Matteo, adesso torna con i piedi per terra
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Matteo, adesso torna con i piedi per terra

Dopo la sbronza per la nomina ed i discorsi per la fiducia è il momento del fare per il neo premier. E qui cominciano i problemi

Passata la sbronza provocata dal discorso più fico mai pronunciato nella storia repubblicana, umilmente preghiamo il signor presidente del Consiglio di tornare con i piedi per terra, di togliere le mani dalle tasche (perché no, ci spiace, ma l’educazione e lo stile non si cambiano per decreto) e di indossare scarponi chiodati in luogo delle fichissime scarpette usate per volteggiare nei campi della ripresa immaginaria dove a ogni margheritina corrisponde 1 miliardo di euro.

La realtà, si sa, è assai diversa. Altro che miliardi come margheritine: intorno a noi c’è la palude, come ha ben sintetizzato lo stesso premier. Tanto per rinfrescarci la memoria, e misurare la nostra ambizione con la realtà, è bene dirci che tra i paesi dell’eurozona la crescita dell’economia italiana è attualmente «the most anaemic», come ci ricorda il perfido Financial Times. Non solo. Tra le grandi nazioni in Europa, Renzi o non Renzi, il nostro Paese rimane ed è vissuto come «very much the sick man», cioè un malato assai grave. Per questo l’ex sindaco di Firenze deve indossare gli scarponi chiodati e provare a superare la palude, il che significa attrezzarsi e resistere per esempio alle imboscate e alle pretese dei nove partiti che appoggiano il suo esecutivo. O, ancora, fronteggiare gli intoppi burocratici e procedurali che immancabilmente si frapporranno tra lui e le cose che vuole fare.

Matteo l’ambizioso ha disegnato due strade per il suo percorso: quella dei provvedimenti «ordinari» (come il taglio del cuneo o il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione) e quella delle riforme costituzionali (abolizione del Senato e Titolo V) e ordinarie (elettorale, lavoro, fisco, pubblica amministrazione, giustizia). La via degli interventi ordinari è lastricata di incognite e Renzi contribuisce non poco a far inarcare i sopraccigli dei suoi interlocutori per l’assoluta indeterminatezza delle coperture economiche.

Alla luce di queste premesse, dunque, il governo ha davanti montagne da scalare e trappole insidiose. Talmente insidiose che l’insuccesso, purtroppo, non appare una subordinata ma un’opzione sempre a portata di mano, anche per motivi indipendenti dalla volontà dell’esecutivo. Per questo Renzi dovrebbe imboccare con decisione l’autostrada delle riforme, a cominciare da quella elettorale. Che non sarebbe una pistola sul tavolo puntata contro gli alleati (in particolare il Nuovo centrodestra), ma una polizza sulla sua credibilità.

Perché il rischio che il presidente del Consiglio ha concretamente avanti a sé è quello di annunciare e non fare, cioé tirare a campare come un Enrico Letta qualunque. O ancora peggio: galleggiare nella palude. A meno che non indossi, come si diceva, i famosi scarponi chiodati e, risolutamente come ben sa fare, spinga verso l’approvazione di una legge elettorale già condivisa con l’opposizione in modo da avere sempre e comunque a portata di mano un salvagente che lo sottragga al rischio di un mortifero galleggiamento. L’ambizione smisurata richiede grande coraggio ma, soprattutto, la consapevolezza che l’unica alternativa alle acque mollacchie della sopravvivenza è il mare alto e nobile del confronto elettorale.

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Giorgio Mulè