Luigi Lusi deve rientrare nel Pd. Lo dice la magistratura
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Luigi Lusi deve rientrare nel Pd. Lo dice la magistratura

Il Tribunale di Roma ha deciso che l'espulsione dell'ex tesoriere della Margherita ha dei vizi di forma. Un precedente che apre scenari inquietanti

Nelle pagine interne dei giornali di oggi è comparsa una notiziola che a prima vista sembra soltanto curiosa. Vi ricordate il senatore Lusi? L’ex-tesoriere della Margherita, accusato di essersi appropriato a fini personali dei fondi del finanziamento pubblico? Quando scoppiò lo scandalo, il PD, cioè il partito nel quale la Margherita era confluita, immediatamente espulse Lusi. Oggi, a tre anni di distanza, il tribunale di Roma decide che quella espulsione era illegittima, perché non era stata effettuata rispettando le regole, e quindi riammette nel PD Lusi (che nel frattempo ha già subito una condanna in primo grado ad oltre 8 anni di carcere).

È soltanto una bizzarria, quella del Tribunale di Roma? Oppure è un precedente pericoloso? La legge sui partiti approvata circa un anno fa dal Parlamento, introduce obblighi stringenti: lo Statuto di ogni partito deve essere depositato ad un’apposita commissione, fatta da magistrati, che ne verifica la corrispondenza a una serie di requisiti stabiliti per legge.

Fino ad oggi, la magistratura si era sempre dichiarata incompetente per quanto riguarda le liti interne dei partiti. Essendo i partiti associazioni private, erano essi stessi a decidere sulle loro questioni interne. Questo sulla base di valutazioni non tanto giuridiche ma, come è logico, politiche. Si considerava un dato di buon senso che (ricorriamo ad esempi paradossali, per chiarire il concetto) chi militasse in un partito cattolico non potesse essere favorevole all’aborto libero e gratuito per tutti o che un socio del Partito liberale non potesse chiedere nazionalizzazioni a tappeto.

La storia della repubblica è fatta di espulsioni e di scissioni, alcune delle quali hanno avuto effetti importanti: cacciati dal PLI, Pannella ed altri diedero vita al Partito Radicale, protagonista da oltre mezzo secolo di importanti battaglie politiche; nel 1947, a Palazzo Barberini, Saragat si separò da Nenni dando vita al primo partito di sinistra italiano ben radicato nel libero occidente; quando il PCI espulse quelli del Manifesto, ne nacque un quotidiano fra i più longevi e i più interessanti della sinistra italiana.

Sono stati fenomeni, appunto, politici, sui quali la magistratura non si è mai sognata di intervenire. Oggi, anche in virtù della nuova legge, le cose potrebbero cambiare. Come scrive il tribunale di Roma, infatti, “l’esclusione dal partito (comminata secondo il giudice con alcune irregolarità formali) deve considerarsi in contrasto con i principi costituzionali che tutelano la libertà di associazione e il metodo democratico cui devono ispirarsi le associazioni partitiche che concorrono a determinare la politica nazionale”.

Dunque, d’ora in avanti può toccare ai giudici decidere quello che avviene nei partiti. Chiunque non sia soddisfatto di una scelta compiuta dal suo partito, per esempio la scelta di un candidato alle elezioni, potrà invocare una “violazione del metodo democratico” e chiedere al giudice di esprimersi. Conoscendo la capacità creativa della magistratura italiana, ne vedremo delle belle.
Nel frattempo, abbiamo compiuto un altro passo verso quella “repubblica dei giudici” che somiglia sempre meno alla democrazia.

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Serenus Zeitblom