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(Ansa)
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I «complici» dell'extracomunitario che ha ucciso la donna di Rovereto

Quanto accaduto ci impone delle riflessioni sui concetti di «accoglienza» e «sicurezza». Senza ulteriori rinvii. Ce lo chiede la vittima

L’aggressione con tentato stupro ed infine trasformatasi in terribile omicidio a colpi di calci e pugni di una donna a Rovereto da parte di un extracomunitario, clandestino, con precedenti per altre violenze ai danni dei passanti (qui il video della sue azioni sempre in strada, un anno fa) non ha magari dei mandanti ma di sicuro ha dei «complici».

Il primo è quel concetto di accoglienza per cui dobbiamo portarci in casa chiunque lasci l’Africa (che ci sia guerra o no, poco conta). È il concetto degli amici dell’hashtag #restiamoumani, primi a farsi trovare nei porti italiani con i loro cartelli, i fiori, gli abbracci e l’esultanza ad ogni barcone, barchino o nave Ong carica di disperati. Gente il cui concetto di accoglienza è molto particolare dato che si esaurisce nell’esatto momento in cui queste persone, il 90% delle quali senza alcun diritto di entrare nel nostro paese, mette piede sul suolo italiano. Quello che succede da quel momento in poi non interessa, non importa. Quello che conta è stato abbracciarli, salutarli, lasciarli entrare a casa nostra. Peccato che però una volta in giro per le nostre strade queste persone vivono, anzi, sopravvivono, senza un lavoro, un documento, un progetto di vita. Li vediamo all’esterno dalle nostre stazioni a spacciare, rubare, dormire per strada, ubriachi, a volte drogati, decine e decine di volte fuori controllo. Il resto è cronaca: stupri, omicidi, violenze di ogni tipo; il tassametro di tutto questo sale giorno dopo giorno e la colpa, almeno la prima in ordine cronologico, è stato il lasciarli sbarcare.

Rovereto, l'assassino della donna un anno fa mentre aggrediva i passanti in strada

Rovereto, l'assassino della donna un anno fa mentre aggrediva i passanti in stradawww.panorama.it

L'extracomunitario clandestino già un anno fa, come si vede in questo video, era stato autore di un'aggressione in strada

C’è poi la seconda colpa da dividere tra giustizia e politica; in un paese minimamente serio, non un regime, parliamo di una democrazia che sappia solo farsi rispettare, chi per strada, a torso nudo, prende a calci le persone che passano in macchina, in bicicletta e a piedi (riguardatevi il video qui sopra) su quella strada, da uomo libero, non ci torna, almeno per qualche annetto. Se poi il soggetto è clandestino, senza fissa dimora, lavoro, documenti con obbligo di firma allora lo si mette su una nave o su un aereo e lo si rispedisce a casa sua. E non perché siamo razzisti o cattivi ma perché è un pericolo per la società, come abbiamo visto oggi.

Beh, potrete dire, si tratta di eccezioni; la maggior parte non uccide, non aggredisce. Sarà anche vero ma andatelo a dire ai parenti della donna uccisa che siete disposti accettare un omicidio qui, uno stupro là in nome degli altri, onesti. Perché la donna di Rovereto di oggi potrebbe essere vostra moglie domani che fa jogging al parco o vostra figlia che sta andando a prendere un treno per l’università o vostra mamma che sta rientrando dalla spesa. Nell’incertezza preferiamo non correre il rischio.

C’è poi una terza colpa, culturale. Per decenni, per troppo tempo, chi in questo paese ha parlato di sicurezza è stato tacciato di essere un fascista, uno di «destra», un violento mascherato da politico o poliziotto, al minimo un fanatico. Ultimo esempio: «Ventimiglia dominata da regime fascista», parola di Michela Murgia che ha commentato così due giorni fa la decisione del comune al confine con la Francia di aver messo a presidio del cimitero, dove i migranti clandestini bivaccano da anni, alcune guardie giurate. "Fidiamoci di noi" era invece lo slogan scelto dal sindaco di Rovereto, Francesco Valduga (centrosinistra) all'indomani della prima aggressione dell'assassino di oggi.

Sicurezza è stata e forse è ancora una cosa di cui non si può parlare se si vuole essere «politically correct». Eppure se ne parla; se ne parla in famiglia, la spieghiamo i nostri figli ed alle nostre figlie dando indicazioni su cosa fare, chiedendo di essere informati su spostamenti, orari, compagnie; se ne parla a tavola con gli amici, tra vicini di casa. La sicurezza è un valore fondamentale, se non il primo sicuramente tra i primi. Al punto che dobbiamo porci una domanda: esiste libertà senza sicurezza?

E la risposta è una sola: no.

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Andrea Soglio