Tributi alla parlamentare inglese uccisa Jo Cox
DANIEL LEAL-OLIVAS/AFP/Getty Images
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Jo Cox, così il Regno Unito supererà lo shock

Anticorpi democratici e capacità di integrazione, come quella dimostrata dai londinesi eleggendo Sadiq Khan, vinceranno ancora una volta

La notizia dell’assassinio di Jo Cox - la giovane (41 anni) deputata laburista inglese, figlia di operai, laureata a Cambridge e attivista volontaria nelle Ong che conduceva un’appassionata campagna contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea - è piombata ieri sera a Villa Wolkonsky, residenza dell’ambasciatore britannico a Roma.

Si era nel mezzo delle celebrazioni per il compleanno della Regina e del saluto dell’ambasciatore Cristopher Prentice che lascia l’Italia e il Foreign Office avendo impresso una traccia duratura nelle relazioni con l’Italia.

È scesa, la notizia dell’omicidio, come una cappa di tristezza e si leggeva nelle facce dei padroni di casa e dei loro ospiti lo sgomento, insieme alla speranza che la motivazione del gesto non fosse quella suggerita da voci e testimonianze sul grido dell’assalitore ("First Britain").

Paura di una matrice politica
La matrice politica faceva, fa, paura. Perché nulla è più estraneo allo spirito della civile patria della democrazia occidentale, della follia che ha scatenato l’odio criminale contro la bella persona che era Jo Cox.

Dell’assassino non merita neppure ricordare il nome: ci viene raccontato come un simpatizzante dei nazisti americani (altra contraddizione in termini, per quanto l’America non sia immune al razzismo, ancora oggi). È probabile che questo terribile fatto di sangue, che non sembra pianificato ma frutto di accecamento ideologico solitario, alla fine dia una mano a quanti vorrebbero mantenere il Regno Unito dentro l’Europa.

Ma anche questa eventualità veniva accennata, ieri, soltanto sottovoce. Perché nessuna causa, fosse pure giusta, anzi proprio quella giusta, dovrebbe esser favorita dal sangue di innocenti o da progetti di morte.

Anticorpi britannici
Ecco, io continuo ad avere un’incrollabile fiducia negli anticorpi britannici, nella capacità del Regno Unito di reagire compatto alla deriva mentale di un folle razzista.

La paura, l’odio, il disprezzo, l’incapacità di accettare “l’altro”, sono ancora sentimenti eccezionali in Gran Bretagna. Nessuno, mi pare, ha ricordato che altri segnali provano la forza e solidità del sistema, il buonsenso del pubblico inglese. A cominciare dalla recente elezione del Sindaco di Londra, Sadiq Khan, musulmano, nel pieno della campagna terroristica dell’Isis in Europa.

La Gran Bretagna ha vissuto e sofferto tempi peggiori.

Lo stillicidio, la scia di sangue dei separatisti irlandesi dell’IRA, ha funestato in anni non lontani le cronache politiche e criminali britanniche.

Altri Paesi affrontano emergenze più tragicamente significative. Negli Stati Uniti (lo ricordava Alexander Stille giorni fa su “Repubblica”) dal 2002 al 2016 i morti causati da estremisti islamici sono stati 45, meno dei 47 causati da estremisti di destra. E i morti ammazzati per arma da fuoco nel 2015, in USA, 475 rispetto a meno di 50 in Gran Bretagna.

Il mondo, anche occidentale, anche le nostre democrazie, ha dovuto convivere (e tuttora convive) col terrorismo. Un terribile gesto come quello di cui è stata vittima la Cox trova il suo argine ideale nella dimostrazione data dai londinesi con il voto a Sadiq Khan, musulmano, a Sindaco.

La vita, l’esempio, la storia, le parole di Jo Cox e di suo marito Brendan sono il modello vincente della Gran Bretagna.

L’esplosione di violenza omicida dell’assalitore che ha accoltellato e sparato tre volte alla vittima, anche a terra, è uno choc per i britannici, per gli europei, per tutti noi. Ma non è, non sarà, la prova del fallimento di una società che resta un punto di riferimento del mondo libero e dell’Europa, dentro o fuori che sia dai palazzi dell’Unione, il 24 giugno.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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