Le pagelle ai leader mondiali alle prese con il Covid-19
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Politica

Le pagelle ai leader mondiali alle prese con il Covid-19

Trump, Macron, Xi Jinping, Conte, Merkel. Come si sono comportati i potenti davanti all'emergenza del secolo

La pandemia di coronavirus sta chiamando i principali leader mondiali ad affrontare sfide difficili sul piano politico, sanitario ed economico. Sfide che, oltre agli impatti sui singoli Stati, determinano anche delle conseguenze globali. Queste le pagelle su come Donald Trump, Xi Jinping, Angela Merkel, Boris Johnson, Emmanuel Macron e Giuseppe Conte stanno fronteggiando la crisi.

Donald Trump


Donald Trump parla sul Coronavirus(Ansa, EPA)


E' vero: all'inizio è stato preso alla sprovvista e ha cercato un po' goffamente di minimizzare. Ma poi ha preso in mano la situazione, adottando una strategia precisa. Nel mezzo della crisi da coronavirus, Donald Trump ha imboccato una strada nettamente keynesiana. Un modo per sostenere l'economia americana davanti alla recessione incombente e – in secondo luogo – reagire a chi lo ha sempre accusato di voler smantellare sanità e welfare. Nelle ultime settimane, il presidente americano ha stanziato un'elevata quantità di denaro pubblico per affrontare la crisi: ha approvato un primo pacchetto da 8,3 miliardi di dollari, sbloccandone poi altri 50 tramite la proclamazione dell'emergenza nazionale. Successivamente ha firmato un ulteriore stanziamento bipartisan da oltre 100 miliardi, introducendo sussidi, tamponi gratis e congedi lavorativi retribuiti. Inoltre, si è fatto promotore del maxi stimolo economico da 2.000 miliardi di dollari che il Congresso ha approvato appena pochi giorni fa. E, quello che si scorge all'orizzonte, sembrerebbe essere un clima di progressiva unità nazionale, dopo che – soprattutto a cavallo tra febbraio e marzo – il dibattito pubblico americano sul coronavirus era finito impantanato in una radicale politicizzazione. Il presidente sta salendo nei sondaggi, mentre – sul fronte politico e istituzionale – si assiste a una linea tutto sommato bipartisan. Pur dopo serrate trattative tra i senatori, alla camera alta il maxi stimolo da 2.000 miliardi è stato votato all'unanimità, mentre Trump sta riscuotendo degli apprezzamenti anche da alcuni dei suoi più accaniti avversari (si pensi alla deputata democratica, Ilhan Omar). In tutto questo, va sottolineato anche il gioco di squadra tra l'inquilino della Casa Bianca e il governatore dello Stato di New York, il democratico Andrew Cuomo. E' pur vero che i due talvolta sposino idee molto differenti, ma nel concreto – almeno finora – la collaborazione tra loro si è rivelata piuttosto stretta. Come notato anche da Politico, lo stesso (probabile) candidato democratico alla Casa Bianca, Joe Biden, si sta trovando in forte difficoltà in questi giorni ad attaccare Trump. Vedremo come il presidente gestirà la crisi pandemica nelle prossime settimane. Ma è chiaro che punti a rafforzare la sua immagine di comandante in capo. E, viste le premesse odierne, potrebbe riuscirci.

Xi Jinping


Coronavirus: Xi Jinping con mascherina si misura temperatura (Ansa)


La crisi del coronavirus ha messo in evidenza l'estrema opacità del governo cinese. Sotto questo aspetto, è da sottolineare l'estrema reticenza con cui Xi Jinping ha trattato la gestione dell'epidemia, soprattutto nelle prime settimane del 2020: basti ricordare che, lo scorso 31 dicembre, il South China Morning Post già parlasse di una "misteriosa polmonite" che aveva contagiato 27 persone nella città di Wuhan. Senza poi dimenticare il trattamento riservato al medico Li Wenliang che – dopo aver compreso il nesso tra il nuovo virus e la Sars – fu stato messo a tacere dalle autorità locali. Il fatto che la quarantena a Wuhan sia scattata solo verso la fine dello scorso gennaio, la dice lunga sul periodo di tempo che il Partito comunista cinese ha impiegato per ammettere davanti al mondo (e in modo effettivo) la presenza di un'epidemia. Tra l'altro, anche a crisi scoppiata, non è che Pechino abbia poi ammesso chissà quale trasparenza. Innanzitutto Xi Jinping ha progressivamente accentrato la gestione del problema nelle proprie mani, mentre – alcuni giorni fa – è stata annunciata l'espulsione dal Paese dei giornalisti di tre testate statunitensi: New York Times, Wall Street Journal e Washington Post. Senza poi dimenticare lo scaricabarile sulle origini del virus: la Repubblica Popolare ha infatti più volte cercato di lasciare intendere che il morbo sia sorto in altri Paesi (come gli Stati Uniti e addirittura l'Italia). Tutto questo non vuole ovviamente omettere l'efficacia con cui Pechino ha contrastato il virus sul proprio territorio, adottando misure particolarmente energiche che sembrerebbero aver dato effetti positivi. Resta tuttavia notevolmente discutibile la gestione che il Partito comunista ha condotto dell'emergenza. Così come non poco discutibile risulta la strategia internazionale, messa in atto da Pechino in queste settimane. La politica di aiuti nel contrasto al virus diretta verso svariati Paesi (soprattutto europei) mira infatti a due obiettivi ben precisi. In primo luogo, ripristinare quella credibilità internazionale che – soprattutto nel mese di febbraio – era risultata profondamente compromessa. Dall'altra parte, è abbastanza evidente che – con questa strategia – la Repubblica Popolare punti a sottrarre progressivamente svariati Paesi dalla sfera d'influenza statunitense: è questo il senso principale degli aiuti cinesi a Italia, Francia e Spagna. Il punto è che, al di là del soft power sanitario di Pechino, bisognerà capire quale reale impatto politico (e non soltanto economico) l'epidemia determinerà in seno alla Repubblica Popolare. Il potere del Partito comunista – e dello stesso Xi Jinping – rischia di subire infatti profondi scossoni. E le dinamiche che – sotto questo aspetto – avranno luogo da qui ai prossimi mesi restano al momento difficilmente prevedibili.

Angela Merkel


Angela Merkel (Ansa, EPA/CLEMENS BILAN / POOL)


Nel contrasto al coronavirus, la cancelliera tedesca ha assunto una linea abbastanza chiara sia dal punto di vista sanitario che economico. Nei giorni scorsi, Angela Merkel ha annunciato misure particolarmente restrittive: il blocco di gran parte delle attività commerciali, la limitazione degli spostamenti, la parziale chiusura delle frontiere e il divieto di assembramenti. Misure piuttosto drastiche e, del resto, la stessa cancelliera ha sottolineato in un recente discorso alla nazione l'eccezionalità del momento. Anche sul fronte economico, il governo tedesco non è rimasto con le mani in mano, avanzando un piano complessivo da 750 miliardi di euro. Insomma, una serie di provvedimenti particolarmente incisivi, che non sembrerebbero meritare un voto così basso. Sennonché è sul piano internazionale che si scorgono le incongruenze della cancelliera. Nei giorni scorsi, la Merkel ha teso a minimizzare le polemiche sugli aiuti sanitari di Pechino agli Stati europei, limitandosi a parlare di semplice "reciprocità" ed eludendo le complicate dinamiche geopolitiche che la linea cinese cela. In secondo luogo, pur essendosi costantemente definita un'europeista, la cancelliera non sembra troppo interessata alle sorti economiche e sanitarie dell'Europa meridionale, vista la sua opposizione – insieme ai falchi del Nord Europa – ai cosiddetti "coronabond". D'altronde, che la Germania consideri spesso l'europeismo come un amplificatore dei propri interessi nazionali, non è esattamente una novità. E non sarà un caso che i Verdi tedeschi abbiano aspramente contestato in patria la linea della cancelliera proprio sulla questione dei "coronabond".

Boris Johnson


Boris Johnson(Ansa, EPA)


Il premier britannico è subito finito nell'occhio del ciclone con la sua iniziale teoria dell' "immunità di gregge". In particolare, ad essere presa di mira è stata la sua poco felice uscita, quando due settimane fa disse: "Abituatevi all'idea di perdere chi vi è caro". Un po' voleva forse imitare il "non ho altro da offrire che sangue, fatica, lacrime e sudore" di Winston Churchill, un po' l'idea era quella di promuovere una strategia che non intasasse il Sistema sanitario nazionale. Fatto sta, l'ondata di polemiche che ha suscitato questo tipo di linea ha portato progressivamente Downing Street ad adottare misure più stringenti, tra cui la chiusura delle scuole e il blocco di gran parte delle attività commerciali. Londra e tutto il Paese sono quindi stati sottoposti a lockdown, mentre il Servizio sanitario nazionale ha siglato un accordo con alcune strutture private per incrementare i posti letto e la disponibilità di medici e infermieri. Negli ultimi giorni, il governo ha anche annunciato misure economiche, volte a tutelare lavoratori dipendenti e liberi professionisti, colpiti dalle conseguenze della crisi. In tutto questo, Johnson – insieme al ministro della Sanità, Matt Hancock – è risultato positivo al coronavirus, determinando l'ironia (abbastanza becera) di qualcuno. In generaale, il premier britannico ha nettamente cambiato linea in corso d'opera, trasmettendo – soprattutto all'inizio – un senso di improvvisazione. Ultimamente sembra tuttavia aver trovato una strategia più coerente, che vedremo nelle prossime settimane se sarà in grado di dare dei frutti.

Emmanuel Macron


Emmanuel Macron(Ansa, EPA/BENOIT TESSIER / POOL)


Il presidente francese ha tenuto finora un profilo piuttosto basso nella gestione della crisi, lasciando esporre soprattutto il primo ministro, Edouard Philippe. La Francia ha adottato misure restrittive sul modello di altri Paesi, tra cui la chiusura delle scuole e di gran parte delle attività commerciali. Macron presenta tuttavia due aspetti abbastanza controversi in questa situazione. In primo luogo, una certa ambiguità a livello europeo (si pensi soltanto alla questione dei "coronabond"). In secondo luogo, ha suscitato non poche polemiche il fatto che – nonostante la crisi epidemica già de facto in atto – lo scorso 15 marzo siano state tenute in Francia le elezioni municipali: un appuntamento che potrebbe aver favorito la diffusione del contagio. E' pur vero che – da un punto di vista tecnico – fosse difficile posticiparle. Tuttavia, come notava il quotidiano Le Figaro il 12 marzo, il governo francese – tramite decreto – avrebbe potuto rimandare intanto di un paio di settimane le consultazioni, dando così tempo al parlamento di modificare formalmente la data elettorale. Il primo turno delle elezioni si è invece tenuto, pur essendo stati poi rimandati i ballottaggi.

Giuseppe Conte


Conte, favorevole a condividere misure con partiti ANSA/ALESSANDRO DI MEO


Se c'è qualcosa che le situazioni di crisi richiedono è la certezza politica. Quella certezza politica che purtroppo in Italia è mancata e sta continuando a mancare. Innanzitutto la linea del governo Conte bis è tutto fuorché chiara: una linea che sforna in continuazione restrizioni a singhiozzo, con annessa confusione di decreti e relativi annunci. Lo stesso fatto che i moduli delle autocertificazioni per allontanarsi dalla propria dimora cambino ripetutamente, lascia abbastanza perplessi. Per non parlare poi delle dubbie strategie comunicative del governo (se di "strategie" si può parlare): basti pensare a quando, a inizio marzo, trapelò in anticipo la bozza di decreto per le misure restrittive in alcune aree del Nord, scatenando panico e fughe verso le regioni del Centro-Sud. Che poi Conte si spinga a citare l' "ora più buia" di Churchill, lascia il tempo che trova: se doti indiscusse dell'allora premier britannico erano chiarezza nel messaggio e risolutezza nell'azione, quello che si registra invece oggi a Palazzo Chigi sono confusione e titubanza. Infine, la pandemia sta mettendo in luce i nodi della nostra politica estera. Innanzitutto, l'esecutivo giallorosso sta proseguendo nel rafforzare i suoi (non certo nuovi) legami con Pechino: un elemento che rischia di allontanare ancor di più l'Italia dagli Stati Uniti. Inoltre, questa crisi sta mostrando anche la debolezza delle alleanze europee che il governo Conte bis ha attuato in questi mesi. Roma si è infatti sempre più avvicinata all'asse franco-tedesco. Ciononostante la Germania non sembra troppo interessata a venire concretamente in aiuto dell'Italia, mentre la Francia si mantiene una collocazione (troppo) ambigua. Lo stesso recente ultimatum, lanciato da Conte all'Unione europea, sottende assenza di una strategia concreta e cerca purtroppo di far passare come posizione di forza quello che in realtà è uno stato di profonda debolezza. E pensare che, con il governo giallorosso, l'Italia avrebbe dovuto contare di più in Europa.La pandemia del coronavirus sta chiamando i principali leader internazionali ad affrontare sfide difficili sul piano sanitario ed economico. Sfide che, oltre agli impatti sui singoli Stati, determinano anche delle conseguenze sul versante geopolitico. Di seguito, le pagelle su come Donald Trump, Xi Jinping, Angela Merkel, Boris Johnson, Emmanuel Macron e Giuseppe Conte stanno fronteggiando la crisi.

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Stefano Graziosi