L'insostenibile pesantezza dell'Europa
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L'insostenibile pesantezza dell'Europa

L’Europa è un continente dove si estende l’aridità sociale e dove non vi è traccia di crescita

Di sicuro c’è che al quinto anno della grande crisi l’Europa non ha brillato per grandi idee. Con tutto il rispetto, qualcuno è in grado di ricordare un’iniziativa forte e risoluta partorita dall’Unione e tale da placare o quantomeno attenuare la tempesta recessiva? Non fosse stato per il coraggio, la determinazione e la caparbietà della Bce di Mario Draghi staremmo già oltre la linea del baratro. Per il resto è stato un fiorire di egoismi, nazionalismi, nichilismo, tatticismi.

Vogliamo forse guardare indietro ai capolavori partoriti dall’asse Merkel-Sarkozy? O alla cieca intransigenza dei paesi del Nord in materia di finanza pubblica?

I risultati sono sotto gli occhi di chiunque: l’Europa è un continente dove si estende l’aridità sociale, dove non v’è traccia di crescita. Di qui a pochissimo potrebbe esplodere nuovamente la situazione in Grecia, dove i soloni di Bruxelles ci avevano detto che era tutto a posto e che il peggio era alle spalle. Macché, nella Penisola ellenica il fuoco del disastro non è stato spento. Niente affatto. Non è difficile supporre che una nuova crisi greca, oggi, avrebbe effetti assai più disastrosi di quelli dispiegati nel recente passato.

Per un motivo, innanzitutto: l’Europa (o meglio i cittadini dell’Europa e quindi anche noi) sta peggio rispetto a un anno fa. Molto peggio. In Spagna, Francia e Italia le politiche dell’austerità e dei vincoli assoluti di bilancio hanno massacrato il tessuto produttivo, mortificato l’impresa, impoverito le famiglie. Non si spende più né si riesce a risparmiare. Il contagio del disagio, questa volta, potrebbe avere effetti devastanti. Perché la sindrome greca, fatta di impoverimento e mancanza di fiducia, ha colpito nel frattempo noi come gli spagnoli e i francesi.
Nessuno, in coscienza, può oggi guardare dall’alto in basso i greci. Nessuno, nel 2013, può considerarsi al riparo. Per questo ci vuole uno shock, in Europa e in Italia.

In Europa è impossibile rimanere appesi all’esito delle elezioni di fine settembre in Germania e alla successiva formazione del governo, sarebbe l’ennesima prova di come l’Ue sia «ostaggio» delle politiche decise a Berlino. Subito va invertita la rotta, concedendo anche all’Italia (che ha sempre rispettato gli impegni e pagato i suoi debiti) la possibilità di derogare ai vincoli. Sono necessarie iniziative coraggiose, che sappiano osare e sfidare
la contingenza del presente.

Spiace, ma la soluzione non è il decreto del «fare» partorito con tanto affanno dal governo delle larghe intese. Le misure contenute sono un’aspirina a piccolo dosaggio o poco più. Lo sosteniamo da anni: l’esecutivo abbia il coraggio di aggredire la spesa pubblica, passi con la falce sugli 800 miliardi di questo mostro largamente improduttivo. Liberi risorse, avvii investimenti e scontenti qualcuno. Pazienza. Venga dato al Paese un segnale chiaro: fermare la deriva delle tasse è possibile, si può evitare l’aumento dell’Iva e si può cancellare l’Imu sulla prima casa.

 Ci vuole un po’ di coraggio. A questo governo la scelta se decidere di accucciarsi sotto il mantello fatuo dell’Europa, per acquisire non si sa quali benemerenze, o fare concretamente il bene dell’Italia.

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Giorgio Mulè