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Terrorismo: qual è la vera forza dell'Isis?

Sono molte e contraddittorie le informazioni sul Califfato. Un universo che fra speculazioni, propaganda e incertezze, suscita ancora molti interrogativi

Ormai il Califfato di Al Baghdadi è diventato letteratura. Solo nelle librerie italiane attualmente ci sono più di due dozzine di titoli che indagano, analizzano e inquadrano il fenomeno dello Stato Islamico da ogni angolazione e sotto ogni punto di vista: geopolitico, economico, mediatico, etc.

Ciò che sconvolge, tuttavia, è che di fronte a tale messe di notizie la reale conoscenza della galassia ISIS si dimostra inversamente proporzionale alle informazioni che la riguardano. E un contributo fondamentale a questa confusione proviene incredibilmente dai suoi principali avversari, gli Stati Uniti. A cominciare dalla Cia che, da quando il Califfato è comparso a Mosul nel giugno del 2014, ha iniziato a fornire cifre e dati sulle dimensioni di questo fenomeno spesso contraddittorie e talvolta inverosimili.

Le cifre

Un esempio? Secondo Langley, i numeri degli jihadisti sono compresi in una forbice che va da 25mila a 80mila unità. Una sproporzione evidente che rende poco credibili tali cifre e che aggiunge solo dubbi sul gruppo. Anche la biografia del Califfo Ibrahim, al secolo Abu Bakr Al Baghdadi, ha creato non pochi interrogativi: già detenuto a Camp Bucca dagli americani, è stato da loro liberato (non si sa bene perché) tra il 2006 e il 2009. Anche in questo caso, la forbice è davvero troppo ampia per poter costituire una prova (considerato che il Califfato ha sconvolto l’intero Medio Oriente in meno di due anni).

Così, si è portati a dubitare anche delle mappe regolarmente aggiornate sulle porzioni di territorio controllate dallo Stato Islamico. E soprattutto del numero di bombardamenti e killeraggi da parte dei caccia e dei droni della coalizione a guida USA, che troppo spesso riferiscono di operazioni chirurgiche dove i vertici dell’ISIS muoiono, salvo poi rispuntare redivivi in località ben diverse da quelle precedentemente segnalate.

I signori della guerra

Quante volte è stato dato per morto il Califfo Al Baghdadi? E il suo braccio destro Al Anbari? E il signore della guerra Mokhtar Belmokhtar? Come si può credere, inoltre, che i comandanti dello Stato Islamico siano riparati in Libia per sfuggire ai raid della coalizione? Da dove sarebbero passati? Dal Mediterraneo controllato da italiani, inglesi, russi, israeliani, egiziani, turchi, etc.? Oppure hanno attraversato il Mar Rosso e poi il deserto, magari attraverso Egitto o Sudan, a bordo degli ormai famosi pick up Toyota modificati?

C’è persino chi crede davvero che abbiano preso un volo di linea per raggiungere Sirte in Libia o che alcuni jihadisti siano salpati con i barconi della speranza per raggiungere l’Italia e il resto d’Europa. Quest’ultima frase appartiene nientemeno che al ministro della difesa francese, Jean-Yves Le Drian, il quale ha definito “serio” il rischio che i terroristi dello Stato islamico s’infiltrino tra i profughi che dalla Libia salpano per l'Italia meridionale.

Abile propaganda

Se, insomma, l’ISIS è stato probabilmente sovrastimato e sovradimensionato grazie a un’abile propaganda che il gruppo stesso ha fatto di sé attraverso i media e i social network, tuttavia è anche vero che il Califfato non è affatto lo spauracchio che pensavano gli analisti della CIA.

E proprio la scarsa conoscenza di questo “nemico liquido” - capace di agire contemporaneamente a Raqqa, Mosul, Parigi, Sirte, Jalalabad - è alla base del successo strategico e militare del gruppo.

Per capirlo, non è necessario leggere tutte le dozzine di saggi di cui sono piene le librerie. Basta vedere da quanto tempo essi sopravvivono a una forza militare che, in teoria, dovrebbe essere soverchiante - sono oltre 60 i Paesi del mondo che a vario titolo partecipano alla lotta contro l’ISIS - ma che non riesce ad avere la meglio su neanche trentamila uomini che combattono in ciabatte, senza aerei né contraerea, senza carri armati (sono costretti a modificare ruspe e camion per simularne uno) e spesso con mezzi di fortuna.

Il muro di Baghdad

Se davvero gli uomini del Califfo sono così sprovveduti e in ritirata, come mai a Baghdad stanno costruendo un muro difensivo di 300 chilometri che cingerà la capitale e perché stanno scavando trincee profonde oltre due metri che circondano la città?

Per quale ragione in Siria hanno conquistato così tanto terreno da costringere i russi a un intervento senza precedenti nell’area? E perché Raqqa e Mosul sono lungi dall’essere sotto assedio? E ancora, perché gli Stati Uniti stanno pressando l’Italia, il Regno Unito e la Francia affinché avviino un intervento militare in Libia il prima possibile?

Forse i miliziani dell’ISIS sono davvero “i terroristi più fortunati del mondo”, come recita il sottotitolo di uno dei saggi dedicati al tema. O forse il nemico è peggiore di quanto ci aspettavamo e la sua resilienza ci deve far ritenere che molte delle analisi e degli studi compiuti sopra il fenomeno, nella migliore delle ipotesi, sono del tutto errati.

Incertezze e speculazioni

Tali incertezze non fanno che alimentare speculazioni e tesi complottistiche sulla guerra in Medio Oriente. Ma soprattutto, evidenziano che sarà molto difficile sradicare la minaccia islamista dalla regione nel breve termine. E le ultime notizie secondo cui la Turchia e l’Arabia Saudita potrebbero schierare le proprie truppe in Siria vanno proprio in questa direzione.

Probabilmente, la guerra scaturita dalle primavere arabe, che ha partorito l’ISIS e favorito la gemmazione di numerosi gruppi jihadisti, è la più tremenda sfida del millennio. E per chi ancora crede che al fanatismo religioso possano essere opposte le ragioni e i valori dell’Occidente, si deve domandare cosa significhi ancora oggi parlare di Occidente e dei suoi valori.

 

 

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Luciano Tirinnanzi