Venti ministri per venti pagelle
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Venti ministri per venti pagelle

I voti ai membri del governo dopo 5 mesi di "larghe intese"

Di Stefano Vespa, Antonella Piperno, Paola Sacchi

Dura o non dura? Sono passati quasi 5 mesi dal 28 aprile, giorno del varo dell’esecutivo delle «larghe intese», guidato da Enrico Letta. E mentre la politica inciampa nelle questioni giudiziarie del Cavaliere, scocca l’ora del giudizio: come si sono comportati il premier e la sua squadra? Come hanno affrontato e risolto i problemi che si sono presentati? La parola (e il voto) passa a una serie di commentatori e di esperti dei singoli rami. In maggior parte sono promozioni, anche se a volte inaspettate; ma cinque sono bocciature, alcune delle quali decisamente sonore.

Enrico Letta: voto 6,5

presidente del Consiglio (Pd)

Matteo Renzi è un velocista: corre verso l’obiettivo e deve badare alle scivolate («Letta, attento alla seggiola», «Asfalteremo il Pdl»). Enrico Letta è un passista: cammina con andatura regolare anche quando vorresti che corresse, ma dà l’idea di intravedere un obiettivo lontano che ai più sfugge. Sotto la disinvoltura della camicia indossata senza giacca anche in Consiglio dei ministri (procurandosi lo sdegnato rimprovero dello zio Gianni, formalista rigoroso), Letta lavora soffrendo. Nei suoi incontri con Angelino Alfano (al quale lo lega una solidarietà personale, generazionale e perfino politica) ciascuno mostra all’altro le piaghe nascoste. Per l’uno una nuova Forza Italia in cui i falchi acquistano peso indebolendo il governo. Per l’altro, l’improvviso entusiasmo della base per Renzi che rischia di aprire un tunnel sotto Palazzo Chigi esponendolo al rischio di cedimenti. Sostenuto da una donna fortissima come la moglie Gianna Fregonara, che all’incarico del marito ha sacrificato la direzione della cronaca romana delCorriere della sera, Letta affronta ogni giorno il ruolo tremendo del padre che ha pochi soldi e molte bocche da sfamare. I sondaggi di Renato Mannheimer gli hanno dimostrato che il provvedimento più popolare del governo è l’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Ma la presenza di coppie disoccupate con figli disoccupati lunedì 16 settembre nello studio diPorta a portagli ha ricordato che è molto più facile raddrizzare la Concordia che far arrivare presto la ripresa nella vita quotidiana degli italiani. Nei primi quattro mesi e mezzo di vita, il governo ha fatto più di quanto gli sia stato accreditato. Nei 15 mesi che lo separano dalla fine del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, obiettivo di durata dichiarato fin dall’inizio, lo aspettano due grandi sfide: una riduzione apprezzabile della disoccupazione (non solo giovanile) e qualche soldo in tasca della gente per rilanciare i consumi interni. L’Imu è stata un eccellente segnale, non solo psicologico. Il taglio al costo del lavoro, a patto di una divisione dei benefici tra imprese e dipendenti, potrebbe essere il secondo. A patto che le elezioni, evitate in autunno, non si celebrino a primavera. (Bruno Vespa)

Angelino Alfano: voto 6

vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno (Pdl)

Alfano esiste e non esiste. Il suo dramma o destino, la sua fisionomia, è la delega. Ce l’ha, come segretario di un partito che non gli risponde più di tanto, e al quale lui offre la sua flessibilità, ma è una delega di Silvio Berlusconi. Non dico sia falsa, ma è complicata dal fatto che Berlusconi ha dato in vita sua molte deleghe aziendali, controllate, mai una delega politica. Tantomeno in bianco. Ora la delega di Angelino Alfano si incrocia con il ritiro giudiziario della delega a Berlusconi. Un pasticcio. Il fondatore e capo del centrodestra (e di Forza Italia per di più, visto che pare rinasca) non accetta di andarsene a casa dopo la sentenza Esposito, di cedere alla magistratura combattente, e questo è il problema. Ha raddoppiato la delega di Alfano facendone un segretario ministro dell’Interno in una compagine da lui stesso voluta caparbiamente, che ora barcolla per evidenti motivi. Ma l’ha raddoppiata solo per ritirarla appena si presenti l’occasione e si renda necessario. Così il pupillo del Cav. si trova superdelegato ma nel momento peggiore, in un momento in cui il capo ha bisogno di concentrare di nuovo su di sé ogni delega e ogni chiave di accesso al suo elettorato, al suo pubblico, al suo popolo. Parzialmente spossessato dalla magistratura e dalla furia fanatica con cui il centrosinistra segue il solco del partito dei giudici, Berlusconi si vuole reimpossessare di quanto ha mollato dall’operazione Monti in poi. Tanto più in quanto il governo Letta-Alfano non è uno scudo capace di garantire un’ordinata e seria conclusione o evoluzione della sua vicenda. La questione se Alfano sia leale o no per me, che non sono un moralista, non si pone affatto. Per quanto ne so, è leale. Per quanto ne dicono molti del suo partito, no. Certamente in suo nome e in fuori onda, per così dire: manovre se ne fanno, velleità se ne avanzano. E va bene. O male. Ma c’è un fatto oggettivo. Berlusconi sottopone a un tremendo stress chiunque abbia delegato, in una convulsione politica che può portare anche a rotture clamorose e definitive. Alfano non si è conquistato uno spazio di persuasione e di sicurezza tale da garantirlo contro il ritiro della delega. Ecco la questione. Che è politica, come sempre, e non morale. Per questo, come ho detto, Angelino esiste e non esiste. (Giuliano Ferrara)

Fabrizio Saccomanni: voto 6-

Economia e finanze (tecnico)

Ha provato a far pesare le ragioni del rigore, ma spesso è stato richiamato all’ordine. Quando ci provò sull’Imu, due mesi fa, Renato Brunetta e il Pdl lo misero nel mirino. Si sa com’è andata. Quando ha fatto notare che l’intesa pro crescita di Confindustria e sindacati costa almeno un punto di pil, Enrico Letta ha chiarito che l’intesa era un ottimo assist al governo. Tifa per Saccomanni il commissario europeo Olli Rehn, che il 17 settembre al Parlamento italiano ha detto che il 3 per cento di deficit sul pil non va sforato, e che l’abrogazione dell’Imu è andata in direzione opposta alle raccomandazioni europee. Ma due giorni prima, intervistato dal «Sole-24 Ore», il commissario ha anche tirato una staffilata. «Ci aspettavamo tagli di spesa, e abbiamo visto invece soprattutto aumenti di tasse». È il punto dolente. Finora Saccomanni ha individuato tagli per 7-800 milioni, che su base 2014 fanno un po’ più di 3 miliardi. Ma, invece di procedere subito indicando nuovi tagli, nominerà entro il 30 settembre un nuovo commissario e una nuova squadra per la spending review. E senza tagli l’intervento sul cuneo fiscale e sui redditi da lavoro sarà poco più che simbolico. (Oscar Giannino)

Emma Bonino: voto 6

Esteri (Radicali)

La vita di ciascuno di noi è attraversata da contraddizioni che rendono complicato, a volte assai difficile, prendere decisioni. La vita di Emma Bonino non sfugge a questa regola, anche adesso che ricopre il ruolo di ministro degli Esteri di un governo di larghe intese sinceramente impegnato a rimettere l’Italia sulla giusta strada. La principale contraddizione che il ministro Bonino si trova a fronteggiare, e che a volte condiziona il suo lavoro, è quella tra la sua storia di donna il cui nome è legato ai temi dei diritti civili e delle libertà e quella dell’incarico di numero uno della diplomazia, mestiere dove spesso le regole del gioco degli scacchi e quelle della realpolitik sono l’abito da indossare al mattino. È accaduto per la Siria e in qualche altra complicata circostanza. È una poltrona scomoda, dove si corre anche il rischio di logorare la propria immagine e di pregiudicare il futuro, e si ha meno tempo per i problemi di una struttura come la Farnesina dove ancora non si è messo mano a una vera riforma in profondità in linea con gli imperativi del nuovo mondo globalizzato e digitalizzato. (Gianni Castellaneta, ex ambasciatore)

Maria Chiara Carrozza: voto 6,5

Istruzione, università e ricerca (Pd)

Nella scuola vera dovremmo scrivere i.e.g. (insufficienti elementi di giudizio), perché pochi mesi di governo del Miur non riescono ancora a imprimere una direzione sicura. Anche perché in ambiti complessi come l’educazione e l’istruzione i risultati sono apprezzabili su tempi lunghi. Accettiamo, però, il gioco della valutazione. Sul tavolo del ministro i problemi sono molti, alcuni storici. Abbiamo colto la sua disponibilità ad ascoltare anche i genitori. Con lei abbiamo ragionato sull’introduzione del digitale nella scuola, e speriamo che il rinvio di un anno non sia per assecondare l’italico vizio del rimando ai posteri. I recenti provvedimenti del governo per la prima volta da alcuni anni restituiscono fondi e attenzione alla scuola, anziché sottrarne. Forse è più chiaro che la scuola è un investimento per il Paese, non una pura spesa, ma attendiamo la realizzazione di quanto deciso. Attendiamo anche uno slancio coraggioso a favore della valutazione del sistema scolastico e degli insegnanti, nonché l’individuazione di qualche direzione da seguire per la governance delle scuole, incentivando la partecipazione di genitori e associazioni. Per tutto ciò, azzardiamo un voto incoraggiante. (Davide Guarneri presidente dell’associazione italiana genitori

Anna Maria Cancellieri: voto 5

Giustizia (tecnico)

In una canzone Fabrizio De Andrè mette alla berlina la «differenza tra idee e azione». È questo il nodo della valutazione del ministro Anna Maria Cancellieri. Buone le idee sulla legge Severino, sulla riforma del sistema sanzionatorio, sulla custodia cautelare, sulla necessità di abbandonare la strada del diritto emergenziale e imboccare quella delle riforme di struttura; poco e niente, però, dal punto di vista dei provvedimenti presi: assenti o troppo timidi. Tutta la sua determinazione il Guardasigilli l’ha messa nell’attuare una riforma fatta male, sulle circoscrizioni giudiziarie, ovvero nel far decadere la delega sulle società professionali degli avvocati, oltre a qualche battuta infelice sull’avvocatura, della quale, va dato atto, s’è poi scusata. Resta la speranza di un cambiamento di rotta, che una sua certa schiettezza e il lavoro in corso di alcune commissioni ministeriali, legittimano. Il femminicidio, però, ce lo doveva risparmiare. La chiarezza sull’amnistia alza il voto a 5, ma va rimandata. (Valerio Spigarelli, presidente dell’Unionedelle camere penali)

Flavio Zanonato: voto 4

Sviluppo economico (Pd)

Doveva essere il ministro in grado di far ripartire l’Italia. Non è riuscito nemmeno a risolvere il caso Ilva. Flavio Zanonato è un elemento quasi impalpabile del governo Letta. L’ennesima prova nell’ultima settimana: «Commissariare l’Ilva? Impossibile» ha detto, per poi cambiare idea nell’arco di poche ore. Tante parole, pochi fatti. O meglio, tanti tavoli aperti, poche soluzioni. Dalle liberalizzazioni all’internazionalizzazione delle imprese, passando per la semplificazione e lo sfruttamento del brand Expo 2015, tutto è in alto mare. Sulla scrivania di Zanonato c’era anche il dossier Fiat. Lui e Sergio Marchionne non s’incontreranno mai e il Lingotto rilancerà in modo autonomo Mirafiori.
 A luglio il ministero si era impegnato a trovare entro settembre una soluzione per l’Indesit e per il comparto. Nessuna novità, se non un tavolo aperto e l’intenzione di creare un Istituto per l’innovazione. Unica nota positiva? Il decreto per l’accesso delle start-up al Fondo centrale di garanzia. Poco, considerando la ripresa in arrivo. (Fabrizio Goria)

Cécile Kyenge: voto 3

Integrazione (Pd)

La ministra Kyenge è una oculista diventata d’un tratto ministro della Integrazione e dell’immigrazione. Con quali credenziali? Di essere nera? Se bastasse sarei contento anch’io, ma non basta. Il problema di fondo è che due grandi religioni monoteiste non si possono integrare. Possono coesistere, ma resta vero che, se un Dio è vero, l’altro è falso. E siccome il grosso dell’immigrazione che preme alle nostre porte è di religione musulmana, e siccome l’Islam si sta sempre più infiammando, battersi (come fa lei) per lo ius soli è ignorare il vero problema, e anzi infilarsi in un tunnel senza prevedibile uscita. In un editoriale sul «Corriere della sera» avevo proposto che agli immigrati con le carte in regola venisse concessa la residenza permanente, trasmissibile anche ai figli. Il che consente di espellere gli immigrati che si rivelano o diventano sfruttatori della prostituzione, fornitori di droghe o puramente e semplicemente ladri che sono tali per sopravvivere. Ma capisco che questi sono problemi troppo complessi per la nostra ministra. (Giovanni Sartori, politologo, editorialista del «Corriere della sera»)

Enrico Giovannini: 5--

Lavoro e politiche sociali (tecnico)

Era partito lancia in resta, sapendo di avere tutti gli occhi addosso. E adesso lo bocciano a destra e a manca. Enrico Giovannini, statistico di fama internazionale (si debbono a lui i lavori sull’indice del progresso da accompagnare al prodotto lordo) non ha un compito facile come ministro del Lavoro. In più, prende cappello se qualcuno glielo ricorda e risponde elencando puntigliosamente il pacchetto lavoro di fine giugno, un patchwork di piccole cose, molte delle quali ancora sulla carta, altre proprio sbagliate. «Dobbiamo favorire la flessibilità buona» aveva dichiarato, prendendo le distanze da Elsa Fornero. Sugli incentivi per assunzioni a tempo indeterminato (18 mesi di moratoria degli oneri sociali per i giovani, un bonus per agli altri) le imprese lamentano la mancanza dei decreti attuativi. Per gli esodati il ministro aveva annunciato dati finalmente precisi, ma non ci sono: «Colpa delle aziende» si difende. E l’anticipo per chi perde il lavoro poco prima del pensionamento? «Stiamo approfondendo». Quanto al reddito d’inclusione, per ora riguarda solo 220 mila persone nel Sud. Giovannini non si dà per vinto: «Entro ottobre sarà ridotto il cuneo fiscale». Con quali soldi? Le casse sono vuote, o quasi. Mentre l’idea di ridurre il precariato si risolve o in scelte assistenziali o in un flop, perché per assorbire i posti perduti ci vorrà una crescita superiore al 2 per cento annuo. Giovannini lo sa, ma lo statistico e il ministro non vanno d’accordo. (Stefano Cingolani)

Beatrice Lorenzin: voto 7-

Salute (Pdl)

Quello della Salute è un ministero che procura, storicamente, non pochi malanni ai politici che vi si avventurano. È il vertice della carriera e, insieme, quasi sempre l’anticamera della dimenticanza. Beatrice Lorenzin, ribattezzata dal quotidiano Europa «la Meg Ryan de noantri», potrebbe essere l’eccezione alla triste regola. Ha fatto quel che ha potuto, in un ministero di grosse complicazioni e sotto la perenne minaccia di tagli. Ha annunciato di voler interrompere la pratica del «tutto per tutti», obiettivo che richiederebbe almeno un piano quinquennale, non il precario andamento del governo. La polemica più accesa è stata quella con Emma Bonino sul divieto di fumo in auto, in presenza di minorenni o donne incinte. «La multa serve per sensibilizzare» ha (s)fumato. Ha accorciato il guinzaglio ai cani (1 metro e mezzo), ne ha sanzionato la cacca; ma ha lasciato insoddisfatti i laboratori penalizzati dal decreto Balduzzi («Registriamo una perdita secca del 40 per cento»). Ora è alle prese col caso Stamina, metodo bocciato dal comitato scientifico: «Studieremo le motivazioni». Ha, di suo, la tendenza alle battaglie complesse. «Mia nonna era del Pci, ma l’ho convertita al berlusconismo». E senza nemmeno bisogno del ticket. (Stefano Di Michele)

Gaetano Quagliariello: voto 8

Riforme costituzionali (Pdl)

Sembra l’uomo giusto al posto giusto, in un momento propizio. La cultura politica per portare avanti le riforme non gli manca e le sue inevitabili parzialità sono compensate dal lungo addestramento alla comprensione degli altri. Il momento propizio è questo governo, un governo di grande coalizione originato da uno stato di necessità che l’estenuante rinvio delle riforme costituzionali rende particolarmente acuto. Quagliariello sa che se fallisce la commissione da lui presieduta non resterà altra carta che una assemblea costituente e forse anche per questo affronta il suo compito con prudenza e discernimento. Come suo vecchio professore gli darei 8. (Giuseppe Vacca, storico e politico, è presidente dell’Istituto Gramsci)

Graziano Delrio: voto 6,5

Affari regionali e autonomie (Pd)

Più che sufficiente, anche se soprattutto per incoraggiamento, il mio voto per il ministro Graziano Delrio. Il compito fondamentale su cui l’ex presidente dell’Anci deve essere giudicato è il disegno di legge «svuota-province» approvato dal Consiglio dei ministri il 26 luglio scorso. In base a quel testo, gli enti più abrogati (a parole) della storia d’Italia smettono di essere elettivi per diventare espressione dei sindaci e dei consigli dei comuni che ne fanno parte, oltre a perdere molte delle loro competenze, che si riducono alla gestione delle strade provinciali e a poco altro. Non è ancora l’abolizione, attesa da anni, ma è il massimo possibile a legislazione vigente, visto che il rango costituzionale delle province non consentiva interventi più radicali». Da qui un voto che direi d’incoraggiamento. Sicuramente è un buon passo avanti rispetto a quel che aveva fatto il governo Monti, ossia nulla. (Francesco Giavazzi, economista, editorialista del «Corriere della sera»

Mario Mauro: voto 7+

Difesa (Scelta civica)

Essere esponente di un partito ridimensionato nei numeri e nelle aspettative e ministro della Difesa in un esecutivo dominato dai problemi economici e di bilancio non rappresentava certo un viatico per la sua azione politica. Eppure, Mario Mauro è riuscito finora ad accontentare Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni, accettando un piano di riduzione degli organici di oltre 40 mila effettivi, ma ha tutelato gli investimenti per il rinnovo del comparto aereo (la questione degli F35 e 265 velivoli da sostituire) e navale (47 navi su 60 andranno in disarmo entro i prossimi anni) e ha ottenuto garanzie sul finanziamento delle missioni di pace, decisivo per coprire le spese di manutenzione e addestramento soprattutto dell’Esercito. Tutti contenti, o quasi, fra i vertici delle forze armate, che temevano che la spending review potesse penalizzarli maggiormente, e soddisfazione anche tra i ranghi nei confronti di un ministro che ha imparato velocemente il mestiere e che molti sentono "Come uno di loro". (Vittorio Emanuele Parsi, direttore Aseri, Alta scuola di economia e relazioni internazionali Università Cattolica di Milano

Dario Franceschini: voto 6

Rapporti con il Parlamento (Pd)

Dario Franceschini, in fondo, è stato un buon ministro. Come tutti i suoi predecessori nell’incarico di ministro per i Rapporti col Parlamento. Dai tempi di Oscar Mammì. Perché? Perché
 il ministro dei Rapporti col Parlamento, come chiunque capisce bene, non ha nessun compito. Il Parlamento è semplicemente il luogo dove i parlamentari eseguono gli ordini dei partiti. E i rapporti fra i partiti e il governo sono di competenza del premier, non di un ministro, per una ragione chiarissima: altrimenti quel ministro sarebbe premier. Dunque il ministro dei Rapporti col Parlamento non può fare niente di male, visto che non può e non deve fare niente. Anche se, a essere pignoli, bisogna dire che i rapporti fra il governo
 e il Parlamento (se per caso succede che i due partiti principali della maggioranza si azzannano su chi deve essere e chi no senatore, e intanto l’opposizione occupa il tetto di Montecitorio), beh, non possono essere definiti eccellenti. Comunque Franceschini ha diritto a un voto di sufficienza, perché si è sempre dimostrato abile e di straordinaria agilità politica. In poco tempo da democristiano è diventato veltroniano, e poi franceschiniano e ora renziano. Vi pare poco? (Piero Sansonetti direttore di «Gli altri»)

Massimo Bray: voto 8+

Beni e attività culturali e turismo (Pd)

Non si è mai capito bene perché, dopo Giuseppe Bottai, in Italia il ministero della Cultura sia sempre stato considerato di poco interesse. Nel 1976 nasce il ministero dei Beni culturali per volontà di Giovanni Spadolini; ma non avrà la forza e la struttura adeguati. Da allora il primo che appare consapevole del suo ruolo fondamentale è Massimo Bray, pronto ad ascoltare il disperato richiamo di cittadini desiderosi di salvaguardare un patrimonio minacciato da incoscienti, delinquenti e amministratori locali il cui obiettivo è sconvolgere l’aura dei luoghi soprattutto con cattivi restauri, adeguamenti, innovazioni. Il ministro per i Beni culturali non deve affrontare questioni generali, ma singoli problemi, coadiuvato da esperti come i medici con i malati. Nessuno ha interpretato questo ruolo meglio di Bray, la cui sensibilità precede la conoscenza e la cultura. E non dovrà sfuggire che è stato per 19 anni direttore editoriale dell’Enciclopedia Treccani, ponendosi con metodo e dottrina nel solco di Giovanni Gentile. Per la prima volta un ministro reagisce con forza in difesa della delicatezza dei beni artistici. (Vittorio Sgarbi, critico e storico dell’arte

Nunzia De Girolamo: voto 7

Politiche agricole, alimentari e forestali (Pdl)

Partiamo con i numeri, perché danno il senso della realtà e il mio giudizio finale è una media di questi numeri. A Nunzia De Girolamo do sicuramente un 10 per la simpatia, per la disponibilità, per la sua apertura mentale. Vince e convince. Le assegno invece 4 per l’appartenenza politica e soprattutto per quanto riesce a difendere, e bene, Silvio Berlusconi: è più brava anche di Daniela Santanchè. Per la sua attività si merita 8 per l’impegno, si sta dando un gran da fare: non arriva dalle competenze specifiche, ma studia, approfondisce e questo non è da tutti. Per quello che riguarda i risultati non posso darle un voto, perché non c’è stato il tempo per giudicare. Un ministro delle Politiche agricole ha bisogno di 6 mesi per fare con calma un’analisi e poi di 4 anni e mezzo per portare avanti un vero progetto: il ministero va riformato, l’approccio deve essere diverso. Bisogna puntare a raddoppiare l’esportazione, bisogna passare da 30 a 60 miliardi e si può fare. Sono sicuro che lei avrebbe tutti i numeri per poterlo fare bene: è giovane, brava e potrebbe diventare veramente il ministro del made in Italy. (Oscar Farinetti, imprenditore, fondatore di Eataly)

Maurizio Lupi: voto 7,5

Infrastrutture e trasporti (Pdl) 

Al governo va senz’altro riconosciuto il merito di aver invertito la rotta della nave Italia di 180° in materia di politica economica. Dopo un lungo periodo di sacrifici per famiglie e imprese, l’edilizia è tornata finalmente al centro, come in tutti i grandi paesi industriali, delle strategie di rilancio. Si tratta di scelte importanti che speriamo portino presto l’Italia fuori dalle secche. Lupi è stato determinante per il raggiungimento di questi risultati, grazie alla sua conoscenza della materia e alla grande capacità di ascolto. Le misure relative all’edilizia contenute nei decreti d’agosto portano la sua firma: dall’eliminazione dell’Imu sull’invenduto all’anticipazione nei lavori pubblici, fino al piano casa con le norme sui mutui approvate anche grazie al ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. La strada è quella giusta e ci auguriamo si prosegua spediti in questa direzione. L’emergenza, infatti, è tutt’altro che rientrata. La crisi morde ancora famiglie e imprese, e c’è bisogno di un piano di investimenti infrastrutturali che riporti il Paese ai livelli dei partner europei. (Paolo Buzzetti presidente dell’Ance, Associazione nazionale costruttori

Gianpiero D’Alia: voto 4

Pubblica amministrazione e semplificazione (Scelta civica)

Gianpiero D’Alia, siciliano, avvocato e parlamentare di lungo corso, nella XVII legislatura è assurto al rango di ministro per la Riforma della pubblica amministrazione e la semplificazione. In questo ruolo è riuscito a collezionare severe critiche da parte di Scelta civica (il gruppo a cui appartiene a Montecitorio sia pure in quota Udc), inclusa una formale presa di posizione critica (trasmessa con lettera) di Mario Monti. La controversia ha per oggetto il provvedimento di stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione sulla base di una procedura selettiva particolare, diversa dal concorso pubblico, che secondo la Costituzione rappresenta il solo percorso di accesso negli uffici pubblici. In sostanza, si tratta di una sanatoria bella e buona, compiuta in nome della retorica del precariato, senza interrogarsi sui motivi clientelari che inducono le amministrazioni ad assumere a tempo determinato anziché ricorrere alla mobilità (una pratica totalmente disattesa) del personale altrove in esubero. (Giuliano Cazzola, economista e politico

Enzo Moavero Milanesi: voto 8

Affari europei (Scelta civica)

Enzo Moavero Milanesi ha potuto completare in questi mesi l’attività svolta nel governo Monti, dove ha ricoperto il medesimo incarico. Non sorprende quindi che siano stati messi a segno alcuni risultati, come l’approvazione il 31 luglio della legge di delegazione europea 2013 e della legge europea 2013 che spianano la strada al recepimento di 40 direttive comunitarie, sulla mancata attuazione delle quali pendevano 19 procedure di infrazione. Tra le norme approvate ci sono molte disposizioni a tutela dei consumatori, dei viaggiatori coinvolti nei fallimenti dei tour operator, sulle emissioni industriali, in campo farmaceutico e contro la pedopornografia. Coordina inoltre il Comitato per la gestione della presidenza italiana di turno dell’Ue nel secondo semestre 2014: un momento delicato per l’attuazione del processo di unione bancaria e per l’avvio della nuova programmazione comunitaria e relativi fondi strutturali. Infine supporta il negoziato delle regioni per la gestione dei fondi strutturali 2014-2020. È un tecnico e, se riceve sostegno e indirizzo dal premier, è l’uomo giusto al momento giusto. (Luciano Monti, docente di politica economica europea alla Luiss di Roma

Andrea Orlando: voto 6--

Ambiente (Pd)

Come responsabile Giustizia del Pd il ministro Andrea Orlando si era fatto apprezzare per idee innovative e controcorrente tese a rompere il conformismo politically correct di quel partito. Non si può dire che nel nuovo ruolo abbia dimostrato finora altrettanto spirito innovativo. Orlando non pare ancora aver scelto se essere il ministro dell’Ambiente o quello degli ambientalisti; se contribuire a rafforzare i tanti no che paralizzano con false argomentazioni ecologiche decine di investimenti, oppure dare una mano a sbloccarli dando prova di serio pragmatismo; se occuparsi di «politica» strumentalizzando l’ambiente o mettere in campo «politiche» ambientali innovative. Eppure i dossier non mancano: dalla Tav all’Ilva, passando per le mille occasioni perdute di questo Paese in piena decrescita. Preoccuparsi del consenso va bene, ma da un ministro ci si attende innanzitutto capacità di decidere. Se il suo «dibattito pubblico», cui tiene molto, serve solo ad allungare ancora il brodo di una burocrazia senza limiti di tempo in nome di una malintesa partecipazione eretta a moderno tribunale del popolo, non ci siamo. Il mio voto è un «6 meno meno» come incoraggiamento a un ministro che può fare assai meglio. (Chicco Testa, presidente di Assoelettrica

Carlo Trigilia: voto 7,5

Coesione territoriale (Pd)

Fresco di lettura del suo ultimo libro (Non c’è Sud senza Nord), non l’avevo presa bene la nomina di Carlo Trigilia a ministro della Coesione territoriale. Invece è uno dei migliori di questo governo (anche se non ci vuole molto...). Alzi la mano chi ricorda la sua ultima dichiarazione ai giornalisti o, persino, se ne abbia mai fatta una (l’ha fatta). Insomma, dice poco, ma agisce: ha riprogrammato in tempo i fondi europei che rischiavamo di perdere, indirizzandoli su pochi obiettivi, più facilmente raggiungibili; e, per gli anni 2014-2020 (il tempo in cui spenderli), ha concentrato le risorse su ricerca-impresa-lavoro; ha semplificato i rapporti fra centro e regioni, eliminando doppioni nella fase di progetto e nella gestione delle risorse; ma, soprattutto, ha dato vita all’agenzia unica che controllerà uso dei fondi e avanzamento dei progetti, per sostenere gli enti nazionali o locali, ove sorgessero problemi o ritardi e, persino, sostituirli, in casi particolari. Trigilia segue la via tracciata dal suo predecessore Fabrizio Barca, che fu il miglior ministro del pessimo governo Monti. (Pino Aprile, giornalista e scrittore

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