Fassina: difendo i deboli, Monti, invece, i forti
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Fassina: difendo i deboli, Monti, invece, i forti

Bocconiano, come il premier, ma schierato con chi guadagna 1.000 euro al mese.Tutti gli strali del dirigente più arrabbiato del Pd. Che va a scuola di moderazione da Bersani

«Da dove vengo? Da Nettuno, provincia di Roma, papà operaio, falegname nella Asl di Anzio, mamma in casa. Si votava comunista, questo sì, ma non si respirava la politica, non se ne parlava mai, non sono nemmeno figlio d’arte».

Le sue scuole?
A Nettuno, fino al termine delle superiori.

La biografia ufficiale comincia invece da Milano. Meglio ancora, dalla Bocconi.
Vi arrivai nel 1985, quasi vergine.

Costava parecchio, la Bocconi.
Per i figli, le famiglie con niente soldi sanno fare sacrifici che non immagina.

Quasi vergine perché?
Il meno strutturato dell’università. Gli altri ragazzi sapevano più di me, mi affascinava il loro rigore intellettuale, morale... li seguii.

Era la Milano di Bettino Craxi e Paolo Pillitteri.
Non mi piaceva.

Cioè, non piaceva ai ragazzi moralmente e intellettualmente rigorosi che seguiva.
Non piaceva a loro e nemmeno a me.

Insomma, diventò comunista.
M’iscrissi al Pci.

Quanto allo studio, corso bocconiano di discipline economiche e sociali, il più difficile, dicono.
Forse. Eravamo il 10 per cento, una nicchia, il 90 preferiva economia aziendale.

Ricorda il momento in cui scelse la militanza nel partito comunista?
Eccome.

Vuole dircelo?
L’esimio professore di storia contemporanea della Bocconi aveva letto un mio scritto. Mi convocò una mattina: «Proprio sicuro, col suo background familiare e culturale, di frequentare un corso tanto impegnativo? Non vorrebbe cambiare?». Era l’inizio di primavera del 1986.

Il nome del professore?
Non lo farò.

Ma non cambiò corso.
Presi la tessera del Pci nel pomeriggio.

Capisco che ce l’abbia col chiarissimo professor Mario Monti.
Non ce l’ho con Monti.

Era sembrato.
Ce l’ho con quelli che non capiscono quanto rilevante fosse, e sia, concedere pari opportunità a chi non viene da famiglie privilegiate.

Non ce l’ha con lui, lo strozzerebbe solo.
Non era lui quel professore.

Sarà stato parente.
Può darsi che il professor Monti, stando al governo, subisca il fascino di disattenzioni simili.

Dottor Fassina, lei sembra vivere di affettuosi ricordi e di qualche rancore.
Non è così. Molto semplicemente, non posso e non voglio dimenticare le radici. Sono vissuto in mezzo a quelli che tirano avanti con 1.000 euro al mese. Conta, sa? Abitavo in una casetta acquistata da mio padre con mutuo ventennale dopo 45 anni di lavoro, di cui 5 senza contributi. Perdoni, se ripeto: casetta, mutuo ventennale, 45 anni, 5 senza contributi. Se sento parlare con nonchalance di come si campa bene con 1.000 euro in 4, oppongo buone e sentite ragioni.

Specifichiamo? S’incazza. Con qualche motivo, forse, ma lei s’incazza sempre.
Il meno possibile.

Poco che sia, difende interessi particolari. Ottimo per un sindacalista, chi invece va al governo, come potrebbe capitare al responsabile economico del partito favorito alle elezioni, dovrebbe farsi carico dell’interesse generale.
Esistono diverse declinazioni di cosa sia l’interesse generale. Personalmente userei questa: rappresentanza di un determinato blocco sociale, più capacità di mediazione con gli altri. Mi dicono, purtroppo, che la dizione blocco sociale ultimamente non vada più di moda.

Ogni tanto Pier Luigi Bersani la prende da parte e le dice: Stefano, modera i toni.
Non posso negarlo. Diciamo così: il segretario svolge nei miei confronti un’utile funzione di pedagogia politica.

Specifichiamo meglio? Un’inutile funzione di pedagogia politica.
Perché?

Di Pietro Ichino ha detto: «Lui conta il 2 per cento, noi il 98». Non sembrò propriamente un’interlocuzione rispettosa.
Me ne dispiace. Si trattava di una battutaccia pronunciata alla carlona, e per strada, con un giornalista amico. Fesserie che dovrebbero rimanere private. Lui le riportò. Ma io stimo Ichino.

Di Matteo Renzi, e anche questa è dell’altroieri, disse: «L’unica cosa certa di Renzi è la data di nascita. Ripete a pappagallo gli slogan della destra. È un ex portaborse diventato sindaco per miracolo».
Reagii a valutazioni altrettanto pesanti usate nei miei confronti, ma considero quella vicenda chiusa. Renzi è una figura autorevole e rilevante del Partito democratico, ci siamo chiariti e la mia intenzione è di averlo al fianco in una fase difficilissima, dove è necessario il contributo di tutte le persone di qualità.

Suona vagamente opportunista la sua risposta, dopo il pranzo di pace tra Bersani e il sindaco.
No. Esistono il momento della polemica e quello in cui si valutano le cose con più ponderazione.

Lo disse monsieur de Lapalisse.
Dopodiché, confermo, il mio vissuto pesa. E quando sento dire che abbiamo sguazzato al di sopra delle nostre possibilità, mi viene istintivo chiedere: chi ha sguazzato al di sopra delle possibilità? Le famiglie in mezzo alle quali sono cresciuto io no.

E siamo di nuovo a Monti.
Chi offre soluzioni tecniche sotto la bandiera di un supposto interesse generale unico, declinato a prescindere dalla volontà popolare, faccio fatica a non pensare che voglia solo la difesa dei più forti.

È ancora dell’idea che sia meglio farsi una canna piuttosto che votare Pdl?
Non voterei mai Pdl, in compenso ho rivisto il mio uso della cannabis.

L’invito a parecchi milioni di italiani di dedicarsi alle canne potrebbe suonare politicamente imprudente.
Non istigherò nessuno.

Fece perdere la pazienza perfino a una persona pettinata come Ferruccio de Bortoli.
Io?

Come no? Protestava per lo scarso spazio dedicato dal «Corriere della sera» alle riforme proposte dal Pd e de Bortoli le rispose: «Caro Fassina, le vostre proposte sono così innovative che passano inosservate. E lei sa che il “Corriere” è aperto a ogni contributo. Anche il più inutile».
Poi ci siamo chiariti.

Non c’erano dubbi.
Oggi il rapporto è di stima, credo reciproca. E considero chiuso l’incidente.

Al momento della polemica deve subentrare sempre quello della ponderazione.
Appunto.

Però deve mettersi d’accordo anche con se stesso, dottor Fassina. «Nessuna imposta patrimoniale» garantì. Poi invece: «Serve un’imposta patrimoniale significativa che esenti i piccoli patrimoni».
Nessuna contraddizione.

Non si direbbe.
Criticai la proposta fatta a suo tempo da Giuliano Amato, Pellegrino Capaldo, Alessandro Profumo e altri di un’imposta patrimoniale molto elevata, finalizzata all’abbattimento del debito pubblico. E sarei contrario tuttora: è impraticabile, sbagliata, negativa sul piano economico e inefficace sul debito pubblico.

Però...
Poi Silvio Berlusconi introdusse aumenti pesanti su Irpef e Iva. E dicemmo: facciamolo allora nel modo meno iniquo. La proposta di intervenire sui grandi patrimoni immobiliari invece che sull’Iva nasce lì. E tassare i patrimoni di valore superiore a 1,2 milioni di euro è un’idea programmatica sempre in piedi. Nessun cambio di linea.

Non introdurreste altre imposte?
No.

Lascerete l’Imu com’è?
Per il momento sembra inevitabile.

Lei è massone?
Che?

Il God, Grande oriente democratico, parla di lei come della reincarnazione a un tempo di Garibaldi, Napoleone e san Francesco. Lei è il migliore, il più onesto, il più generoso di tutta la sinistra. Un fiore raro.
L’unica tessera che ho è quella del Pd.

Così risponderebbe un bravo massone.
Allora cosa vuole che le dica?

Si dichiarerebbe anticomunista?
Non ne vedo il motivo.

Non sembra difficile da vedere.
Il comunismo non c’è più.

Nemmeno il nazismo, se è per quello.
Se intende con chi starei in Cina o nell’ex Urss, mi sento dalla parte di chi chiedeva e chiede libertà contro il potere

Domandavo una cosa diversa.
Il comunismo italiano ha contribuito a scrivere la Costituzione più bella del mondo ed è stato decisivo per liberare l’Italia.

Il comunismo è un pacchetto da prendere o lasciare tutto insieme.
Il Muro di Berlino, d’altra parte, è stata la rappresentazione plastica del fallimento di una grande speranza.

Perciò Fassina si dichiara anticomunista.
No.

Perché?
Sono contro la parola anti.

È anti la parola anti?
Non sono mai stato nemmeno antiberlusconiano.

Questa poi...
Ho di volta in volta giudicato nel merito quello che faceva Silvio Berlusconi, mai avuto un’impostazione antiberlusconiana.

Questa poi...
Sparito Berlusconi dal governo, non ho lesinato critiche a chi è venuto dopo.

Questo è vero.
E non ho mai creduto a una via giudiziaria per abbattere Berlusconi.

Questa poi...
Mai.

E non c’è chi non ricordi, infatti, un Fassina che si batteva come un leone contro la via giudiziaria antiberlusconiana praticata dai suoi compagni di partito.
Concedo che non abbiamo fatto abbastanza. Io ho l’alibi di essere arrivato da poco nelle prime linee. Però era dura, lo ammetto. E Berlusconi faceva l’impossibile per renderla ancora più dura.

Non ha voluto il ministro Elsa Fornero alle Feste del Pd.
Non sarebbe stato opportuno.

Spiegò così la cosa: «Con lei c’è stata difficoltà di dialogo».
È vero.

Intenderebbe non incontrare tutti quelli con cui potrebbe avere difficoltà di dialogo?
Certo che no. Ma la signora Fornero, ministro del governo che stavamo sostenendo, insisteva a non avere il necessario rispetto verso gli esodati. Saremmo stati noi e avremmo messo lei stessa in difficoltà.

L’onorevole Francesco Boccia ha appena detto che le sue dichiarazioni sono martellate sui piedi del partito.
Libero di pensarlo.

Un dirigente importante, Umberto Ranieri, ha lasciato il Pd come Pietro Ichino e veleggia verso Monti.
Mi dispiace. Chi ha sottoscritto le regole delle primarie avrebbe dovuto essere più leale nella sconfitta. Renzi lo è stato. Ranieri e Ichino no.

Diventerà ministro?
Non ne ho idea.

Questa poi...
Ora corro ventre a terra per la vittoria di Bersani.

È così legato a Susanna Camusso e a Nichi Vendola?
Difendono i più deboli, come me.

È amico loro?
Sì.

«I ricchi vadano all’inferno» ha detto Vendola.
I giornali isolano frasi dal contesto. Ma un po’ di purgatorio non sarebbe male.

Esce con loro a cena?
Il poco tempo libero lo dedico esclusivamente a mia moglie Rosaria e ai miei 3 figli.

Tutto?
Tutto.

Mai a cena con un amico?
Mai.

Come si chiamano i suoi figli?
Andrea, 24 anni, Cecilia di 4 e Livio di 2.

La cosa più bella fatta negli Stati Uniti quando andò là con il Fondo monetario internazionale?
Il volontario, facendo il porta a porta per la campagna presidenziale di John Kerry.

Kerry le elezioni le ha perse.
Ma noi le nostre le vinceremo.

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Andrea Marcenaro