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ANSA/FILIPPO ATTILI/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI
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Italia comprata dal Qatar

Alberghi, case di moda, un ospedale. Gli emiratini ci stanno comprando e intanto finanziano l'apertura di moschee a casa nostra

Il cortocircuito è arrivato un mese fa. Del tutto casualmente. A Roma, il premier Giuseppe Conte sale sulla scaletta del volo di Stato che lo porterà a Doha: per stringere mani e accordi economici. Nel mentre, a Parigi esce Qatar Papers: un saggio sui finanziamenti dell’emirato a moschee e centri islamici in Europa. Petrodollari, affari e proselitismo. Che cementano sacro e profano.

Il piccolo e ricchissimo Paese mediorientale è l’auspicata manna. Negli ultimi anni, i fondi sovrani hanno fatto incetta d’italianità. Hanno comprato Porta Nuova, icona del dinamismo. Valentino, maison identitaria. La Costa Smeralda, emblema del lusso. L’ex Meridiana, compagnia aerea sarda, ribattezzata Air Italy. E sempre nell’isola, in società con enti cattolicissimi, l’ospedale Mater Olbia, d’imminente apertura.

Nessuno, insomma, ha disdegnato i miliardi del Qatar. Ma i flussi sono stati biunivoci. L’emirato ha acquistato navi, caccia ed elicotteri. Il cerchio s’è chiuso. Per la nostra zoppicante economia è un indubitabile giovamento. Ma l’altro lato della sberluccicante medaglia è «l’islamizzazione dolce». Così la definisce Paolo Branca, docente di Islamistica all’Università Cattolica di Milano: «È il gioco simbolico di chi cerca consenso e visibilità» spiega. «Gli investimenti finanziari sono strategici: è la politica postmoderna dell’Islam più organizzato. I musulmani d’Italia si compiacciono di aver referenti tanto munifici e politicizzati. Nessuno, però, si domanda: quale sarà l’effetto di questa qatarizzazione tra dieci anni?».

Una montagna di soldi. Che rischiano di mescolarsi a propaganda ed equivoci. Gli autori di Qatar Papers, i giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, rivelano la mole di finanziamenti partiti da Doha verso l’Europa, finiti a moschee e centri islamici. Nel 2014 sono arrivati 72 milioni di euro: 22 solo in Italia. Donazioni dietro cui potrebbero nascondersi, sostiene il saggio, frange radicali. I giornalisti hanno avuto accesso a migliaia di documenti inediti della Qatar Charity: una munifica ong controllata dall’emirato, dedita a dottrina e cultura. Negli ultimi anni, la fondazione avrebbe largamente sponsorizzato progetti legati agli influenti Fratelli musulmani. Che adesso il presidente americano, Donald Trump, medita di inserire nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.

Proprio il Qatar resta uno dei principali finanziatori dei Fratelli musulmani. L’associazione, a sua volta, viene considerata vicina all’Ucoii. Ovvero: la più rappresentativa associazione di comunità islamiche in Italia. «E il Qatar» chiude il cerchio Branca «ha creato un asse culturale con l’Ucoii. Così noi, con i finanziamenti dell’emirato, ci portiamo in casa l’Islam più conservatore: quello più tradizionale». Due anni fa è l’allora presidente dell’associazione, Izzeddin Elzir, a confermare stretti legami: «È stato fatto un lavoro di raccolta fondi molto valido con il Qatar, che ci ha consentito di procurarci 25 milioni di euro. Sono soldi del Qatar Charity, che garantisce trasparenza, tracciabilità tra chi dona e riceve».

Doveva andare così anche a Bergamo. Negli anni scorsi, la Qatar Charity invia un robusto aiuto per costruire la nuova moschea: cinque milioni. Denari che, dopo la denuncia del tesoriere dell’Ucoii per appropriazione indebita, diventano pomo della discordia. Il processo è in corso. I magistrati sentono come testimone pure Ayyoub Abouliaqin, già direttore della sede londinese dell’ente caritatevole e responsabile dei progetti in Europa. Ai giudici spiega il funzionamento delle donazioni: «La fondazione presenta il progetto ai donatori, che poi lo finanziano. Il denaro è vincolato: a quel progetto e a quel destinatario». A Bergamo, aggiunge, si prevedeva: sala di preghiera, scuola di corano e spazi per le attività giovanili. I soldi partono dal Qatar per Bergamo, passando dall’Ucoii. I bonifici, però, sarebbero poi finiti a un’associazione familiare, che li avrebbe destinati a un altro progetto. Scatenando una guerra tra opposte fazioni.

Sullo sfondo dell’inchiesta, si delinea il quadro generale: le comunità musulmane in Italia non hanno grandi risorse. Si mantengono con le piccole donazioni dei fedeli. La pioggia dell’emirato è acqua nel deserto. Che facilita, insinuano molti, una sorta di concambio morale: l’Islam da predicare è quello conservatore. Quello più vicino al Qatar. Per questo Doha investirebbe tempo e denaro. Alla luce del sole, tra l’altro. Come dimostra l’acclamato giro di inaugurazioni, nel maggio 2016, del principe Hamad Bin Nasser Al Thani, membro della famiglia reale e presidente della Qatar Charity. Piacenza, Brescia, Mirandola, Vicenza, Saronno. Lo sceicco taglia nastri e festeggia inaugurazioni di moschee e centri islamici finanziati dalla sua fondazione. Al suo fianco ci sono sindaci, prelati e imam.

Anche qui: nessuno scandalo. Pecunia non olet. I rapporti tra l’Italia e il minuscolo Paese del Golfo sono saldissimi. E, soprattutto, vicendevoli. Nell’ultimo anno, Fincantieri ha venduto all’emirato sette navi da guerra per 4 miliardi di euro. A cui si aggiungono i 3 miliardi di euro finiti a NHIndustries, partecipata da Leonardo, per acquistare 28 elicotteri.

Infine, è stata siglata un’intesa per 24 caccia da combattimento con il consorzio Eurofighter, che ha tra gli azionisti sempre l’ex Finmeccanica: una commessa da 6,8 miliardi di euro. Insomma: Roma è ormai un alleato più che strategico per Doha. L’interscambio commerciale ha toccato i 2,6 miliardi di euro nel 2018: un balzo del 23,2 per cento rispetto all’anno precedente. Le nostre esportazioni agroalimentari in Qatar, negli ultimi dieci anni, sono cresciute del 291 per cento. E i rapporti s’intensificano. Commercio, energia, difesa, infrastrutture, impiantistica: i settori in cui fare affari si moltiplicano. Ecco perché, lo scorso novembre, è arrivato in Italia l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al Thani. «Constato con piacere che la nostra cooperazione bilaterale è ampia, strutturata ed efficace in ogni settore» l’ha omaggiato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Un mese fa il premier Conte ha ricambiato la cortesia. Il premier è volato a Doha, per la sua prima visita ufficiale nel Paese mediorientale. Seguito, il 27 aprile 2019, dal presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Ad aprire le danze diplomatiche era stato però, lo scorso ottobre, Matteo Salvini. Il vicepremier, come solito, era stato chiaro e diretto: «C’è tanta voglia di investire dai fondi qatarini anche in imprese italiane della moda, dell’agroalimentare, nel mobile, nel bello, non snaturando e le aziende. Di questo ho parlato con alcuni imprenditori e ministri. Ci sono margini di crescita incredibili». Indubitabile. Ma Doha, fino a oggi, non è stata certo a guardare. Il suo fondo sovrano, la Qatar Investment Authority (Qia), gestisce 335 miliardi di dollari. Dopo aver puntato su Francia e Inghilterra, adesso ha l’Italia nel cuore e nel portafogli. Così, mentre cominciavano ad arrivare piogge di milioni per le moschee, Doha comprava a suon di petrodollari pregiatissimi pezzi d’Italia.

Nel 2012 viene acquistata, 650 milioni di euro, la Smeralda Holding, che possiede alcuni tra gli alberghi più lussuosi al mondo: come il Cala di Volpe o il Pevero golf club. Nonché la Marina di Porto Cervo. E soprattutto 2.300 preziosi ettari di terreni immacolati nella costa gallurese. Nel 2015, l’altro colpo finanziario: l’effige dell’Italia che sarà. I grattacieli di Porta Nuova, simbolo dell’acclamato skyline di Milano, vengono comprati per 2 miliardi di euro. Lo stesso anno, Katara hospitality, ramo hotellerie, si aggiudica per 222 milioni l’Excelsior di Roma: l’albergo della Dolce vita felliniana. Si aggiunge al Gallia di Milano, appena ristrutturato. Poco più tardi, nel 2016, è la volta del San Domenico di Taormina: il più blasonato dell’isola. Allargando l’orizzonte del settore turistico, un anno dopo, viene definito l’acquisto del 49 per cento della compagnia aerea Meridiana, oggi Air Italy. Senza dimenticare le bandierine qatariote piantate nell’alta moda. Valentino è rilevata nel 2012 per 700 milioni di euro. Poi tocca a Pal Zileri. Nemmeno l’arcitalico pallone sfugge agli emiratini. Nelle mire degli sceicchi ci sarebbe adesso la Roma, che la Qatar airways già lautamente sponsorizza. Un affare che per la giornalista Souad Sbai, ex deputato del Pdl e presidente dell’Associazione donne marocchine in Italia, sarebbe l’ennesima, allarmante, metafora: «È l’occupazione del territorio. È la conquista di Roma, già evocata dal teologo Youssuf al Qaradawi, star della tv qatariota al Jazeera: non serve più la spada, bastano fede e idee. Ora in più ci sono i soldi, che tutto possono. E gonfiano di orgoglio la comunità islamica: “Avete visto che possiamo comprarci l’Italia?”».

Ancor più strategico sarebbe l’ultimo investimento. Quello dell’ospedale Mater Olbia, che aprirà nelle prossime settimane dopo lunga e tormentata gestazione. Un’idea nata trent’anni fa. Quando don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele di Milano, sceglie Olbia come sede periferica del suo impero. Nel 2012 l’idea sembra tramontata. Nel 2014 però si fa avanti la Qatar foundation endowment con un sontuoso piano industriale: 1 miliardo di euro. Cinque anni dopo, il taglio del nastro è imminente. I posti letto sono 248: 202 convenzionati con il Sistema sanitario nazionale, che elargirà 60 milioni all’anno. Ma è la compagine societaria a meravigliare. Il 60 per cento del Mater Olbia è in mano alla Innovation arch, controllata lussemburghese della Qatar foundation. Il 35 per cento è, invece, della Fondazione policlinico Agostino Gemelli: a sua volta costituita dall’Istituto Toniolo, presieduto dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, e dall’Università Cattolica. Mentre il 5 per cento è controllato dalla Luigi Maria Monti Mater Olbia srl, creata da una fondazione legata al Vaticano.

Apertura incombente, quindi. Dopo, promette Doha, partirà la fase due con «ingenti investimenti finalizzati allo sviluppo territoriale». Una sorta di Piano Marshall per la Sardegna. Certo, i qatarini non assomigliano agli americani. Se non per lo stesso, occidentalissimo, principio: tutto si può comprare. Basta avere montagne di dollari. O meglio, petrodollari.

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Antonio Rossitto