Midiri: «La Commissione Calderoli chiamata a spegnere la miccia della secessione dei ricchi»
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Midiri: «La Commissione Calderoli chiamata a spegnere la miccia della secessione dei ricchi»

Intervista all già direttore dell’Ufficio legale del Senato e assistente di studio presso la Corte costituzionale sul sempre caldo tema dell'autonomia differenziata

Tiene sempre banco tra le forze politiche e l’opinione pubblica il tema dell’autonomia differenziata: per il costituzionalista Mario Midiri, già direttore dell’Ufficio legale del Senato e assistente di studio presso la Corte costituzionale, il Comitato dei saggi, presieduto da Sabino Cassese e voluto dalla presidente del Consiglio Meloni, servirà a «individuare i livelli essenziali delle prestazioni, passaggio propedeutico all’attuazione della riforma dell’autonomia differenziata. Lo reputo assolutamente indispensabile».

Panorama.it ha chiesto al costituzionalista Mario Midiri di semplificare, per i nostri lettori, gli aspetti conducenti della complessa vicenda politico-costituzionale.

Professore, cosa c’è dietro l’improvvisa attenzione dell’opinione pubblica per l’autonomia differenziata?

«Si incide su prestazioni essenziali per la qualità della vita. Pensiamo all’istruzione. Con la possibilità per le regioni più dinamiche di tarare meglio l’offerta di servizi sul territorio grazie a maggiori risorse ma con il timore delle altre regioni di restare indietro e di avere danni perché le risorse finanziarie restano le stesse. La clausola di invarianza finanziaria dimostra che la coperta è corta e chi la tira da un lato lascia scoperto l’altro».

I nostri lettori hanno diritto di conoscere l’argomento: cosa significa “autonomia differenziata”?

«Si tratta della versione aggiornata di ciò che la nostra Costituzione ha sempre previsto sin dal testo originario quando parlava di “autonomia speciale”: ovvero della possibilità che alcune Regioni, per particolari motivi di carattere storico, sociale e linguistico (si pensi al secessionismo siciliano o a quello dell’Alto Adige) potessero rendere effettiva una differenziazione legislativa per i propri territori. Quindi, sin dal 1948 la Carta era aperta a forme di autonomia, e gli “statuti speciali” di 5 regioni rispondevano a questa necessità».

Poi nel 2001 si è resa esecutiva la novella costituzionale…

«Esattamente, quella della riforma del Titolo V della stessa Costituzione, nata nel generale consenso di attribuire maggiori forme di autonomia. Ecco l’esempio dell’art. 116 comma 3 della Carta (non a caso posizionato subito dopo il riconoscimento delle Regioni a Statuto speciale), con il quale si pensò di offrire condizioni particolari di autonomia alle c.d. regioni ordinarie, cioè alle restanti 15, in modo da avvicinarle su loro richiesta e con lo dovute garanzie alle regioni straordinarie».

Ci pare di capire che tale norma è di fondamentale importanza…

«Non perché modifica il riparto generale delle materie spettanti alle regioni - quasi cambiando le regole del gioco in corso d’opera - ma perché consente con una giusta motivazione e con valutazione “caso per caso”, di allargare le maglie della normativa, consentendo alle aree territoriali più attive una maggiore capacità amministrativa e di normazione per specifiche funzioni. Il presupposto per agire in questa direzione, come stabilito da tale norma costituzionale, è l’efficienza: chi dimostra di essere capace dal punto di vista istituzionale incontrerà il favore dello Stato centrale nel segno di aperture autonomistiche».

Nessuna fuga non in avanti, ovviamente…

«E’ ovvio che nessuno pensava ad attribuire interi blocchi di materie alle regioni, e quindi l’attuazione dell’art. 116 della Costituzione diventa ora un problema politico causato dal timore delle regioni meridionali per una forma di cambiamento -surrettizia e obliqua - del quadro costituzionale. Il problema è quello di trovare un punto di equilibrio tra principio di differenziazione e unità nazionale».

E nessun trasferimento in blocco di materie.

«Per concedere queste forme particolari e aggiuntive di autonomie l’art. 116 Cost. prevede una intesa con la singola regione da approvare con legge del Parlamento. La via è quella di assicurare massima trasparenza a questi processi. Occorre che la regione che chiede nuove funzioni possa dimostrare di essere in grado di fare meglio dello Stato, senza sprechi e risorse aggiuntive».

A monte di ogni riforma e discussione abbiamo la nostra Carta costituzionale…

«La ricerca di quest’equilibrio delicato è il tema del giorno, perché la coesione e la solidarietà tra territori a diverso grado di sviluppo è fondamentale per la tenuta del Paese. Lo ripeto: il dibattito non è nuovo perché già agli albori della Repubblica si sono riconosciute, per particolari esigenze, ben cinque autonomie regionali, riguardanti Sicilia, province autonome di Trento e Bolzano, Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Valle D’Aosta. In fondo, la riforma del 2001 amplia la possibilità di differenziazione alle regioni più efficienti e dinamiche che dimostrino di meritare forme più avanzate di autonomia in specifiche materie. La riforma del 2001 parla di “condizioni particolari di autonomia”».

Da qualche giorno è al lavoro la Commissione Calderoli: un gruppo di lavoro di altissimo livello.

«Voluto dalla Presidente Meloni, il gruppo di saggi è composto da una sessantina di personalità di altissimo profilo istituzionale ed è guidato dal professore Sabino Cassese, professore emerito di diritto amministrativo e, soprattutto, ex ministro della funzione pubblica nel governo Ciampi e giudice costituzionale. Questa commissione farà sentire tutto il suo peso nella definizione dei ben noti LEP, i livelli essenziali di prestazioni, cui il governo sarà obbligato a subordinare proprio l’attuazione dell’autonomia differenziata».

Ecco professore, un altro concetto che merita di essere spiegato.

«Si tratta, come chiaramente prefigura il nome, proprio dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti ai cittadini della nostra Repubblica in modo uniforme sull’intero territorio nazionale e che non possono assolutamente essere derogati. Questo perché quelle prestazioni e quei servizi riguardano diritti civili e sociali irrinunciabili da tutelare per tutti i cittadini, diritti di rango evidentemente costituzionale, sui quali si fonda la stessa struttura del nostro Stato».

Insomma prestazioni e servizi imprescindibili, pare di capire…

«Come per la sanità, nel cui alveo è stato già coniato l’acronimo LEA (livelli essenziali di assistenza), appare del tutto fondamentale che i livelli minimi di prestazioni che riguardano la qualità della vita, siano garantiti indipendentemente dall’area geografica in cui i cittadini si trovano. Si tratta di un’esigenza non solo politica ma “costituzionale”, volendosi al tempo stesso evitare che forme particolari di autonomia delle regioni più avanzate proprio in tema di servizi, possano tradursi in un depauperamento delle regioni meno avanzate, nelle quali i livelli delle prestazioni sono già oggi nettamente inferiori».

Sui LEP la Commissione si gioca molta della sua credibilità. Anche istituzionale…

«E’ un bene questa Commissione Cassese: non sarà un compito facile, ma è fondamentale che sia un gruppo di eccelsi giuristi che metta mano alla materia perché la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni è garanzia dell’unità nazionale, come ha ricordato anche il Presidente Sergio Mattarella. Anche su questo è necessario che il Parlamento si svegli e interloquisca: tecnicamente rilevo come sia discutibile che l’approvazione dei LEP sia fatta con mero Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Auspico, infatti, che di tali decreti sia opportuno non abusare. Basta ricordare cosa è accaduto durante la recente esperienza del Covid».

Il ruolo della Commissione Cassese appare di fondamentale importanza.

«Direi è imprescindibile, e potrebbe servire a disinnescare la miccia che si è accesa sia dal punto di vista istituzionale che da quello politico. E’ indubbio, infatti, che nel Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, sia sorta una forte preoccupazione di una “secessione” da parte delle regioni più ricche che compromette le risorse finanziarie destinate alle aree deboli e quindi le prestazioni concretamente erogabili, per cui si confida che i lavori appena iniziati della Commissione possano essere utili soprattutto per dare garanzie ai milioni di abitanti dell’Italia meridionale».

Il Think Thank si è appena insediato.

«I tempi tecnici in una materia delicata e complessa come questa sono evidentemente lunghi e farraginosi: definire in maniera precisa e attendibile i LEP e ogni particolare procedurale mal si concilia con le tradizionali lungaggini del dibattito politico interno, senza dimenticare che da qui ad un anno le forze politiche saranno impegnate in una estenuante battaglia alle elezioni europee, in cui si decideranno i nuovi assetti delle forze politiche tra Parlamento e Commissione europea».

C’è bisogno del progetto Calderoli?

«Assolutamente sì. Una legge cornice di attuazione della Costituzione è opportuna per dare criteri alla negoziazione delle singole intese e assicurare un controllo parlamentare tempestivo, altrimenti se l’intesa è firmata le Camere sono costrette a un “prendere o lasciare”. Il progetto è appena agli inizi dell’esame parlamentare: bene che si sviluppi un ampio dibattito su come migliorarlo, soprattutto su trasparenza, ragioni della differenziazione, oneri finanziari, responsabilità».

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Egidio Lorito