Polizia e Fbi contro l‘Ndrangheta: la droga nei carichi di frutta
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Polizia e Fbi contro l‘Ndrangheta: la droga nei carichi di frutta

Operazione Columbus: arresti fra la Calabria e gli Stati Uniti. Al centro della trama Gregorio Gigliotti, calabrese incensurato trapiantato nel Queens

Calabria-New York, tonnellate di droga nascoste in carichi di frutta tropicale, un fiume di dollari e un anonimo ristorante con cui coprire le attività criminali.

È la nuova "Pizza connection" al sapore di ‘nduja, perché la ‘ndrangheta si muove agile da una sponda all’altra dell’Oceano e ha ormai sostituto Cosa nostra nei rapporti con the mob, la mafia Usa, confermando la sua leadership di organizzazione globale del narcotraffico.

A svelarlo stamani un’operazione (in codice "Columbus") dello Sco, il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato guidato da Renato Cortese, insieme al Federal Bureau of Investigation e all’Homeland Security che ha portato a 13 arresti e oltre 30 indagati tra Crotone, Sinopoli, Vibo Valentia e gli States.

L'accusa è associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, aggravata dalla transnazionalità e dalle modalità mafiose.

Gregorio Gigliotti, nel ristorante
Al centro dell’indagine Gregorio Gigliotti, calabrese incensurato trapiantato nel Queens. Nel suo ristorante «Cucino a modo mio», Gigliotti ha scelto con cura cosa cucinare, facendo tesoro del suo motto «prepariamo ogni piatto con ingredienti freschi». E così ha organizzato spedizioni dal Costa Rica in cui al posto della manioca c’erano chili di coca, pronti per essere spacchettati divisi e affidati a corrieri di tutta Europa. La droga, per il ristoratore calabrese, è affare di famiglia: è la moglie Eleonora Lucia a fare da spola per gestire modalità, quantità e valigette con 400 mila dollari in contanti da consegnare al suo contatto costaricano Armando. Quando gli agenti sono entrati nel ristorante per arrestarlo, lo scorso marzo, tra ruote di carro, sette nani, cestini di pane e campane appese al soffitto, hanno trovato 100 mila dollari, sei pistole e un fucile.

Lui, 58enne calvo con pizzetto e maglietta con la scritta "Italia" in bella mostra, sfoggia una vena violenta. "Ti ricordi il film 'Casinò?'", chiede al figlio Angelo, oggi in carcere, in una conversazione intercettata. «Ti ricordi cosa è successo ai due fratelli? Questo è quello che devo fare per lui ». Quei due nel film di Martin Scorsese, nato anche lui a Corona nel Queens, sono stati picchiati con mazze da baseball e poi sepolti mentre respiravano ancora nel deserto di Las Vegas.

Gigliotti, considerato l'erede del broker della droga nella Grande Mela Giulio Schirripa, arrestato nel 2008 nell'ambito dell'operazione Solare 1, sarebbe stato in contatto con i narcos, esponenti delle famiglie mafiose newyorkesi, come vicino e amico il ristoratore Anthony, Tony il duro, Federici, filantropo con accuse di riciclaggio legato alla famiglia dei Genovese, e proprio ai Genovese Gigliotti si sarebbe rivolto per ottenere i finanziamenti da investire nel traffico di cocaina verso l' Italia e naturalmente con le ‘ndrine della terra madre.
Il suo braccio operativo a Reggio sarebbe stato Franco Fazio, candidato nella lista del Cdu alle comunali di Lamezia Terme, pronto all’occorrenza a raggiungere i grattacieli di New York o ad andare in Costa Rica, ma in mesi di intercettazioni e pedinamenti gli investigatori lo hanno visto stringere accordi con uomini vicini ai clan di tutta la Calabria, in particolare con Francesco e Carmine Violi, parenti della famiglia Alvaro di Sinopoli, i «carni i cani» che vantano ramificazioni in tutto il mondo.

Un business così redditizio che quando i primi sequestri scompaginano i soliti canali di spedizione, Gigliotti non si scoraggia e costituisce una società di import-export per non interrompere il traffico di frutta e assicurare il regolare arrivo di cocaina dal Costa Rica, passando per i porti di Spagna e Paesi Bassi, dove gli investigatori hanno trovato oltre 3 tonnellate di cocaina.

Nuove e vecchie alleanze
Le indagini, avviate diversi mesi fa, si sono sviluppate dopo l’inchiesta della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria denominata "New Bridge", che scoprì, nel febbraio del 2014, il "ponte" eretto tra le due sponde dell'Atlantico dalle ‘ndrine e dalla mafia americana.

Quello "vecchio" fu smantellato nel 2008 e riguardava le alleanze tra le famiglie mafiose palermitane e gli "scappati", quelli sfuggiti alla morte nella guerra fra cosche degli anni Ottanta, che volevano riallacciare fili criminali e nuovi mercati dopo l’era di Totò Riina.
Oggi il nuovo ponte che collega l’Italia con l’America è made in 'ndrangheta. I compari calabresi sono interlocutori affidabili e "solvibili", fanno affari con tutti e continuano a costruire il loro impero di mafia globalizzata.

Per la procura di Reggio Calabria che ha coordinato l’inchiesta emergono vecchie e nuove alleanze: "Da un lato, quelle statunitensi, dove si attesta il ruolo autorevole e baricentrico delle storiche famiglie della Cosa nostra americana; dall'altro, invece, si afferma il ruolo autoritario e di leadership di famiglie della ‘ndrangheta calabrese nella gestione del traffico internazionale di stupefacenti".

L’operazione l’hanno chiamata in codice "Columbus" perché proprio lo scorso 12 ottobre, giorno del Columbus Day, momento di orgoglio per gli italo-americani, gli investigatori hanno atteso in un porto degli Stati Uniti il primo carico di cocaina proveniente dal Centro-America. Oggi a navigare verso l’America c’è la ‘ndrangheta che con la "tradizionale struttura criminale, impermeabile all'esterno, caratterizzata da solidi vincoli di consanguineità e parentela si è perfettamente inserita nel tessuto criminale americano".

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Floriana Bulfon