Tutti al gran valzer dei democristiani
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Tutti al gran valzer dei democristiani

Matteo Renzi, Angelino Alfano, Enrico Letta: mosse e contromosse degli «eterni» dc.

Quei giovani democristiani che ora sono saliti alla ribalta delle cronache della politica Renzo Lusetti li conosceva bene, visto che negli anni Ottanta ne era il leader come segretario del movimento giovanile della Dc.

Sa come la pensano, come si muovono. Comincia con Enrico Letta: «Se vi aspettate qualche trovata d’ingegno da Enrico, sarete delusi. Lui fa soltanto quello che gli chiede Giorgio Napolitano. È sempre stato un esecutore».

Poi su Matteo Renzi: «Tutti gli uomini di Matteo vogliono andare a elezioni. Lui è più cauto, ma alla fine si accorgerà di non avere alternative: se aspetta un anno e il governo va male, rischia di essere logorato. Se va bene, invece, Letta non aspetta altro per rivendicare la candidatura per Palazzo Chigi».

Infine su Angelino Alfano: «È in un vicolo cieco. Non mi meraviglierebbe se, accorgendosi di non avere un futuro politico, andasse tra un mese dal Cav per offrirgli la testa di Letta chiedendo per sé e per i suoi uomini le garanzie per una rielezione sicura. In fondo è lo spirito dc e questi sono tutti democristiani».

Già, il grande ballo è cominciato e probabilmente durerà poco. Si è creata una frattura di non poco conto tra «palazzo» e Paese. I protagonisti delle larghe intese hanno un indice di gradimento che si è ridotto ai minimi termini: Napolitano ha la fiducia di un italiano su due (55 per cento), insomma è il presidente di mezzo Paese; il governo, secondo Alessandra Ghisleri della Datamedia Research, è al 23,5 per cento (in una settimana ha perso 4 punti), piace cioè a nemmeno un italiano su 4, il peggior risultato da quando in Italia vanno di moda i sondaggi. Normalmente nei paesi occidentali quando un esecutivo arriva al 25 cade, per un motivo o per l’altro. E probabilmente succederà anche in Italia, in tempi brevi.

Le condizioni ci sono tutte. Da una parte c’è l’avvento di Renzi al vertice del Pd, e il sindaco di Firenze ha capito che l’attuale quadro politico rischia di diventare per lui una zavorra letale (il Pd ha perso 3 punti in una settimana). «Se non si cambia registro» riflette Matteo «se il governo non fa qualcosa, qui siamo morti. Ma mi domando: possiamo ritirarci in un’alleanza con Alfano e Carlo Giovanardi e con il Cavaliere e Beppe Grillo all’opposizione?». Dall’altra parte c’è appunto Alfano, che rischia di essere lasciato solo da un Pd dove Letta conta sempre meno e di trasformarsi nel capro espiatorio del fallimento di una stagione politica. L’ex delfino ci sta rimuginando su con la tipica litania del «chi me l’ha fatto fare».

E, come lo fa lui, lo stanno facendo i suoi. I segnali d’insofferenza sono molteplici: Maurizio Lupi è tentato di lasciare il governo per occuparsi del partito; e, ancora, uno strano documento (mezzo falso, mezzo vero) circolato in Nuovo centrodestra (Ncd) ipotizzava un ritorno in Forza Italia. In più le lusinghe degli ex fratelli di Forza Italia che tra critiche e insulti invitano Alfano a ripensarci. «Angelino» ripete Renato Brunetta «torna con noi». Ci sono tutti gli ingredienti per mandare in scena la parabola del figliol prodigo. Tanto più che Alfano nei prossimi 3 mesi ha un dono di valore da portare in dote al padre, al Cav ritrovato: le elezioni. Dipende da lui. «Gli sono affezionato» ripete Berlusconi. Ma parliamo dell’oggi. Tra un anno, per il Cav, Alfano potrebbe essere solo il leader di Ncd. O forse qualcosa di più. O di meno.

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Keyser Soze