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HAIDAR HAMDANI/AFP/Getty Images
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La disgregazione dell'esercito iracheno

Nel solo mese di giugno circa 2.700 soldati hanno lasciato le forze armate regolari per confluire nelle milizie sciite: dietro c’è il governo iraniano

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Per l’Iraq è in arrivo una nuova tranche di aiuti finanziari del valore di 350 milioni di dollari. L’investimento, annunciato il 9 luglio dalla Banca Mondiale, è destinato alla ricostruzione delle infrastrutture e al ripristino di servizi pubblici come la sanità e l’istruzione. L’iniziativa fa parte di un programma di sostegno al governo di Baghdad della durata di cinque anni e a beneficiarne saranno principalmente le province di Salahuddin e Diyali e le città di Tikrit, Dor, Dhuluiya, Al Alam, Jalawla e Saidiyah e Al Azeem.

L’altra buona notizia per il governo del premier Al Abadi arriva dagli Emirati Arabi Uniti. Il governo di Abu Dhabi si è infatti impegnato a consegnare all’aviazione irachena uno stock del sistema missilistico guidato Al Tariq. Il sistema verrà installato su 24 caccia FA50 che Baghdad ha commissionato alla fine del 2013 alla società sudcoreana Korea Aerospace Industries (KAI). Al Tariq è prodotto dalla Tawazun Dynamics, una joint venture tra la sudafricana Denel e il fondo sovrano degli Emirati Tawazun.

L’Iraq incassa l’accordo, anche se questa mossa non può essere sufficiente per decifrare la condotta di Abu Dhabi nella guerra in corso contro lo Stato Islamico in Medio Oriente. Gli Emirati sono infatti accusati di essere uno dei principali Stati del Golfo Persico a sponsorizzare l’avanzata jihadista in Siria e Iraq.

La disgregazione dell’esercito iracheno
Ciò che in questo momento preoccupa però maggiormente il governo iracheno è la tenuta delle sue forze armate. Il pensionamento “accelerato” del generale curdo Babaker Zebari, capo di Stato maggiore dell’esercito, è solo uno dei segnali delle tensioni tra il premier sciita Haider Al Abadi e il ministro della Difesa, il sunnita ex ufficiale dell’aeronautica Khaled Al Obeidi.

 

Il ministro sospetta che Al Abadi, forte del sostegno di Teheran, intenda smantellare gradualmente l’esercito come dimostrerebbero le defezioni di massa registrate negli ultimi mesi. Molte giovani reclute provenienti dalle comunità sciite del Paese sono infatti state indirizzate dal governo verso le Forze di Mobilitazione Popolare. Uffici per il reclutamento sono stati aperti nelle città di Sadr City, Kerbala e Najaf. Oltre all’inerzia dell’esecutivo, che non starebbe facendo nulla per frenare la diaspora dall’esercito regolare, nei giorni scorsi è intervenuto in persona l’AyatollahAli Al Sistani, la figura religiosa sciita più influente in tutto l’Iraq. Attraverso una fatwa Al Sistani ha di fatto “benedetto” il passaggio dei soldati iracheni nelle milizie sciite.

 

A poster of Iraq's top Shi'ite cleric Grand Ayatollah al-Sistani, is seen at the back of a vehicle used by Hashid Shaabi forces in Tikrit

 

Secondo un rapporto fornito dall’ambasciata di uno Stato del Golfo in Iraq, nel solo mese di giugno sono stati circa 2.700 i disertori. La maggior parte di questi sono confluiti nelle milizie Badr (guidata da Hadi Al Ameri), Asaib Ahl al-Haq (Lega dei Giusti) e Jaish al-Mahdi (Esercito del Mahdi) di Moqtada al-Sadr, l’armata protagonista dell’insurgency irachena contro le truppe di occupazione a Najaf, Kerbala, Bassora e Sadr City.

 

Il ruolo dell’Iran
In questa ondata di diserzioni a incidere ovviamente non è stata solo la chiamata di Ali Al Sistani ma anche l’aspetto economico. Gli stipendi garantiti dalle milizie sciite irachene così come dalla Forza Al Quds, le forze speciali della Guardia Rivoluzionaria iraniana guidate dal generale Qassem Suleimani, sono infatti gli stessi se non superiori rispetto a quelli erogati dal governo di Baghdad.

 

Recentemente il ministro iracheno Al Obeidi ha provato a fare qualcosa per tamponare l’esodo cercando un accordo direttamente con il suo omologo iraniano Hossein Dehqan. Ma l’Iran ormai rappresenta di fatto l’unico vero protettore di quel che resta del governo di Baghdad. Su pressione di Teheran, il premier Al Abadi presto potrebbe riconoscere la legittimità delle milizie sciite, il che implicherebbe la destinazione di fondi pubblici anche nei loro confronti. Per l’esercito regolare sarebbe il colpo di grazia. Con buona pace per gli USA e per la Banca Mondiale, che continuano a investire sulla ripresa dell’Iraq senza rendersi conto che lo Stato con cui si rapportano presto potrebbe non esistere più.

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Rocco Bellantone