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(Ansa)
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La «Patente a Punti» per la sicurezza conferma il principio per cui le imprese non sono tutte uguali

La Rubrica - Pubblico & Privato

Si lavora per vivere, non si vive per lavorare. Il lavoro non è un fine in sé, ma un mezzo per creare le condizioni di una vita prospera, sostenibile e piena. Le politiche sulla sicurezza sul lavoro sono pertanto centrali: regolano il cuore stesso del rapporto tra lavoro e vita. Bilanciare il rischio di avere incidenti e di ingessare eccessivamente l’attività economica è quindi uno dei problemi più complessi e critici delle politiche industriali e sociali di un paese. L’unico modo certo per non correre alcun rischio è ovviamente non fare. Ma il non fare non è possibile. Si deve quindi agire, e appena si agisce si corrono rischi. Tali rischi possono e debbono essere minimizzati, ma purtroppo non possono mai essere completamente eliminati.

Nelle grandi scuole internazionali di politica pubblica si chiamano casi di imperfect alternatives, alternative imperfette. Non ci sono soluzioni certe, ma solo scelte difficili. Non stupisce quindi che l’annuncio del Governo di star pensando ad una “patente a punti” per la sicurezza sul lavoro abbia suscitato forti ed opposte emozioni.

Da un lato, si dice che assegnare un punteggio agli incidenti significa in un qualche modo accettarne la presenza, che invece non dovrebbe essere mai tollerata. Dall’altro, che il sistema rischia di mettere fuori mercato le imprese oneste – che riportano gli incidenti - a vantaggio di quelle disoneste che invece non lo fanno o usano lavoratori in nero. Considerazioni entrambe giuste, ma il principio fondamentale sottolineato dall’iniziativa è quello che le imprese, e gli incidenti, non sono tutti uguali. Riconosce tristemente, ma praticamente, che gli incidenti non possono essere eliminati, ma che la cosa migliore da fare è misurare il rischio, assegnando un punteggio o rating alle aziende sulla base delle loro performance e track record, esattamente come si fa per determinarne l'affidabilità dal punto di vista finanziario. Non è mercificazione della sicurezza, ma approccio concreto per affrontare il problema.

Lo strumento dei punti è forse un po’ semplicistico, ma l’introduzione e la sottolineatura del principio di differenziazione è invece fondamentale e centrale. La frustrazione di molti imprenditori oggi è che sentono l’attuale impianto normativo come improntato ad una sorta di presunzione di colpevolezza, per cui ogni cosa che accade è colpa del datore di lavoro, che si sente criminalizzato. Inoltre, il sistema di controlli monitora chi è nel sistema in modo trasparente, ma raramente in pratica tocca chi non lo è, determinando peraltro anche una concorrenza sleale al ribasso.

L’impresa italiana è in stragrande maggioranza sana, non solo dal punto di vista economico, ma anche valoriale. Altrimenti non otterrebbe gli straordinari risultati che ottiene. In moltissime delle nostre piccole e medie imprese i collaboratori sono considerati quasi alla stregua di una famiglia allargata, non certo come persone di cui non curarsi. Lo Stato può mettere tutte le regole che vuole o ritiene opportune, ma poi deve proteggere chi queste regole le rispetta da chi non lo fa. Il risultato altrimenti è sempre e solo quello di aggiungere adempimenti agli onesti, senza migliorare i risultati complessivi.

La patente a punti per la sicurezza sul lavoro sottolinea un principio importante, quello di differenziazione. E’ ovviamente fondamentale che non si trasformi in un ulteriore adempimento a carico delle sole imprese oneste.

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Mattia Adani