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Premiata ditta insulti e inciuci

Piuttosto che discutere di programmi le forze politiche preferiscono accusarsi a vicenda. Il risultato sarà aggravare l'emoraggia partecipativa alle urne

È normale, direi fisiologico, che la fase precedente l'inizio della campagna elettorale sia caratterizzata da fibrillazioni anche importanti tra forze politiche in cerca di un minimo comun denominatore. Soprattutto se, come nel caso italiano, la legge elettorale spinge i partiti a coalizzarsi.

Il centro di questo minimo comun denominatore dovrebbe risiedere nel programma, in una proposta di governo accettata da chi si aggrega. A destra come a sinistra, senza dimenticare ovviamente i 5 Stelle, i motori sono accesi. Con molte e profonde differenze.

I grillini hanno stabilito che Ostia è il centro del mondo, che sia bastato vincere lì con un terzo dei votanti per aprirsi la strada verso il governo del Paese. Beata ignoranza. Che non fa i conti con profonde contraddizioni e pericolosissimi intenti programmatici (vedi alla voce patrimoniale) difficilmente occultabili agli italiani. Qualcuno in verità ha capito che non è aria. La ritirata strategica di Alessandro Di Battista - anticipata con tutti i particolari dal nostro Carlo Puca - altro non rappresenta infatti che la consapevolezza di non essere ancora maturi per aspirare a Palazzo Chigi.

Della litigiosità nel centrosinistra abbiamo già scritto e la cronaca offre quotidianamente nuovi spunti. I presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, continuano imperterriti a ondeggiare senza rendersi conto del danno che causano all'istituzione che rappresentano.

Intorno a loro è un fiorire di ondeggiamenti mentre Matteo Renzi fischietta in giro per l'Italia a bordo di un treno manco fosse uno spettatore disinteressato. Colpisce che in questo pendolo del nulla si sia smarrita la bussola della visione politica ovvero la politica della progettualità, le fondamenta sulle quali costruire l'impalcatura dell'Italia dei prossimi anni.

Signori, dov'è il programma? Come farete a coniugare visioni contrapposte e antitetiche sull'articolo 18, sul jobs act? Chi vuol dire una parola chiara e definitiva su ius soli e immigrazione, sulla necessità di rivedere un codice degli appalti paralizzante e un codice antimafia mortificante per chi ancora ha coraggio e voglia di fare impresa in questo Paese?

Piuttosto che rispondere a queste domande si preferisce vivere questo tempo sospesi nella arida vacuità di due parole: insulti e inciuci. Beppe Grillo e Matteo Salvini non resistono più di 24 ore al richiamo dell'insulto così come nel centrodestra e nel centrosinistra scattano quotidianamente accuse reciproche di lavorare per un governo dell'inciucio in mancanza di una maggioranza chiara dopo le elezioni.

Continuare nella scia di insulti e inciuci avrà come unica conseguenza quella di aggravare l'emoraggia partecipativa alle urne. Chi va a votare vorrebbe sapere che cosa lo aspetta nel caso scelga una coalizione o un'altra, vale per i giovani e per gli anziani. Sui meno giovani, Silvio Berlusconi si è portato avanti con l'idea di creare un ministero ad hoc. Nel deserto di insulti e inciuci è già qualcosa.

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Giorgio Mulè