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(Ansa)
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Indi Gregory, Loretoni: «Un caso di compassione»

Tra molti interrogativi e poche risposte causate dal vuoto legislativo, la filosofa politica del Sant’Anna di Pisa, Anna Loretoni, sostiene che «la vicenda della piccola Indi dimostra come tra l’incurabilità e l’inguaribilità occorre collocare l’atteggiamento “compassionevole”, inteso come prendersi cura di chi soffre, mettendosi al suo fianco, per limitarne il dolore»

Il caso

La storia della piccola Indi Gregory, spirata nella notte tra il 12 e il 13 novembre Queen’s Medical Centre di Nottingham, è diventata un caso giuridico oltre che medico che ha spinto tutti ad interrogarsi sul senso della vita e sulle responsabilità di chi è chiamato ad interromperla in casi drammatici, proprio come appariva quella della piccola. Basandosi sui concetti della ragionevolezza, della efficacia terapeutica e del senso comune, i giudici dell'Alta Corte inglese avevano respinto tutti i ricorsi dei genitori, motivando la propria posizione sull’assunto che le cure mediche devono apparire sempre appropriate e proporzionali, che occorre temer conto degli effetti sul paziente e che nessun soggetto -compresi i genitori- possono richiedere o pretendere un trattamento medico-sanitario non proporzionato ai risultati ottenibili. In pratica si è considerato non ammissibile la c.d. irragionevole ostinazione applicato, tra l’altro prevista dall’ordinamento italiano con la legge n.219/2017). Addirittura il nostro Consiglio dei Ministri aveva concesso ad Indi la cittadinanza italiana: un provvedimento urgente diretto a facilitare l’arrivo della piccola in Italia per essere ricoverata nel nostro miglior centro di cure pediatriche, il Bambin Gesù di Roma, dove sarebbe stata sottoposta a cure palliative. Un modo per alleviarle le sofferenze di una fine sicura, senza però arrivare al distacco dei macchinari che la tenevano in vita. L’assenza di cure porta alla sola forma palliativa, attuabile se la piccola fosse giunta all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, considerato che la terapia genica, unica in grado di “curare” la malattia è solo in fase sperimentale.

Alle domande di Panorama.it, Anna Loretoni risponde chiamando in causa principi e dilemmi della riflessione filosofica contemporanea in tema di diritti personalissimi.

Professoressa, la vicenda è estremamente complessa, perché richiama diritti legittimi di varia origine…

«Questa vicenda rientra a pieno titolo nella categoria dei cosiddetti ‘dilemmi morali’. Situazioni estremamente complesse, in cui si fronteggiano più diritti, tutti legittimi, di pari livello e non gerarchicamente ordinati. Rispetto a questi casi l’indignazione non è la migliore attitudine, e tanto meno la politicizzazione della vicenda, come mi pare sia avvenuto nel caso dell’Italia. Di fronte a queste ‘scelte tragiche’ occorre piuttosto ragionare con cautela, valutando l’estrema complessità degli elementi che sono in gioco, e soprattutto affidarsi alla scienza e alla medicina».

Si sostiene che il sistema giuridico anglosassone consideri le malattie apparentemente irreversibili come dispendiose, per cui è meglio accompagnare il paziente verso la morte…

«Non credo che la decisione dei medici e giudici inglesi sia stata dettata dal risparmio sui costi dell’assistenza sanitaria. La loro valutazione, almeno da quanto ci è dato sapere, si fonda sulla incontestabile consapevolezza della impossibilità di qualsiasi cura e della certezza di una morte che sarebbe comunque arrivata, e dopo una grande sofferenza. Come scrive Luigi Manconi, è “il peso della sofferenza non lenibile” che in questi casi dovrebbe essere messo al centro della discussione e poi della decisione».

Ma questa può essere considerata una forma di giustizia?

«Come ho già detto, la giusta decisione comporta talvolta altre sofferenze. In questo caso i medici e i giudici inglesi hanno messo al centro la sofferenza della piccola Indi e hanno interpretato questo punto di vista come quello da cui far discendere tutto il resto. Occorre avere compassione rispetto alla sofferenza, una compassione che si deve a tutti/e coloro che vivono in una condizione di malattia irreversibile. Anche in questo caso, a quanto c’è dato sapere, dobbiamo confrontarci con la certezza della incurabilità di questa rarissima malattia, neppure catalogata».

Al contrario la nostra cultura giuridica è legata ai principi della solidarietà, dell’assistenza, dell’accudimento: da noi non esiste la persona “incurabile”, semmai solo quella “inguaribile”…

«Esattamente nello spazio che si determina tra questi due concetti, incurabile e inguaribile, si deve collocare la compassione. Prendersi cura in questi casi significa essere vicini, prossimi, mettersi al posto di chi soffre, e allo stesso tempo limitare il dolore, quando questo non è più una dimensione transitoria alla fine della quale è possibile pensare una vita degna di essere vissuta».

Sempre tenendo presente il versante della medicina…

«Soprattutto quando la medicina, da cui non è possibile prescindere, ci dice in modo inequivocabile che non c’è speranza ma solo sofferenza e dolore, e poi morte. Allora dobbiamo chiederci: in nome di quale valore superiore decidiamo di tenere in vita una paziente che è destinata solo a sofferenze atroci e senza nessuna speranza di sopravvivenza?

Tra le pieghe della terminologia giuridica inglese è affiorato il concetto di best interest, l’interesse del bambino, il meglio per quella creatura. Ma è davvero così?

«Il principio del “best interest of the child” è un principio sancito nell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che stabilisce appunto che in tutte le azioni riguardanti i bambini e le bambine l’interesse superiore del minore deve rappresentare la considerazione preminente. Questo principio è stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza di diverse corti ed è a questo che la decisione dei medici e dei giudici inglesi si è attenuta. Su come questo principio viene interpretato e messo in pratica ovviamente c’è discussione, come in questa drammatica vicenda, ma il suo valore -a mio parere- deve restare immutato>>.

Abbiamo l’impressione che in questa drammatica vicenda sia riemerso l’errore etico e giuridico di una sentenza diventata arbitro di vita e di morte.

«Che nello spazio pubblico delle nostre democrazie si discuta in merito a questa e ad altre sentenze è un segnale positivo, essenziale per le nostre democrazie, così come Habermas ha ben sottolineato nei suoi lavori. Su questi temi non credo sia opportuno parlare di errori, di vinti o vincitori. Di fronte alle scelte tragiche io credo ci sia un approssimarsi costante e riflessivo ad un piano non di verità, ma di ragionevolezza. A questo approssimarsi contribuiscono le scienze, la medicina in primo luogo, ma anche le sensibilità degli individui, poi codificate nel linguaggio aperto dei diritti. Tutto questo muta nel corso del tempo».

Anche contro la volontà dei genitori che a quella bambina hanno dato la vita?

«Come ho detto, la questione è complessa; qualsiasi scelta porta con sé dubbi, inquietudini e sofferenze; in questo caso la comprensibile e umana sofferenza dei genitori, che va comunque rispettata. Di fronte alle atroci sofferenze di questa bambina, l’onere dell’argomentazione è però anche a carico di chi oggi addita la decisione sulla vita di Indi come sbagliata e ingiusta. Nessuna struttura ospedaliera avrebbe potuto garantire altro che cure palliative, come hanno detto anche i medici del Bambin Gesù».

*

Anna Loretoni, è preside del Dipartimento di Scienze sociali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ordinaria di Filosofia politica. Fa parte del comitato scientifico della rivista «Iride» e di «Cosmopolis. Rivista di filosofia e teoria politica». Nei suoi studi si occupa delle concezioni della pace e della guerra nella riflessione filosofico-politica tra età moderna e contemporanea, delle trasformazioni e della crisi delle democrazie nel mondo globale, del tema dell’integrazione nel quadro dello spazio europeo, di multiculturalismo, diritti umani e questioni di genere. Tra le sue pubblicazioni: Il Mediterraneo dopo le primavere arabe. Alcune riflessioni sulle trasformazioni sociali, politiche, istituzionali (Pisa 2013); Ampliare lo sguardo. Genere e teoria politica (Roma 2014).

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Egidio Lorito