Marò: il silenzio assordante del governo italiano
L'ambasciatore italiano a Nuova Delhi è ormai un ostaggio di lusso: il governo, se vuole evitare una grave crisi diplomatica, batta un colpo
La Corte Suprema dell’India ci calpesta, l’Europa anche. Qualcuno alla fine si degnerà di dare una risposta decente all’indifferenza e al disprezzo verso l’Italia?
È vero, il governo ha improvvidamente deciso di mancare alla parola data e non far tornare in India i marò Latorre e Girone accusati di aver ucciso due pirati del Kerala scambiati per pirati. Ma intanto il più alto organo di giustizia dell’Unione indiana ha ribadito oggi che il nostro ambasciatore Daniele Mancini non gode più dell’immunità diplomatica.
I marò sono attesi in India il 22 marzo, allo scadere del mese di permesso concesso per farli votare in Italia. Qualche giorno fa, una nota verbale del governo italiano a quello indiano ha fatto sapere che non rientreranno. Ci è andato di mezzo il povero Mancini, che “in nome e per conto” dell’Italia aveva firmato l’impegno a farli rientrare. Secondo i giudici indiani, nel momento in cui si è sottoposto con quell’Affidavit alla giurisdizione della Corte Suprema, è come se Mancini si fosse volontariamente spogliato dell’immunità diplomatica.
Di fatto non può muoversi liberamente, non può lasciare il paese senza chiedere il permesso alla Corte, non può andare nel vicino Nepal presso il quale è pure accreditato (oltre all’India). È un ostaggio di lusso. In più rischia, dopo il 22 marzo, e se i marò non saranno rientrati, di essere processato, condannato e incarcerato per tre anni.
Nei Palazzi romani si ritiene che alla fine verrà espulso (sarebbe la soluzione migliore), ma non si sa mai.
La Corte Suprema è così autorevole e potente in India, da esser considerata istanza superiore anche rispetto a singoli membri del governo. L’orgoglio indiano è proverbiale. E l’India non è certo un paesino. È una potenza in crescita, con un mercato potenziale di oltre un miliardo di consumatori, e proprio in queste settimana è in ballo l’accordo di libero scambio con la Ue.
Sarà anche per questo che l’alta rappresentante per la politica estera della Ue, Lady Ashton, ha dichiarato che resterà fuori dalla disputa, non parteciperà ad alcuna mediazione, e ha invitato tramite il suo portavoce “entrambe le parti” al rispetto della Convenzione di Vienna del 1961 che garantisce l’immunità assoluta agli ambasciatori.
A che serve aver messo in piedi una dispendiosa struttura diplomatica europea se poi, di fronte a una così grave e elementare violazione dello status di un ambasciatore europeo la Ue neanche riesce a schierarsi? E, soprattutto, la vicenda è stata sicuramente mal gestita da Esteri e Difesa, altrimenti non ci troveremmo oggi a questo punto, ma vorrà finalmente degnarsi di alzare la cornetta e telefonare al premier indiano Singh il nostro presidente del Consiglio, Mario Monti, che per mesi ci ha raccontato la favola della riconquistata credibilità dell’Italia?
Vorrà distrarsi anche solo per qualche minuto dalla sua preoccupazione principale (tenersi aggrappato a qualche predellino o poltroncina istituzionale nonostante la disfatta elettorale) e mettere infine la testa su una delle più gravi crisi diplomatiche che il nostro paese abbia mai dovuto affrontare?
Vorrà Monti far valere la nostra posizione con la Ue? Oppure al danno di dover rispondere davanti al mondo di una poco onorevole violazione della norma fondamentale del diritto internazionale per cui i patti vanno rispettati (pacta sunt servanda), tra poco dovremo pure riflettere sull’eventualità di dover chiedere ai marò di sacrificarsi e tornare in India, o all’ambasciatore di subire sulla propria carne gli errori della casa madre stringendo i denti, affrontando “in nome e per conto dell’Italia” ogni possibile umiliazione? Insomma, l’Italia, il governo, qualcuno, se c’è, batta un colpo.