La verità sul fermo dei giornalisti rapiti in Siria
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La verità sul fermo dei giornalisti rapiti in Siria

Stanno bene gli uomini della troupe della Rai. Dietro il loro fermo nessun tradimento dei locali (e c'è ottimismo sulla liberazione)

Secondo fonti molto attendibili, i giornalisti italiani inizialmente creduti rapiti in Siria, “al momento stanno bene”. Amedeo Ricucci, inviato Rai, Elio Colavolpe, fotografo, Andrea Vignali, documentarista, e Susan Dabous, giornalista italo-siriana collaboratrice del Foglio e di Avvenire, si troverebbero in stato di fermo presso forze ribelli, in attesa che siano confermate le loro identità e la loro professione di giornalisti e reporter.

Sarebbe invece del tutto falsa la notizia diffusa ieri secondo cui sono stati traditi dagli accompagnatori una volta arrivati in Siria, così come i quattro non sono più definibili come “sotto sequestro” ma “in stato di fermo”.  

Troverebbe conferma il motivo per cui i reporter italiani sono stati fermati: i ribelli si sono insospettiti per il lavoro che stavano svolgendo‚ in quanto stavano filmando e fotografando luoghi definiti “sensibili” (come potrebbero esserlo alcune postazioni militari) all’interno di un progetto documentaristico che racconta la guerra in Siria, come riportato dallo stesso Amedeo Ricucci sul suo blog fino al 4 aprile, giorno in cui di loro si sono perse le tracce.

La Farnesina esprime “massimo riserbo” in merito, mentre fonti giornalistiche siriane affermano che i giornalisti sono stati visti l’ultima volta nel villaggio di Yaqubiya, a nord di Idlib.

Gli scenari possibili

Il problema vero è che in Siria la galassia degli insorti comprende non solo ribelli siriani ma anche predoni e jihadisti sunniti mandati dal Qatar e dall’Arabia Saudita. Se gli italiani sono stati presi dai ribelli “politici”, allora è quasi certo che, visto il sostegno che la stampa occidentale offre all’insurrezione, essi saranno liberati. Se, invece, si tratta di predoni e/o di jihadisti, questi pretenderanno certamente un riscatto in denaro.

Il problema è piuttosto un altro: i governativi fedeli al regime di Assad, che sono ben consapevoli dell’ostilità della stampa italiana, potrebbero forzare la situazione allo scopo di creare strumentalmente una condizione di pericolo per i giornalisti italiani. In questo modo, se l’esito di un blitz dovesse essere sanguinoso, i governativi potrebbero facilmente usare tale episodio per screditare agli occhi dell’Occidente il fronte insurrezionalista, addebitando ai ribelli la morte dei giornalisti italiani.

Al momento, in attesa di notizie più dettagliate, il pericolo è dunque che i reporter finiscano in mano a predoni che pretendono soldi o che i governativi forzino direttamente la mano.

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Luciano Tirinnanzi