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(Ansa)
Politica

Nella guerra Meloni-giornalisti ci sono solo sconfitti

I colleghi come ovvio sono pronti a bersagliare ad alzo zero la premier che però dovrebbe imparare un po' più di «istituzionalità nazionale»

Prima o poi doveva succedere. “Meloni e la sindrome dell’assedio”, titola “La Repubblica”. “Sgradevole quanto successo in conferenza stampa” dice Massimo Giannini. “Rispondere a tutti è suo dovere”, attacca Corrado Formigli. Lo scontro tra Giorgia Meloni e i giornalisti c’è stato. Per giunta nella sede ufficiale di confronto con la stampa, cioè la sala apposita di Palazzo Chigi. L’insofferenza del premier si è materialmente percepita quando, a fine conferenza, i giornalisti hanno protestato per lo spazio esiguo riservato alle domande. Il presidente del consiglio era atteso di lì a poco dai vertici di Confartigianato, e perciò cercava di accorciare i tempi, mentre la platea vociferava. “Dobbiamo tagliare l’introduzione? – ha chiesto Meloni infastidita – fermo restando che non mi pare che non siamo disponibili, mi ricordo che in altre situazioni siete stati molto meno assertivi”. E poi, in un crescendo: “Lo so io a cosa mi riferisco…”.

Punto primo. E’vero che il capo del governo, anche nel suo interesse, deve rispondere a tutti e mantenere sempre la calma, anche davanti alle peggiori provocazioni. Lo impone il suo ruolo, che non è quello del capopartito, ma della rappresentanza nazionale. Del resto, fare domande scomode dovrebbe essere la normalità in una democrazia. E certamente la compagine governativa dovrà lavorare per limare certe asprezze comunicative che, ripeto, nuocciono in primo luogo all’immagine del governo stesso.

Punto secondo. I giornalisti della sala stampa non possono avere la memoria così corta. Tutti si ricordano quando, nelle comunicazioni di fine anno, Mario Draghi venne accolto con un applauso scrosciante. Niente di illegale, ma insomma: la schiena dritta è un’altra cosa. E tutti allo stesso modo dovrebbero rammentare quella conferenza stampa nella quale Draghi si presentò ponendo paletti preventivi: “Non risponderò a domande sull’elezione del Quirinale”. Erano i giorni in cui il nome dell’ex premier era lanciatissimo nel dopo Mattarella, e certe domande sarebbero state più che lecite. Draghi troncò sul nascere ogni curiosità, e non risulta che in sala stampa si fossero levate coraggiose proteste dinanzi alla postura rigida dell’allora capo del governo. Così come non si alzarono barricate quando Giuseppe Conte si presentava con ore di ritardo davanti alla stampa, e rispondeva alle critiche dei giornalisti con risposte arroganti di questo tipo: “E allora provi lei a fare il presidente del Consiglio”.

Punto terzo. Una parte dei giornalisti, legittimamente, cerca lo scontro con il governo. Cerca il titolo facendo leva su questi litigi spettacolari, in mancanza d’altro. Forse questa manovra all’acqua di rose non è poi così male, se certa stampa anziché occuparsi dei contenuti preferisce ricamare su questioni di forma. Di sicuro Giorgia Meloni, che ha già diverse grane da maneggiare, non ha bisogno di infilarsi in certe polemiche. Deve mantenere i nervi saldi al fine di evitare trabocchetti mediatici. Sapendo che certi giornalisti si riscopriranno cani da guardia del potere, dopo essere stati, per anni, bassotti da compagnia.

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Federico Novella