La grande paura del Pdl
Ansa/Danilo Schiavella
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La grande paura del Pdl

Riuscirà il Cavaliere a fare il governo con un Pd sull'orlo della scissione? O si rischia che alla prima grana giudiziaria tutto crolli?

Giochi pirotecnici, giochi ad alto rischio. Un Pd senza bussola tenta di ritrovare il suo baricentro. Invano. Commissariato da Giorgio Napolitano, diviso su tutto, con la vecchia guardia arrabbiata e Massimo D’Alema che flirta on Matteo Renzi. E con questo Pd il Cav dovrebbe fare un governo? Difficile. Neppure l’intemerata di Napolitano in Parlamento ha messo fine all’ebollizione del centrosinistra: i veti incrociati sono rimasti. «Per me Giuliano Amato premier non esiste»  stato l’ennesimo diktat di Renzi. «Enrico Letta Palazzo Chigi può vederlo in cartolina» è il siluro lanciato dai giovani turchi per bocca i Matteo Orfini. Mentre D’Alema ha continuato a sponsorizzare Renzi a Palazzo Chigi. «Io ci andrei di corsa» ha confermato ai suoi il sindaco di Firenze «ma Napolitano resta freddo». Senza contare che oltre a Nichi Vendola c’è un terzo del partito che di fronte al governissimo è pronto alla scissione. «Se fanno un governo con Silvio Berlusconi» si è sfogato l’ex segretario della Cgil Sergio Cofferati «io me ne vado». È già pronto un contenitore del nuovo soggetto insieme  Sel, un leader come Fabrizio Barca e un marchio registrato.

Insomma, il Cav dovrebbe allearsi con un Pd che ha mille anime e che è sull’orlo di una scissione: una prospettiva poco allettante. Anche perché il centrosinistra ha intenzione di riversare le sue contraddizioni sui nuovi potenziali alleati. «Il Pdl» sospira Nicola Latorre, luogotenente dalemiano «ci dovrebbe aiutare. Debbono evitare di mettere nel governo personaggi come Daniela Santanchè o i soliti pasdaran». Discorso che nasconde un’insidia, quella di porre le basi per favorire la nascita di una corrente ministeriale nel Pdl, che in caso di una rottura futura con il Cav potrebbe restare nel governo. L’embrione sono quegli esponenti che sul finire della scorsa legislatura immaginarono di trasmigrare nelle liste di Mario Monti: un nome per tutti, Gaetano Quagliariello.

«Io me li ricordo bene» non si stanca di ripetere Denis Verdini negli incontri con il Cav «e te ne devi ricordare anche tu». «Caro Silvio» è il leitmotiv di Altero Matteoli «quelli che propongono le larghe intese sono proprio quelli che ti vogliono fare fuori». Ecco perché il governo delle larghe intese per Berlusconi è un’opportunità e una minaccia. «Se Bettino Craxi avesse fatto le elezioni anticipate nel 1991, con un Pci diviso dalla svolta di Achille Occhetto» ricorda Augusto Minzolini, senatore del Pdl, «si sarebbe salvato. Lui fu comprensivo con Occhetto e quelli lo ripagarono con le monetine un anno e mezzo dopo».

Già, che cosa accadrebbe se il Cav nei prossimi mesi fosse condannato? Il Pd terrebbe o cederebbe alla piazza per ricongiungersi con la sinistra antigovernissimo e con i grillini in un’altra crociata anti Cav? In fondo, negli ultimi 20 anni quel mondo ha sempre ceduto al richiamo della foresta. Ecco perché Berlusconi è dubbioso: in un Pd così frantumato nessuno potrebbe garantire un patto. E questo mentre i sondaggi danno al centrodestra 4 punti in più rispetto al centrosinistra. In queste condizioni perché Berlusconi dovrebbe rinunciare alle elezioni? «Questo è un Parlamento inagibile» medita il Cav. «Con un Pd confuso ed esposto alle incursioni grilline rischiamo di fare un governo spaventapasseri, in balia degli altri»

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