ripone quei sorrisi nel cassetto e sbarra le frontiere.
Quanto a Valls, è il primo ministro di un Paese che non ha saputo integrare 6 milioni di musulmani, molti di seconda o terza generazione, e ha perso il controllo di parecchie banlieu e non è stato neppure in grado di prevenire uno solo degli attentati terroristici che hanno seminato strage e terrore, da Parigi a Marsiglia. E quindi, di che cosa parla Valls?
Sì, certo. Noi abbiamo un problema di sottomissione, forse anche di sudditanza culturale. Non siamo riusciti a conciliare l’interesse delle nostre imprese (contratti firmati per 17 miliardi di euro, tanto per cominciare) con le forme di una coesistenza tra culture che non fosse l’imposizione di una sull’altra (per di più a casa nostra).
Ma il primo che non ha peccati, in Europa, scagli la prima pietra. E se noi abbiamo le nostre statue coperte di vergogna (che non sono le nudità ma i pannelli che le celano), i francesi hanno da rimproverarsi una politica mediterranea, mediorientale, internazionale, che vanta solo insuccessi e disastri. Dal Mali alla Russia. E a ridere, dopotutto, sono e continuano a essere i tagliagole.
Ma francamente non mi va proprio di esser preso per i fondelli da francesi che le stanno sbagliando tutte, una dopo l’altra, e che hanno destabilizzato e distrutto la Libia come Stato unitario, abbattendo quel brigante di Gheddafi che però rappresentava un baluardo contro il fondamentalismo jihadista.
Trovo, lo ammetto, piuttosto triste il solito scaricabarile all’italiana sulla responsabilità della decisione di censurare quadri, porcellane, statue e monumenti. Alla fine ci rimetterà la testa il pesce piccolo, il capo del cerimoniale di Palazzo Chigi già a un passo dalla pensione, oppure il sovrintendente dei Musei capitolini che non si è resto conto (lui che avrebbe avuto tutti gli strumenti intellettuali per intercettare le insidie della situazione) che dietro quei compensati sarebbe andata ad annidarsi anche la nostra dignità di fronte a un Islam intollerante.