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(Ansa)
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Granchio Blu, flagello o risorsa?

Politici, biologi e persino chef, tutti alle prese con l'animale arrivato nei mari italiani

Il Granchio Blu ha invaso l’Italia ma da minaccia per l’ecosistema marino e l’economia può trasformarsi in una risorsa.
In Italia è scattato l’allarme per il forte aumento del granchio blu (Callinectes sapidus), specie aliena e invasiva che sta danneggiando gravemente la produzione di vongole filippine, in particolare in Emilia Romagna e Veneto. Uno vero e proprio stato emergenziale dichiarato dal Governo e per il quale con il recente Decreto Omnibus sono stati 2,9 milioni di euro per sostenere i costi associati. Mentre il governatore del Veneto Luca Zaia ha avviato uno studio congiunto con Veneto Agricoltura e ARPAV per il monitoraggio di questo esemplare. Un granchio alieno che al suo arrivo non sembra aver destato forti preoccupazioni nella popolazione ed è da subito finito sulle tavole degli italiani venduto come prelibatezza a 20 euro al chilo.
«Eradicare una specie invasiva come il granchio blu dal mare è pressoché impossibile, ma è certamente possibile elaborare e testare strategie per contenerla»- commenta Gian Marco Luna, PhDDirettore Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine (CNR - IRBIM).

Come spiega questo aumento dei granchi blu?

«Non è facile trovare un’unica spiegazione plausibile sul perché stia accadendo proprio quest’anno. La specie in oggetto (il Callinectes sapidus, comunemente chiamato granchio blu americano) è già arrivata dal Nord America nel nostro Mar Mediterraneo da diverse decadi, intorno alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, si pensa attraverso le acque di zavorra delle navi. Probabilmente si tratta di un fenomeno che spesso accompagna le invasioni biologiche nei mari, ovvero l’esistenza di un tempo di latenza tra l’arrivo di una nuova specie in un nuovo ambiente e la sua “esplosione” in termini di abbondanza, come sta accadendo oggi. Sicuramente anche il cambiamento climatico, in questo caso da intendere come causa di alterazioni del ciclo idrologico, aumento delle precipitazioni e del carico di nutrienti in mare, ha modificato lo stato degli ecosistemi costieri e lagunari con probabili conseguenze anche sulla dinamica di questa specie»

Cosa comporta?

«Le invasioni biologiche ad opera delle cosiddette specie aliene invasive rappresentano una importante minaccia alla biodiversità marina. Nella nostra sede del CNR IRBIM nella laguna di Lesina studiamo il granchio blu da oltre un decennio. In generale le specie aliene modificano il delicato equilibrio degli ecosistemi, ad esempio tramite competizione con le specie indigene, oppure predandole. Ci sono tantissimi esempi nei nostri mari. Pesci erbivori di origine tropicale possono desertificare i nostri fondali a danno della biodiversità e dei preziosi servizi ecosistemici. Alcune specie possono essere estremamente tossiche, come il pesce palla maculato e la sua potentissima tetradotossina. Questa estate abbiamo rilanciato la nostra campagna di ricerca congiunta ISPRA – CNR IRBIM “Attenti a quei quattro” (https://www.isprambiente.gov.it/files2023/area-sta...) per il monitoraggio delle specie aliene ed è di poche settimane fa la notizia dell’avvistamento del pesce scorpione nelle acque calabresi, un pesce maculato e con lunghi aculei contenente un potente veleno. Della minaccia causata dalle specie aliene alla biodiversità marina ce ne stiamo occupando anche nell’ambito del progetto National Biodiversity Future Center coordinato dal CNR, da poco partito e finanziato dal PNRR, la più importante iniziativa mai realizzata nel nostro Paese per monitorare, ripristinare, valorizzare e preservare la biodiversità (www.nbfc.it)».

In quali zone sono concentrati e perché? Si prevede che popolino altre zone?

«In questo momento sembrano essere concentrati soprattutto in zone lagunari, come avvenuto ad esempio nel Delta del Po, e di estuario, ma sono sporadicamente avvistati anche lungo le coste e pescati occasionalmente in alcune aree anche dalla pesca a strascico che opera a qualche miglio dalla costa. È certamente plausibile che in futuro venga osservato anche in elevate abbondanze in altre aree, e per questo è importante monitorarne attentamente l’evoluzione attraverso protocolli ed approcci scientifici rigorosi»

Parliamo davvero di un’emergenza? O si sta esagerando?

«In questo momento l’emergenza è dettata dal danno economico che questa specie sta causando ad un’importante settore dell’economia blu del nostro Paese, quello della pesca delle vongole. Nutrendosi anche di questo mollusco bivalve, oltre che di altri bivalvi come le cozze, il granchio blu sta creando danni ingenti al settore mettendo a rischio la filiera dei molluschi bivalvi. Per questo motivo si sta intervenendo per salvaguardare l’indotto generato da questo tipo di attività, pari a molte decine di milioni di euro all’anno. Certo è che le specie aliene nei nostri mari sono in aumento, favorite dal cambiamento climatico, e dovremo necessariamente imparare a conviverci e sviluppare adeguate strategie di adattamento e di mitigazione».

Cosa consiglia?

«In primis, vanno date voce e forza alla ricerca scientifica al fine di poter mappare il problema, produrre dati ottenuti sul campo, insomma quelle evidenze scientifiche necessarie ad elaborare un piano di contenimento di questa specie, a monitorarne nel tempo la dinamica di popolazione ed a studiare nel corso dell’anno il ciclo vitale di questo granchio, ahimè estremamente complesso, anche per prevedere con un anno di anticipo cosa potrebbe succedere. Sappiamo infatti che le femmine mature ovigere di Callinectes migrano in certi periodi dell’anno dagli habitat costieri verso acque di mare aperto per deporre le uova. Queste daranno vita ad una fase larvale pelagica chiamata “Zoea” (a sua volta caratterizzata da 7 o 8 stadi diversi), capace poi di diventare “Megalopa” e di migrare verso gli estuari alla ricerca del posto dove stabilirsi. È da questa migrazione che si svilupperanno le forme giovanili e poi gli adulti, i voraci predatori che ormai conosciamo bene».

In molti ne stanno facendo un uso alimentare è consigliabile?

«Assolutamente si. Si tratta di una specie pregiata, da sempre consumata nelle aree da cui originariamente proviene. Già dal 2019 nel nostro Istituto CNR IRBIM ne promuoviamo il consumo, nell’ambito di diversi progetti di ricerca, organizzando eventi in ristoranti ed in presenza di chef ed anche il consumo come “moleca”, ovvero nella fase della muta. Oltre che promuoverne una pesca sostenibile (opportunamente gestita ed effettuata con strumenti come le nasse che non impattano i già fragili ecosistemi marini costieri), è importante favorirne il consumo sia nelle nostre case che nei ristoranti, ed allo stesso tempo avviare una filiera dell’export, ad esempio di prodotti semilavorati di qualità, verso Paesi dove c’è richiesta e dove al contrario la specie è in declino perché sovrasfruttata o minacciata da altre cause. Leggo in questi giorni che ci sono già esempi di export in tal senso, andrebbero sostenuti. Non da ultimo, dobbiamo pensare anche ad utilizzi della parte non edibile, che non deve essere necessariamente vista come uno scarto ma può generare sottoprodotti di estremo interesse come biomolecole da utilizzare in ambito medicale, cosmetico o nutraceutico, fibre in ambito tessile, oppure integratori per mangimi per l’alimentazione animale. Insomma, dobbiamo convivere con l’alieno ed avere la capacità di trasformare una minaccia in una risorsa».

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Linda Di Benedetto