Ok Napolitano, ma si vada presto al voto
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Ok Napolitano, ma si vada presto al voto

C'è poco da festeggiare: il Pd è finito, ed il governo delle larghe intese avrà vita dura anche perché Grillo infiammerà la piazza (e la crisi morde) - Lo speciale sul Quirinale - Le pagelle - I retroscena - Napolitano, la fotostoria - Le proteste (immagini)

Si può gioire per la catastrofe mancata (per il momento). Ma non si può essere entusiasti del punto a cui siamo arrivati. Il più basso. Il punto dal quale ci auguriamo di poter ripartire (ma non è detto). Insomma, la scelta di prorogare di fatto il mandato del presidente Napolitano, dopo l’orgia di errori e faide interne del Partito democratico (quello che in teoria aveva vinto le elezioni) ci ritroviamo come nel gioco dell’oca alla casella iniziale e con tutto il percorso da rifare.

Il quadro è quello: Napolitano sul Colle, governo di larghe intese alle porte, legislatura a tempo, paese in fermento e crisi che pare inarrestabile. Oltretutto, con la grottesca (più che comica) variabile di una fetta consistente del Parlamento, e del Paese, in balìa delle invettive megalomani di un comico che propugna la democrazia diretta stile soviet, in realtà etero-diretta dal mouse di Casaleggio.

Quel che dovremmo augurarci è di passare presto la nottata (che non è finita) e tornare al più presto al voto.

Beppe Grillo è forse riuscito ancora una volta a incantare qualche internauta e una piazza composita e senza punti cardinali che ama il Capo, ma dovrebbe essere ormai chiaro a tutti i “cittadini” (come li chiama Beppe) di quale stoffa golpista sia fatta la sua idea di democrazia.

Rodotà, il candidato per il Quirinale che abilmente Grillo aveva gettato nella cavea di Montecitorio spaccando il Pd, era l’opposto del nuovo e della trasparenza. Un barone politico con più di una pensione d’oro in tasca, anziano, quattro legislature alle spalle, oltretutto privo di qualsiasi reale competenza di governo o di mediazione politica. E vanitoso, vista la gioia da bambino con la quale ha accolto l’offerta di candidatura da un movimento che lui stesso aveva definito “pericoloso” per la democrazia, e la testardaggine con la quale si è ostinato a non gettare la spugna nonostante lo spettacolo di macerie del suo ex partito. Solo un nome per fare casino. Spacciato come presentabile agli occhi dei grillini grazie all’illusione di un voto telematico (mal)gestito dal compare di Grillo. Neanche sappiamo quanti voti abbiano preso i primi 10 nella classifica di quirinabili.

Lascia ancora sbigottiti come un tribuno pressappochista e livoroso come Grillo sia riuscito a scatenare un’ordalia in quello che un tempo era un Partito con la P maiuscola (animato da pulsioni illiberali come ai tempi del Pci o evoluto con Veltroni verso una formula di contenitore liberal, infine regredito con l’anti-leader Bersani a parodia del Pci).

E adesso? Lo scampato pericolo della presidenza Prodi, del golpe grillino o dello stallo infinito (Napolitano era diventato ormai l’unica via d’uscita dall’impasse, l’unica luce esigua in fondo a un tunnel nero come la pece) ci porta verso nuove incertezze. Un governo di larghe intese in cui il Pd è sempre quello, spaccato, martoriato e inconsistente. Quel Pd, ormai senza leader, dovrà esprimere tecnici e politici nell’esecutivo, e convivere poi con i tecnici e politici scelti da Pdl e Scelta Civica, in un clima giocoforza pre-elettorale, quindi orientato verso una litigiosità della quale abbiamo avuto la prova sotto il governo Monti.

Per inciso, vorremmo questa volta tecnici veri, non tecnici prestati da sempre alla politica che riassumono in sé i difetti della casta tecnica e di quella politica (con eccezioni felici come il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri o, tra i saggi, il Presidente dell’Istat, Enrico Giovannini).

In sintesi. Il paese è massacrato e la crisi morde. La politica, sia quella tradizionale, sia quella delle 5 stelle sfigate, resta incapace di risolvere i problemi fino a prova contraria. Napolitano spicca come un gigante solo perché uomo navigato e intelligente che ha saputo fondersi con lo scoglio sul quale i marosi dell’anti-politica lo hanno riportato: il Quirinale. Un uomo che può sbagliare, ma che decide mosso da senso dello Stato.

Stiamo a vedere. Ma non facciamoci troppe illusioni. E confidiamo nel voto al più presto, appena fatte alcune riforme necessarie.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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