Religione e marketing
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Religione e marketing

La straordinaria capacità di comunicazione di Papa Bergoglio attraverso gesti sobri e parole semplici

Questo Papa comunica da Dio». Racchiude tutto in uno slogan fulminante Giovanni Sasso, creativo dell’agenzia barese Proforma, guardando al fenomeno di marketing che risponde al nome di Jorge Mario Bergoglio. Un Papa dal linguaggio spiazzante, che non esita a lanciarsi in metafore ardite, invocando la Madonna affinché purifichi gli occhi dei pastori con il «collirio della memoria» (Professione fidei, 23.5) o mettendo in guardia dall’accumulo di beni terreni, ricordando al mondo di non avere mai visto «un camion da trasloco dietro un corteo funebre» (omelia in Domus Santa Marta). Un Papa che vuole fedeli gioiosi, perché quando i cristiani sono malinconici «hanno una faccia da peperoncini all’aceto» (omelia Domus Santa Marta) e che se twitta usa termini come «cristiani part-time». Un  Pontefice che vuole arrivare al cuore e alla mente di tutti, soprattutto dei semplici.

«Da agnostico» continua Sasso, la cui agenzia ha curato le campagne politiche, tutte vincenti, di Nichi Vendola, Michele Emiliano e Debora Serracchiani, «posso dire che il cambio di rotta nella Chiesa, con Papa Francesco è davvero clamoroso. E soprattutto è di qualità. Intendo dire: noi pubblicitari, pur essendo da sempre bollati un po’ come persuasori occulti, sappiamo bene che la comunicazione più efficace è quella che rispecchia e rispetta il contenuto. Ebbene, il Papa è un successo per questo, perché non c’è distonia e tutto è perfettamente attinente: parole e gesti. La semplicità e le metafore limpide, che a volte sembrano
banali senza esserlo, sono la vittoria della comunicazione». Coerenza dunque, e spontaneità. Soprattutto, velocità. Il cambio di rotta di cui parla Sasso si è notato immediatamente, nel momento in cui Papa Francesco si è affacciato per la prima volta al balcone di San Pietro, esordendo con l’ormai famoso «buonasera». Segno di un’assenza di strategia costruita a tavolino? «Esatto» commenta ancora Sasso. «Io ho anche provato a esaminare il suo comportamento con gli strumenti della tecnica, in qualche modo da scienziato della comunicazione. Ma tutti i ragionamenti che faccio, e che abbiamo fatto assieme allo staff, sono stati sempre sovrastati dall’impressione, di tutti, di una totale spontaneità».

Nei tempi del Cristianesimo «parttime » (parlando in Bergoglio-style) la parola di Cristo passa dunque attraverso le scarpe nere e il pollice alzato di questo Papa venuto dalla fine del mondo. Era forse proprio ciò che ci voleva, dopo il precedente pontificato ratzingeriano, dall’apparenza (o dal contenuto?) fredda e distaccata? «Probabilmente sì» spiega Vicky Gitto, direttore creativo della Young & Rubicam, uno dei pubblicitari più premiati della storia italiana. «E penso anche che dopo Papa Ratzinger ci volesse poco a risultare più empatico. Anche perché, a costo di sembrare poco rispettoso, mi permetto di far notare che l’uscita di scena di Ratzinger, con il grande elicottero bianco che sorvola Roma, con i media in fibrillazione in un momento di crisi drammatica come quella che stava attraversando il Paese, è stata uno dei momenti di più assoluta bruttezza della storia della Chiesa contemporanea. Sembrava l’uscita da un concerto di Puff Daddy». 

E subito dopo è arrivato Bergoglio, che quindi ha avuto vita facile nel risultare simpatico. «Sì, ma lo dico senza nulla togliere alla forza intrinseca del comunicatore Bergoglio. Del suo linguaggio non verbale, del suo scendere dalla papamobile e toccare, abbracciare le persone. Del suo essere latino e quindi con un modo di porsi molto easy:Papa Francesco dà l’impressione, quando è in mezzo alla gente, di trovarsi sempre davanti ad amici, e di morire dalla voglia di salutarli e di parlare con loro» 

I fedeli come vecchi amici, il desiderio di fare una vita il più normale possibile e quei piccoli gesti che tanto ci sorprendono: rifiutare gli appartamenti papali, cercare di pagare il conto dell’albergo, dire no persino al letto allestito sull’aereo che lo ha appena portato a Rio per la Giornata mondiale della gioventù e che gli avrebbe consentito un viaggio più comodo. Tutto nei comportamenti del Papa parla di semplicità e di abbattimento dei filtri. «E anche l’apparenza, cioè quello che noi pubblicitari chiameremmo packaging» spiegano all’unisono Mario Attalla, Simona Angioni e Claudia Bavelloni dell’agenzia Grey «anche quella è molto diversa: i paramenti semplici, l’uso del viola nel viaggio simbolico di Lampedusa, la croce di legno invece di quella dorata, le scarpe vecchie.

E non sottovaluterei il fatto che dimostra grande e seria conoscenza dei mezzi del marketing. Usa infatti spesso frasi molto brevi che ripete tante volte: prima regola da seguire per aumentare la memorabilità di un messaggio. E utilizza lo storytelling in maniera lineare. Insomma, non sapremmo trovare in lui niente di sbagliato dal punto di vista comunicativo». Grande entusiasmo da parte di tutti, ma il suo comportamento è un segno dei tempi? È quello che serviva o rischia di essere in qualche modo banalizzante? «Non so se parlerei di valore aggiunto» spiega Pino Rozzi, amministratore delegato dell’agenzia United 1861, «un termine di marketing che toglie spontaneità ai gesti di Papa Francesco. Scendere tra la gente oggi è l’unico modo per ascoltare e farsi ascoltare: comunicatori, politici, aziende, tutti quanti dovrebbero fare la stessa cosa. Papa

Francesco ci sta indicando una rotta che è tutto fuorché banale. Lui è un pastore che guida il suo gregge e il suo linguaggio intercettalo smarrimento delle anime di oggi. Papa Francesco parla con la voce di Dio, cioè di colui che, fino a prova contraria, e lo dico con il massimo rispetto, è il più grande creativo di
tutti i tempi». Ma il fatto che Bergoglio abbia conquistato davvero tutti con la sua forza comunicativa è davvero una novità? «No, non in termini generali» precisa Michele Mariani, direttore creativo della più antica agenzia pubblicitaria italiana, la Armando Testa «perché la Chiesa è sempre stata una potentissima macchina da marketing. Ha un prodotto vincente che è la fede, ha venditori motivatissimi che sono i sacerdoti. Da questo punto di vista Papa Francesco non è una novità. Ciò che è davvero nuovo è che lui ha attivato tutti i canali di comunicazione ed è questo ciò che regala a un brand la forza di fuoco vincente. È vero che usa slogan e frasi a effetto, però sono soprattutto i simboli a renderlo così diverso dal passato. Uno per tutti: il pollice alzato. La sua gestualità in alcuni momenti
ricorda il primo Barack Obama».

E poi c’è lo storytelling, che questo Papa sembra avere riscoperto… «Certamente un altro punto vincente» continua Mariani. «In comunicazione bisogna saper raccontare una storia. La Chiesa l’ha sempre fatto, ma ultimamente le storie erano meno vive; con lui si è tornati ai tempi passati. Bergoglio ha una grande capacità di raccontare, anche le sue piccole storie, anche la sua vita personale in Argentina, i primi tempi dopo l’ordinazione. Questo ha molta presa sulle vite delle persone ». Può dunque insegnare qualcosa alla politica, questo Papa comunicatore? «Me lo auguro con tutto me stesso. La politica, a parte alcuni esempi, ora come ora ha una comunicazione molto distante, molto noiosa e lontana dalla gente. Sui manuali si studiano le tattiche di comunicazione di François Mitterrand, del primo Obama, ma nessuno in Italia sembra saperne approfittare. Avere come vicino di casa, a Roma, Papa Francesco può essere solo uno stimolo. Spero che serva da defibrillatore per il sonno della politica». 

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