Il Pd diviso blocca tutto
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Il Pd diviso blocca tutto

La paura delle elezioni dietro le mosse di Napolitano

Di Keyser Soze

Eppure le dimissioni di Giorgio Napolitano, dopo il suo ultimo giro di consultazioni, le davano tutti per scontate: la sera di venerdì 29 marzo il Colle aveva anche avvertito capipartito e personaggi di rilievo dell’establishment. “Napolitano si dimetterà” spiegava in quelle ore Francesco Caltagirone, editore di quotidiani come Il Messaggero e Il Mattino, “ma resta lo stallo perché il Pd è spappolato, sta implodendo. Potrebbe fare un governo col Pdl ottenendo due terzi dei ministri. Invece fa precipitare il Paese nella peggiore delle crisi per un’antipatia verso Silvio Berlusconi. Ma la politica non si fa con le antipatie”.

Insomma, le dimissioni quella sera erano un dato acquisito, però all’ultimo momento Napolitano ci ha ripensato. Perché? Ci saranno state anche le telefonate con Mario Draghi, le preoccupazioni della Ue, ma in realtà il capo dello Stato s’è fatto convincere da quella parte del Pd, la sua, che vede con terrore nuove elezioni a giugno. Non si tratta del Pd di Pier Luigi Bersani, ma di quello dei D’Alema, dei Veltroni, dei Franceschini e, in ultimo, dei Renzi, che nel nuovo ricorso alle urne fra tre mesi (il sindaco di Firenze le vorrebbe non prima di ottobre per marcare una distanza con il Pd di oggi) vedono un azzardo e per evitarlo sono pronti anche a fare un governo col diavolo, cioè con il Cav. “Presidente” è il messaggio che Massimo D’Alema a nome di tutti ha recapitato al Colle “fa’ qualcosa, che quel matto di Bersani ci porta alla rovina”.

Messo alle strette, Napolitano s’è inventato la storia dei saggi che non ha niente a che vedere con la nostra Costituzione. Non per nulla l’ha presa in prestito dai Paesi Bassi, cioè una nazione retta da una monarchia, come se fosse re Giorgio. Un espediente escogitato per perdere tempo, arrivare fino all’ultimo giorno del mandato e tentare di chiudere la finestra temporale per le elezioni a giugno. Solo che l’intervento del presidente non ha risolto i problemi della sua tribù di provenienza. I rapporti tra Napolitano e Bersani, infatti, sono ormai inesistenti. Il segretario del Pd non demorde dalla linea di evitare a ogni costo un governo di grande coalizione e ha in mente di lanciare, in combutta con i grillini, il siluro della candidatura di Romano Prodi al Quirinale (invisa al centrodestra) per affondarlo definitivamente. D’Alema, Matteo Renzi e soci (in un’inedita alleanza) perseguono il disegno contrario. Solo che, per tornare a Caltagirone, un Pd così diviso non è un interlocutore affidabile. “Stanno scaricando le loro divisioni sul Paese” si lamenta lo stesso Cav. “Se ne infischiano della crisi. Era meglio il Pci di una volta, mostrava più senso di responsabilità. In questa situazione la strada più razionale resta quella delle elezioni a giugno”.

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