Usa e Venezuela, storia di una crisi (a metà)
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Usa e Venezuela, storia di una crisi (a metà)

Nicolas Maduro deve guardarsi anche dalle contromosse diplomatiche di Obama. Far saltare i rapporti economici tra i due Paesi in realtà non converrebbe a nessuno - Foto  - Guerra civile?

per LookOut News

Cresce la tensione lungo l’asse Washington-Caracas. Dopo le accuse di spionaggio rivolte alla Casa Bianca dal presidente Nicolas Maduro, Barack Obama ha deciso di alzare i toni iniziando a fare lo stesso gioco del collega venezuelano. E così, dopo l’espulsione di tre funzionari dal consolato statunitense di Caracas - accusati di aver incontrato e “incitato alla violenza” alcuni dei gruppi di studenti che da due settimane partecipano alle proteste antigovernative in tutto il Paese -, ieri sera Obama ha alzato la cornetta e “invitato” tre diplomatici venezuelani a fare le valigie e lasciare gli USA entro 48 ore.

Oltre che i diretti interessati, la sua mossa deve aver spiazzato di certo anche Massimiliano Alvarez, scelto proprio ieri da Maduro per assumere il ruolo di nuovo ambasciatore a Washington, formalmente con l’obiettivo di ricucire le relazioni tra i due Paesi dopo gli scambi di accuse delle ultime settimane. Alla luce di tutto ciò, è facile prevedere che il suo non sarà un compito affatto semplice. 

Un problema in più per Maduro, sempre alle prese con le manifestazioni di piazza contro il suo governo. Iniziate due settimane fa negli stati nordoccidentali di Tachira e Merida per poi svilupparsi principalmente a Caracas, le proteste vedono in prima linea soprattutto studenti e sostenitori dell’opposizione antichavista, ma anche esponenti della classe borghese venezuelana, preoccupati per l’alto tasso di criminalità e messi gravemente in difficoltà dal dissesto economico del Paese, che ha prodotto un’impennata dell’inflazione e la mancanza di beni di prima necessità nei supermercati.

Gli episodi di violenza non sono mancati: stando a quanto comunicato dal procuratore generale Luisa Ortega, il bilancio ufficiale degli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza è di 13 vittime (le opposizioni parlano invece di 15 morti) e circa 150 feriti. Gli arresti sono stati oltre cinquecento. Dietro le sbarre sono finiti alcuni leader gruppi che stanno protestando ma anche Leopoldo Lopez, personaggio controverso (già in passato fu accusato di tentativo di colpo di stato) e figura chiave del partito progressista Voluntad Popular. A Lopez imputano l’incitamento alla violenza e l’aver cospirato con la CIA per rovesciare il governo. Nuove tensioni potrebbero registrarsi nei prossimi giorni, mentre oggi a Caracas centinaia di sostenitori dell’opposizione si sono assembrati di fronte all’ambasciata cubana, chiedendo che il governo de L’Avana non interferisce nelle vicende interne del Venezuela. 

- Primi dissensi nel partito di governo

Il clima non sembra dei migliori nemmeno all’interno della stessa maggioranza che sostiene Maduro. Pochi giorni fa Jose Gregorio Vielma Mora, governatore dello stato di Tachira - da dove le manifestazioni hanno preso inizio - nonché una delle voci più autorevoli del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), ha criticato il modo in cui il governo ha gestito le proteste, definendo “inaccettabile” il dispiegamento di truppe e l’uso delle armi da parte degli agenti della Guardia Nazionale e chiedendo la rimozione dei funzionari responsabili delle forze di sicurezza. La sua al momento è una presa di posizione isolata, anche se in molti hanno sottolineato la presenza di altri pareri critici all’interno del partito, un fenomeno che non si era mai registrato nei quattordici anni di governo di Hugo Chavez. 

- Gli affari prima di tutto

Per Maduro si prospettano dunque settimane delicate. Nonostante i primi dissensi interni, il presidente continua a godere dell’appoggio del suo partito, mentre a livello internazionale - dopo la morte di Chavez e l’uscita di scena dell’ex presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad - inizia a farsi sentire l’assenza di una sponda strategica come quella garantita nell’ultimo decennio da Teheran. Per restare a galla, Maduro prova ad aggrapparsi all’unica vera certezza di questi tempi bui, vale a dire il petrolio. Ed è qui che rientrano in gioco gli Stati Uniti. Al di là dei recenti scambi di accuse, Washington e Caracas condividono una fetta importante dei loro interessi petroliferi.

Nonostante la presenza della Cina, il principale cliente del greggio venezuelano continuano ad essere gli Stati Uniti, che da Caracas acquista un corrispettivo pari al 4% del proprio fabbisogno nazionale. Sul fronte opposto, il Venezuela sopperisce alcuni dei suoi deficit (come il gasolio e altri derivati) con ingenti importazioni dagli Stati Uniti. Senza dimenticare la CITGO, una delle maggiori raffinerie di petrolio presenti negli USA, controllata dalla venezuelana PDVSA (Petróleos de Venezuela). Insomma, i tempi degli epici scontri tra la rivoluzione bolivariana e l’impero capitalista degli yankee sono ormai lontani. Vada per le controffensive diplomatiche, ma gli affari anche in un momento delicato come questo vengono prima di tutto. Per ora.

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Rocco Bellantone