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(Ansa)
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«Noi del sud e voi del nord» fa male alla scuola

Fa discutere l’intervista alla docente barese che, pur alimentata dalle migliori intenzioni, favorisce ancora una volta l’immagine di una scuola spaccata in due, tra nord e sud, ma prima ancora tra peggiori e migliori nel fare scuola. E non va bene

Che si tratti di vita in città o di relazione educativa, il sud è accogliente e valorizza, invece il nord respinge e castiga. Questi sono alcuni pensieri che emergono dall’intervista - del luglio 2023, sic! - alla professoressa di latino e greco del liceo classico Quinto Orazio Flacco di Bari Patrizia Grima. La docente commenta a tutto campo la scuola italiana, mostrandosi illuminante quando esprime concetti che è sempre bene ribadire, su tutti che “la scuola fa parte della vita”, indicando la via di una scuola che sia in dialogo, in ascolto e al servizio degli studenti. E’ un’ottima base di partenza educativa, così come è bello sapere che ci siano eccellenze che sono state valorizzate e premiate nella scuola in cui la prof. insegna. Il ragionamento però si crepa quando la docente riflette sul confronto tra i vari dati che riguardano la scuola italiana e trae alcune conclusioni che, in sintesi, premiano l’atteggiamento costruttivo delle scuole meridionali (tutte?!), bacchettando l’esigenza fine a se stessa delle fredde scuole del nord che puntano (tutte?!) al rispetto degli “standard” ministeriali.

Al di là degli stereotipi su cui si fonda questo riduzionismo, probabilmente estremizzato anche dalla necessaria sintesi giornalistica, rimangono gli interrogativi sulla scuola italiana e sulla lettura dei dati che provano, faticosamente, a descriverla. Così come resta la certezza che la scuola necessiti di autocritica e autoanalisi prima che di lotte intestine, regionalismi e gare a chi abbia gli studenti di maggior successo (e bisognerebbe anche qui chiarire cosa si intenda con questo termine) scegliendo di volta in volta la classifica o l’indicatore più utile ai propri ragionamenti.

Il caso si ripete ogni anno e puntualmente ha trovato spazio sui giornali anche qualche settimana fa. Tutto nasce dal confronto tra i dati INVALSI, che mostrano come alcune regioni del nord prevalgano nei saperi e nell’apprendimento, e le valutazioni conclusive dell’esame di maturità che, in disaccordo con le rilevazioni INVALSI, premia generalmente il sud Italia rispetto alle altre zone.

Sono indicatori diversi, certo, anche se per le quinte superiori i ragazzi coinvolti sono proprio gli stessi, e l’utilizzo più corretto di tutti questi dati non è certo quello di stabilire buoni e cattivi ma, nel caso di INVALSI cercare di rendere uniforme il livello medio di conoscenze e competenze, mentre con i dati che risultano dagli esami di maturità ogni istituto farà i propri conti all’interno e saluterà i suoi studenti diplomati, con tante buone cose per il futuro degli studi e della vita. Niente altro.

Non è questione di accoglienza, livelli standard, cozze alla marinara o scighera a gennaio. Si tratta invece di analizzare i dati per provare a fare meglio tutti. Si tratta di leggere questi elementi numerici e statistici per migliorare l’agire didattico nel proprio raggio d’azione, se si è docenti o dirigenti, o per garantire il diritto allo studio, se si è legislatori. O, ancora, prendersi le proprie responsabilità come cittadini se si vuole il bene della scuola e quindi, per estensione, del Paese presente e futuro.

La tentazione di bearsi per un’eccellenza è forte, anche legittima, certamente umana. Non si celebra però un successo criticando o ridimensionando l’altro, trovando il modo di fare un punto e a capo sottolineando la superiorità di uno e un solo risultato. Peraltro il proprio.

Dopo ogni tornata elettorale accade puntualmente che non abbia perso nessuno e che abbiano invece vinto tutti. Ecco, che la scuola ci risparmi ogni anno un copione simile nel commentare la forbice tra percentuali INVALSI e, a stretto giro, le lodi alla maturità. Manca davvero solo questo.

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Marcello Bramati