Marò, perché non saranno condannati a morte
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Marò, perché non saranno condannati a morte

Per il giornale indiano The Hindustan Times, Girone e Latorre rischiano la pena capitale, ma non sarà così

Ci risiamo, il consueto valzer di notizie, prima apparse e poi scomparse ricominicia, quasi come un rituale, specie in coincidenza (casuale?) dell'approssimarsi delle festività natalizie: i due marò italiani saranno condannati? O torneranno presto a casa? Questa volta a sollevare il polverone è un articolo pubblicato - e poi scomparso - sul sito del giornale indiano The Hindustan Times: si sostiene che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre potrebbero anche essere condannati a morte per l'incidente al peschereccio Sant'Antony, il 15 febbraio del 2012 , al largo delle coste dello stato indiano del Kerala.

Il condizionale è d'obbligo, perché sono invece molti gli elementi che farebbero pensare esattamente al contrario. Innanzittutto nella stessa India sembra essere in corso ormai da troppi mesi una guerra intestina che coinvolge il governo indiano a vari livelli, da alcuni ministri fino alla stessa magistratura. Non a caso, subito dopo la comparsa dell'articolo, una fonte diplomatica ha precisato come non spetti alla Nia formulare capi di imputazione nei confronti dei fucilieri italiani, ma "che la decisione finale spetta al giudice".

A riprova dei dissensi interni ci sono le dichiarazioni del ministro degli Esteri di New Delhi, Salman Khurshid, che lo scorso aprile aveva dichiarato apertamente che il caso dei militari italiani non aveva rientrava tra quelli "rari tra i più rari" per i quali è prevista la pena capitale. Era stato, tra l'altro, lo stesso Khurshid, a chiarire alla Nia che per i marò non c'erano i preusspposti per applicare la "Sua Act", ovvero la "legge per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della Navigazione marittima e le strutture fisse sulla piattaforma continentale": in pratica la norma contro la pirateria che punisce con la pena capitale chi commetta un omicidio. Nell'incidente della Enrica Lexie (il mercantile italiano a bordo del quale Latorre e Girone facevano servizio antipirateria, NdR) sarebbero rimasti uccisi proprio due pescatori. Che ne sarà, dunque, di Girone e Latorre?

Nella pur intricata e lunga vicenda, ci sono, però, alcune considerazioni che fanno pensare che i militari del San Marco non dovrebbero essere condannati. Intanto, come ricordato dallo stesso The Hindustan Times, il ministero degli Esteri si è impegnato ad "assicurare che i due militari non siano perseguiti in base al Sua Act" e le sue parole avrebbero - per il giornale indiano - "il valore di uno Stato sovrano".
Se la Nia non conferma né smentisce le conclusioni del rapporto e l'inviato speciale italiano, Staffan De Mistura, assicura di essere "pronti con mosse e contromosse", a parlare è uno dei protagonisti della vicenda di questi ultimi mesi, Stefano Tronconi. E' lui che, insieme al giornalista Tony Capuozzo e all'esperto Di Stefano, sono riusciti a ricostruire la dinamica dei fatti di quel 15 febbraio, smontando passo dopo passo le accuse indiane nei confronti dei marò e provandone l'innocenza.

La ricostruzione italiana ha iniziato ad essere diffusa anche in India, creando non qualche imbarazzo nelle autorità, che ora sarebbero in difficoltà nel dover ammettere che sono stati commessi alcuni errori durante le prime, farraginose e poco chiare indagini da parte delle autorità del Kerala (non addirittura "false" come sostenuto già in passato da Tronconi). "L'unica possibiltà che Girone e Latorre siano condannati risiede nella possibilità che il governo italiano preferisca una loro condanna per ragioni di Stato" commenta oggi proprio Stefano Tronconi, a Panorama.it, convinto che i marò non possano essere condannati, anche per un altro motivo. "Non possono essere condannati perchè l'India è, malgrado tutto, una democrazia e se la verità che viene ancora tenuta nascosta venisse alla luce in India sarebbero gli indiani stessi a vergognarsi di quello che una piccola banda di politici corrotti ha messo in atto" denuncia ancora Tronconi.

Tra i punti più controversi della vicenda ci sono l'orario in cui sarebbe avvenuto l'incidente, la collocazione geografica al largo delle coste indiane del mercantile Enrica Lexie e soprattutto della greca Olympic Flair (così simile alla nave italiana da poter essere confuso, ma soprattutto che denunciò un attacco di pirati proprio nella zona e nell'orario in cui sarebbe avvenuto l'incidente al peschereccio Sant'Anthony), ma anche la perizia balistica, che avrebbe dimostrato che le armi che hanno ucciso i pescatori avevano un calibro non compatibile con quelle in dotazione ai militari italiani. Insomma, tutte le prove dimostrerebbero che la nave protagonista dell'incidente al peschereccio indiano sia la greca Olympic Flair, mentre gli italiani avrebbero soltanto aperto il fuoco, come da procedura, respingendo un altro naviglio, senza provocare la morte di nessuno.

Intrecci politici, corruzione e giochi di potere in India avrebbero complicato ulteriormente le cose, trascidandole per oltre 21 mesi, insieme ad interessi economici reciproci di India e Italia.

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Eleonora Lorusso