La scossa nel cuore di Ravenna
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La scossa nel cuore di Ravenna

Nazzareno Carusi, ravennate, racconta il terremoto di oggi e la paura di domani

di Nazzareno Carusi

Sono nato a Celano, quaranta chilometri dall'Aquila. Mia nonna Amina, classe 1891, da bambino m'ha raccontato mille volte il grande terremoto della Marsica del 1915. Trentamila morti, un quarto di tutti gli abitanti. Gli uomini sopravvissuti, anche mio nonno Nazzareno, partirono per la Grande Guerra dopo quattro mesi. Che razza di destino.

Il campanile di San Giovanni, dove mezza Celano viene battezzata e l'altra mezza passa a salutare il Padreterno prima d'andarsene per sempre, oscillò da sinistra a destra tre, quattro, cinque volte. Poi andò giù, sommando il suo fragore a quello sordo e micidiale della terra che saltò e ondulò per un tempo infinito. Da ragazzo ricordo bene la fuga in piazza dopo le scosse in Irpinia del 1980 e in Val Comino nell'84.

Quello dell'Aquila no, a quella tragedia non c'ero. Abitavo già a Ravenna e non sentii nulla se non il pianto e lo strazio e l'angoscia dei miei, degli amici, dei conoscenti, della mia gente colpita al cuore da trecento morti e quasi tutta la città vecchia e i suoi incredibili dintorni collassati su se stessi. Per di più, come pare sia accaduto, fra i sogghigni di gentaglia il cui cinismo fece sfregio d'ogni pietà umana.
Eppure a mente e cuore freddi, il terremoto laggiù non è mai inatteso. Di qui la gravità delle colpe di chi oggi è a processo per i morti di tre anni fa. È come se l'incazzatura di Gea facesse parte del nostro sangue, tante ne ha visti la terra forte e gentile, come le cronache e l'uso popolare raccontano l'Abruzzo.

Mai avrei pensato, invece, di viverlo a Ravenna. Se possibile (e perdonatemi l'osare), qui la paura è più presente che a Celano perché davvero inaspettata, sul serio impreparata dalla Storia. Per assurdo, perché non ha il sangue già versato che renda la fatalità meno fatale. Da settimane, da quando i vicini modenesi e ferraresi contano purtroppo i primi morti di questo dramma da secoli in qua, conviviamo non dico con l'angoscia, perché così non è, ma certo col timore che qualcosa di nuovo sia nell'aria. Di imponderato, quindi di più pauroso.

E stamattina alle 6, col botto sotto il letto e il suo sussulto che ci hanno svegliati, è arrivata la paura vera e dalle facce della gente sembra che non vada via.

Ho twittato la notizia in diretta e ho cercato di leggerne altrettante. Niente. I più di quelli che seguo e che mi seguono devono risiedere a Milano o Roma o chissà dove, dunque la loro assenza sull'argomento mi diceva che forse il colpo l'avevo sentito solo io. O addirittura che l'avessi sognato. Poi no, mi son detto, che sognato, non credo d'essere già in mano all'opalescenza dei sensi. L'ho sentito eccome, benissimo. Barbara s'è alzata di scatto pure lei e Riky c'è saltato in braccio. Abbiamo guardato la finestra dalla quale, con l'ingegnere che è venuto a guardarci casa dopo i due scossoni dell'Emilia, ci siamo detti d'uscire se mai tirasse veramente forte. No, la scossa c'era stata ed evidentemente era a Ravenna o giù di qua. Infatti.

Che succede? Sembra sia un'altra faglia. Sembra che la tenaglia fra Appennini e Alpi stia mordendo la Pianura. Sembra che la sabbia che abbiamo sotto casa, che tutti qui hanno sotto i piedi, stia liquefacendosi. Sembra, sembra, sembra... I professori, come quelli del Governo, dicono poco e sbagliano parecchio a quanto pare. L'unica cosa certa è che la terra trema. E l'ansia che non lascia l'anima di nessuno qui, è che la costruzione di quasi tutte le nostre case e i palazzi, i teatri, i campanili e le torri non sia adatta alla novità d'assetto che Madre Natura ha deciso di questa landa di sogno che è la terra incantata di Romagna.

La luce stamattina è bellissima, verde come i pini di Classe, gli occhi di Barbara, intensa come quelli di Riky che è andato comunque a scuola, nostalgica come quella che ho negli occhi io dei miei figli che vivono a Québec, dovrebbero venire in vacanza, ma con la loro mamma abbiamo deciso che lì staranno ancora un po' perché qui la situazione non è certa. Speriamo bene.
Eppure oggi è una giornata così bella...

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