Indy gregory morta fine vita
Indy Gregory
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Indi Gregory è morta. Abbiamo staccato la spina all'essere umani

Dean Gregory e Claire Staniforth, i genitori della piccola, con estremo coraggio hanno lottato fino all'ultimo. ProVita: "Ora resta solo il silenzio"

"La vita di Indi è finita all'01:45, io e Claire siamo arrabbiati, con il cuore spezzato e pieni di vergogna". Sono le parole di Dean padre di Indi Gregory. "Il servizio sanitario nazionale e i tribunali non solo le hanno tolto la possibilità di vivere, ma le hanno tolto anche la dignità di morire nella casa di famiglia a cui apparteneva".

Sono arrabiati, con il cuore spezzato, hanno visto la loro bimba spegnersi tra le braccia materne.

E così lo Stato, i giudici e tutto il turbinio di illuminati a sostegno del fine vita hanno vinto ancora strappando la vita di Indi.

Mentre scriviamo, due genitori si disperano per aver perso la loro bambina. Ma dovremmo piangere anche noi. La morte di Indi è una sconfitta che tutti noi italiani che ci eravamo messi in prima linea per salvarla.

Non è servito a nulla. “Per il suo miglior interesse” i medici inglesi l’hanno condannata alla più terribile delle morti, lenta e straziante.

Quale genitore vorrebbe assistere inerme alla propria bambina che boccheggia disperata alla ricerca di aria? Ve lo diciamo noi: nessuno.

Ma a surclassare una mamma e un papà disperati, davvero amorevoli e caritatevoli - loro - che hanno messo al mondo Indi e hanno conbattuto fino allo stremo, ci sono loro - i giudici britannici. Togati estranei freddi e risolutivi hanno deliberato che Indi, per evitare ulteriori sofferenze, non avrebbe dovuto affrontare il viaggio in Italia per ulteriori cure, optando invece per staccare i supporti vitali. La scelta, considerata da molti come compassionevole, tuttavia solleva interrogativi sulla dignità di una morte prolungata. Alcuni sostengono che sarebbe stato più umano concedere a Indi qualche momento aggiuntivo di conforto anziché infliggere una fine straziante, scandita da respiri spezzati e boccheggiamenti. La decisione delle autorità inglesi di non permettere nemmeno la morte in Italia ha generato dibattiti sulla progressività e razionalità di una società che respinge speranza e fede, preferendo la morte come unico orizzonte di senso.

È l’eutanasia del pensiero, che oggi ha spezzato uma vita. Domani chissà.

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Marianna Baroli

Giornalista, autore

(Milano, 1986) La prima volta che ha detto «farò la giornalista» aveva solo 7 anni. Cresciuta tra i libri di Giurisprudenza, ha collaborato con il quotidiano Libero. Iperconnessa e ipersocial, è estremamente appassionata delle sfaccettature della cultura asiatica, di Giappone, dell'universo K-pop e di Hallyu wave. Dal 2020 è Honorary Reporter per il Ministero della Cultura Coreana. Si rilassa programmando viaggi, scoprendo hotel e ristoranti in giro per il mondo. Appena può salta da un parco Disney all'altro. Ha scritto un libro «La Corea dalla A alla Z», edito da Edizioni Nuova Cultura, e in collaborazione con il KOCIS (Ministero della Cultura Coreana) e l'Istituto Culturale Coreano in Italia.

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