Sì al nuovo Senato, ma senza Berlusconi Renzi falliva
Passa con soli 183 voti la riforma in prima lettura a Palazzo Madama. Romani (FI): "Porta le firme di Renzi e di Berlusconi". E l'ex premier dichiara: "Siamo tornati protagonisti" - Senato: cosa cambia
Che Matteo Renzi senza Silvio Berlusconi non avrebbe mai potuto portare a casa la riforma del Senato fin dalla prima lettura, a Palazzo Madama, non lo dice solo Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia. Che mette subito le cose in chiaro: “Questa riforma porta le firme di Renzi e Berlusconi”. Ma lo dice anche, per ragioni opposte, Vannino Chiti. Così, il capo dei dissidenti pd, motiva innanzitutto il suo mancato sì alla riforma che avvia il superamento del bicameralismo perfetto: “Io non posso votare la riforma Renzi-Berlusconi”.
Il Cav è il convitato di pietra di venerdì 8 agosto 2014, che registra il primo passaggio per sveltire i processi parlamentari eliminando la navetta tra le due Camere per l’approvazione dei provvedimenti. Il Senato non sarà più eletto direttamente, non porrà più la fiducia al governo, sarà il Senato dei 100, con 95 rappresentanti eletti dalle istituzioni territoriali e 5 di nomina da parte del capo dello Stato. Ma ci vorranno altre 4 letture (in tutto saranno 5) tra Camera e Senato per superare definitivamente il bicameralismo paritario.
L’apporto decisivo di Forza Italia e di Berlusconi, che, come dice Romani, “già nel ’95 parlò di questa riforma in un discorso a Montecitorio”, quello stesso Berlusconi, dice ancora Romani, “fatto decadere proprio in quest’aula recando un vulnus alla democrazia”, è evidente: la centralità del convitato di pietra viene fotografata dai numeri. Sono impietosi per il premier.
La riforma passa per soli 183 voti. Altro che quei 2 terzi con i quali non è necessario il referendum confermativo. La Lega e i Cinquestelle escono dall’aula. Vasta è la dissidenza in casa Pd e molti banchi di Forza Italia sono vuoti. Tra i numerosi interventi in dissenso c’è anche quello della senatrice a vita Elena Cattaneo. Il senatore Augusto Minzolini, capo dei dissidenti azzurri, attacca il presidente del Senato Pietro Grasso: “Lei all’inizio aveva messo il voto segreto poi si è trasformato in un moderno Don Abbondio!”. Non è un caso che le poche volte che c’è stato il voto segreto il governo sia andato sempre sotto.
Renzi non può esibire il trofeo. E su twitter ammette che il processo per l’approvazione definitiva della riforma sarà ancora “lungo e non privo di intoppi”. Anche se, sottolinea, “nessuno fermerà il cambiamento”. Quel cambiamento che però, afferma Maurizio Gasparri (FI) “potrà esserci solo con Forza Italia”. Ma se sulle riforme istituzionali “Renzi ha il nostro supporto, sull’economia la nostra sarà un’opposizione ferma e responsabile”, osserva la vicecapogruppo azzurra Paola Pelino. Che l’altra notte al voto di fiducia sul decreto competitività ha attaccato duramente la politica “delle promesse e degli annunci”: “Quella degli 80 euro è la lotteria Renzi”. Sotto accusa c’è una politica che, dice Pelino, “non tiene conto dei deboli e delle imprese, volano dell’economia, una politica fotografata dal dato impietoso dell’Istat sul Pil”.
Le elezioni anticipate sono una parola che spesso viene evocata nel dibattito a Palazzo Madama. Ne parla Roberto Calderoli (Lega Nord) secondo il quale Renzi ha voluto fare “la forzatura” della riforma per andare a votare. È lo stesso pensiero di Minzolini che mette in rilievo il disagio del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, dove “molti sono tentati di tornare con Forza Italia e questo farebbe venir meno la maggioranza”. E’ chiaro che l’asse Renzi-Berlusconi, frutto, come dice Romani, “finalmente di una legittimazione reciproca”, asse certificato dal voto in Senato fa entrare sempre più in fibrillazione Ncd.
Sul territorio sarebbero molte le iniziative del partito che stanno facendo flop; in più oggi mentre Gaetano Quagliariello fa la dichiarazione di voto, Renato Schifani esce dall'aula e ascolta il suo collega di partito dal monitor in Transatlantico. Ma un azzurro di rango è netto: “No, non vedo proprio elezioni anticipate all’orizzonte”.
Quel che è certo è che paradossalmente il governo anziché celebrare il suo trionfo oggi certifica la sua debolezza. C’è un governissimo all’orizzonte? Sempre la fonte azzurra: “No, niente governissimi, ma vista la disastrosa situazione economica approveremo quei provvedimenti che potrebbero portare benefici al paese”. Sembra che Berlusconi l’altro giorno a Palazzo Chigi sia stato molto netto con il premier e gli abbia detto che Forza Italia potrebbe appoggiare solo provvedimenti che allentino la pressione fiscale. E’ comunque un fatto che i numeri al Senato per Renzi si vanno sempre più restringendo: l’altra notte la fiducia sul decreto Competività è passata con soli 155 voti, e il giorno prima quella sul decreto della Pubblica Amministrazione con 159. Il governo nel giorno del suo insediamento al Senato ne aveva avuti 169. Mentre Calderoli denuncia pressioni da Palazzo Chigi per far approvare la riforma (“Non mi hanno chiamato solo il Papa e Putin, per il resto tutti”, ironizza”), il ministro Maria Elena Boschi poco prima del voto usava l’arma della dolcezza. Racconta un senatore azzurro: “Mi ha telefonato per ringraziare il tono che abbiamo usato...”. Renzi non ha più quel “jet nel sedere” del “canguro con il quale Grasso ha cassato in un attimo 1400 emendamenti”, commenta coloritamente Calderoli.
A sottolineare il contributo decisivo di Forza Italia è intervenuto anche lo stesso Silvio Berlusconi con una lettera inviata ieri ai senatori ma resa pubblica solo oggi dopo l'esito delle votazioni in Senato: "Siamo tornati protagonisti dopo mesi tormentati. Sono e sarò ancora vicino a voi per combattere e difendere la nostra libertà. Spero di poterlo fare a 360 gradi con il recupero entro pochi mesi della piena agibilità politica ed elettorale". Berlusconi conferma anche la linea di FI, collaborativa sulle riforme ma di opposizione al Governo a partire dalla politica economica: "Il nostro movimento è diventato l'unica opposizione credibile a un Governo che si è dimostrato fin qui incapace di tagliare le spese, di ridurre le tasse e di realizzare vere riforme strutturali".