La sanguinosa guerra di Bengasi
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La sanguinosa guerra di Bengasi

Nel capoluogo della Cirenaica l’esercito regolare si affida alle milizie dell’ex generale Khalifa Haftar per avere la meglio sui gruppi islamisti

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Ammonta a oltre 250 persone il bilancio delle vittime dell’ultima ondata di violenze che ha coinvolto la città libica di Bengasi dalla metà di ottobre. Lo affermano fonti ospedaliere citate dal sito Bawabat Al-Wasat. Anche nell’ultima settimana gli scontri nel capoluogo della Cirenaica non si sono interrotti e solo nella sola giornata di ieri, 3 novembre, almeno 36 persone sarebbero morte nei combattimenti tra gruppi islamisti e le forze governative sostenute dalle unità militari dell’ex generale KhalifaHaftar. Sempre ieri, secondo quanto riportato da un portavoce dell'"Operazione Dignità”, Mohamed Al-Hajezi, l’Esercito Nazionale Libico (LNA) ha condotto raid aerei colpendo 30 veicoli appartenenti alla coalizione islamista Alba Libica, in viaggio da Sirte verso Bengasi lungo la strada che collega Wadi Harawa a Nawfaliya.

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 La tensione resta altissima anche a Sabri, area portuale di Bengasi. Qui l’esercito libico aveva imposto ieri un ultimatum ai miliziani di Ansar Al Sharia intimando ai residenti del posto di lasciare le proprie abitazioni prima dell’inizio delle offensive. Sempre nella giornata di ieri una nave della marina libica sarebbe anche andata a fuoco dopo esser stata colpita da un missile lanciato da unità del Consiglio Rivoluzionario di Bengasi, poi respinte dalle forze governative verso l’area di Suq Al Hood. Gli scontri delle ultime 48 ore hanno messo a repentaglio le strutture sanitarie nelle vicinanze dell’Ospedale 7 Ottobre e di quello a Jumhuriya, il cui reparto maternità è stato colpito da un incendio. Mentre il primo novembre una forte esplosione aveva creato ingenti danni nei pressi del Benghazi Medical Centre.

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 La situazione non è migliore a Tripoli. Il primo novembre Alba Libica ha organizzato la “Maratona per la Pace”, ufficialmente nel tentativo di promuovere la coesione sociale e mostrare un volto pacificato della Libia. L’invito rivolto alle rappresentanze internazionali affinché facciano ritorno nella capitale sembra però destinato a cadere nel vuoto. Come era prevedibile la manifestazione ha invece innescato nuove dispute. Un gruppo di recente formazione, denominato Centro Operativo della Capitale (Capital Operations Centre), ha incitato la popolazione tripolina a scendere in strada il 15 novembre in segno di dissenso nei confronti dell’organizzazione islamista.

 D’altronde la reazione a questa iniziativa non avrebbe potuto sortire effetti diversi. In un rapporto pubblicato il 30 ottobre Amnesty International ha accusato le milizie islamiste – per lo più provenienti da Misurata – che si sono coalizzate in Alba Libica di aver commesso crimini di guerra e gravi violazioni dei diritti umani crimini di guerra: azioni di rappresaglia, rapimenti e torture sulla base di affiliazioni politiche o di appartenenza tribale. Orrori di una guerra civile di fronte alla quale l’Occidente continua a chiudere gli occhi. 

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