Il Csm fa saltare gli altarini alla Procura di Milano
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Il Csm fa saltare gli altarini alla Procura di Milano

Secondo il giudici assegnare l'inchiesta Ruby a Ilda Boccassini fu un errore. La prova della guerra giudiziaria all'ex premier

No, scusate, ma vi rendete conto di che cosa è successo?

Va bene che sui giornali, a occuparsi degli interna corporis del Consiglio superiore della magistratura sono sempre gli specialisti di giudiziaria che sono un club di superesperti con un gergo proprio e una propria peculiare monomania, ma il documento col quale una delle commissioni del Csm, cioè dell’organo di autogoverno dei giudici, censura il procuratore capo della Repubblica di Milano e storico leader della corrente “rossa” di Magistratura democratica, Edmondo Bruti Liberati, è una vera bomba che rimette in gioco la vulgata del Cavaliere Nero, il marchio di SilvioBerlusconi “delinquente incallito”.

Ed è una questione molto poco tecnica e assai politica. Che getta un’ombra lunga e dagl’inaspettati risvolti sull’estromissione dalla politica dell’ultimo presidente del Consiglio eletto dagli italiani (chi gli è succeduto, compreso Matteo Renzi, è stato legittimato dal Parlamento, non dal voto popolare). 

Dice la settima commissione del Csm, che si occupa dell’organizzazione degli uffici, che l’assegnazione delle inchieste su Ruby a Ilda Boccassini (ricordate “Ilda la Rossa”?) è priva di “motivazione della cui opportunità, se non addirittura necessità, non può dubitarsi”. Un modo neanche troppo paludato di dire che si è trattato di una decisione arbitraria, o soggettiva, chiamatela come volete, di Bruti Liberati, che ha tenuto fuori chi avrebbe dovuto occuparsene per competenza: l’aggiunto Alfredo Robledo. Il quale, sollevando il caso al Csm, ha poi fatto emergere i meccanismi controversi di gestione della Procura più famosa, e discussa, d’Italia. 

Se quella motivazione fosse stata data (ma non lo è stata), Bruti Liberati avrebbe “scongiurata qualunque possibilità di rischio di esporre l’ufficio al pur semplice sospetto di una gestione personalistica di indagini delicate concernenti un esponente di spicco della politica nazionale” (possiamo solo immaginare quanto si siano arrovellati gli estensori della formula).

Il Csm non ha il coraggio di nominarlo, ma quell’esponente “di spicco” altri non è che Silvio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio. Ecco, a quel “pur semplice sospetto di una gestione personalistica” delle inchieste Ruby, che hanno contribuito in modo decisivo al discredito e alla caduta del governo Berlusconi, si aggiunge un rilievo tecnicamente perfino più grave: l’avere Bruti Liberati trasmesso in ritardo il fascicolo, lasciato in cassaforte per un paio di mesi, su un’altra inchiesta che riguardava invece i presunti trucchi della gara per la privatizzazione della quota di minoranza del Comune di Milano in Sea (a insaputa del sindaco, Giuliano Pisapia). Anche Robledo finisce nel mirino, per aver eventualmente messo a rischio la segretezza delle indagini sull’Expo trasmettendo al Csm fascicoli che riteneva fossero suoi di competenza.

Ma il punto vero emerge solo adesso che Berlusconi è “fuori gioco” e un organismo del Csm, finalmente attivo grazie agli stracci fatti volare da un altro magistrato, afferma che il giudice naturale di Berlusconi era un altro, e che non è stata data una ragione per la quale a indagare dovesse essere “Ilda la Rossa”. Il che ora autorizza altri sospetti, altre illazioni, e restituisce un po’ di ragione a Berlusconi quando diffida di una parte della magistratura e sostiene di essere perseguitato.

Per inciso, le toghe in questione rischiano al massimo una mancata conferma (Bruti Liberati a capo della Procura di Milano) o il trasferimento. Ma la storia d’Italia intanto è cambiata, “grazie” all’offensiva politico-finanziaria dell’autunno 2011 rivelata da premier e ministri di Stati Uniti e Spagna, e al contemporaneo accerchiamento giudiziario che vedeva l’affaire Ruby “immotivatamente” in mano a Ilda Boccassini.

La commissione del Csm osserva, a onor del vero, che le inchieste non furono compromesse dalle scelte di Bruti Liberati, anzi risultarono “tempestive ed efficaci”, ma sta il fatto che vent’anni di confronto tra Berlusconi e la magistratura possono o vanno riletti alla luce di quella (tardiva) frase.  

No, dico, vi rendete conto?            

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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