Inghilterra e Australia copiano le prigioni della Norvegia
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Inghilterra e Australia copiano le prigioni della Norvegia

Il modello del carcere di lusso in cui i detenuti sono liberi di ricostruirsi una vita funziona, al punto di meritare di essere esportato

C'è sempre molta retorica nei dibattiti sulla rieducazione dei condannati e sul modo in cui questi ultimi possono essere aiutati a reinserirsi nella società. Tuttavia, se il carcere resta ancora oggi il simbolo del sistema penale internazionale e il perno attorno a cui ruota il dibattito sull'efficacia rieducativa tanto del lavoro all'interno del penitenziario quanto delle misure alternative alla detenzione, è indubbio che il modo più efficace per tracciare un bilancio sul funzionamento dei metodi moderni di detenzione è quello di consultare le statistiche relative al tasso di recidiva registrato tra i condannati di tutto il mondo. In cima alle quali c'è sempre la stessa nazione: la Norvegia.

Abbiamo già parlato della strano carcere di Bastoy , settantacinque chilometri più a sud di Oslo, dove ai detenuti viene data non solo fiducia, ma anche l'opportunità di ricostruirsi una vita sotto ogni punto di vista. Nella convinzione che solo in questo modo potranno riuscire a reintegrarsi nella società. Un modello che funziona, visto che la Norvegia è, in Europa, la nazione con il tasso più basso di recidiva (16%), e che sempre più paesi mostrano di essere interessati a copiare

La pensano in questo modo Inghilterra e Australia, nazioni in cu,i rispettivamente, il 50 e il 60% dei condannati o commette nuovi reati dopo essere stato rilasciato, o ne ha già commessi prima di essere nuovamente arrestato. Valori drammatici alla base dei quali pare esserci anche l'accanimento dei media, sempre pronti a sottolineare l'impossibilità di ex ladri e assassini di ricostruirsi un futuro alternativo, migliore, responsabile, in cui possa esserci spazio per il rispetto reciproco e per la legalità

C'è chi ha definito Bastoy un villaggio vacanze, chi preferisce chiamarla una prigione ecologica, ma la grande differenza tra questo carcere norvegese e quelli della maggior parte del resto del mondo consiste nel fatto che i suoi detenuti siano trattati come persone, e non come animali. 

Del resto, sono tanti gli studi che hanno dimostrato che rinchiudere una persona in un luogo lugubre, spesso sovraffollato, e "arredato" solo con una rete, una sedia, un tavolo e un secchio come gabinetto non la aiuta a soffocare la rabbia, l'astio, o i problemi emotivi e personali che l'hanno indotta, in passato, a commettere azioni vergognose. Che il carcere debba continuare ad essere il luogo in cui chi ha commesso un reato viene adeguatamente punito è giusto, così come lo è tentare di rieducare questa persona affinché non ci rimanga per tutta la vita. Ed è proprio su quest'ultimo punto che Australia e Gran Bretagna hanno iniziato a interrogarsi. Arrivando alla conclusione che per avere successo da questo punto di vista è necessario seguire l'esempio norvegese. E quindi fare il possibile per trattare i detenuti come persone, togliendo loro la libertà, ma abituandoli a condividere oneri e responsabilità. A Bastoy se qualcuno non fa il suo dovere l'intera comunità ne risente. Quando i carcerati iniziano ad esserne consapevoli, capiscono che anche fuori dalla prigione il mondo funziona più o meno allo stesso modo, e si preparano per rimettersi in gioco cercando di mantenere la fiducia di chi li ha autorizzati a ricostruirsi una nuova vita, preparandoli a farlo nel migliore dei modi.

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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